Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n 152 – Norme in materia ambientale

Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152

Norme in materia ambientale

Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006 – Supplemento Ordinario n. 96

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76, 87 e 117 della Costituzione;

Vista la legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione;

Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visto il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59;

Viste le direttive 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, e 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, come modificata dalle direttive 97/11/CE del Consiglio, del 3 marzo 1997, e 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, nonche’ riordino e coordinamento delle procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per la prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC);

Vista la direttiva 96/61/CE del Consiglio, del 24 settembre 1996, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento;

Vista la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque;

Vista la direttiva 91/156/CEE del Consiglio, del 18 marzo 1991, che modifica la direttiva 75/442/CEE relativa ai rifiuti;

Vista la direttiva 91/689/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi;

Vista la direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio;

Vista la direttiva 84/360/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1984, concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali;

Vista la direttiva 94/63/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sul controllo delle emissioni di composti organici volatili (COV) derivanti dal deposito della benzina e dalla sua distribuzione dai terminali alle stazioni di servizio;

Vista la direttiva 1999/13/CE del Consiglio, dell’11 marzo 1999, concernente la limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici in talune attività e in taluni impianti;

Vista la direttiva 1999/32/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alla riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi e recante modifica della direttiva 93/12/CEE;

Vista la direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione;

Vista la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che, in vista di questa finalità, «istituisce un quadro per la responsabilità ambientale» basato sul principio «chi inquina paga»;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 novembre 2005;

Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 19 gennaio 2006;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Viste le deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle riunioni del 10 febbraio e del 29 marzo 2006;

Sulla proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri per le politiche comunitarie, per la funzione pubblica, per gli affari regionali, dell’interno, della giustizia, della difesa, dell’economia e delle finanze, delle attività produttive, della salute, delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche agricole e forestali;

E M A N A
il seguente decreto legislativo:

PARTE I

DISPOSIZIONI COMUNI

ART. 1
(ambito di applicazione)

1. Il presente decreto legislativo disciplina, in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, le materie seguenti:

a) nella parte seconda, le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’autorizzazione ambientale integrata (IPPC);

b) nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche;

c) nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati;

d) nella parte quinta, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera;

e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente.

ART. 2
(finalità)

1. Il presente decreto legislativo ha come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.

2. Per le finalità di cui al comma 1, il presente decreto provvede al riordino, al coordinamento e all’integrazione delle disposizioni legislative nelle materie di cui all’articolo 1, in conformità ai principi e criteri direttivi di cui ai commi 8 e 9 dell’articolo 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308, e nel rispetto dell’ordinamento comunitario, delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali.

3. Le disposizioni di cui al presente decreto sono attuate nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

ART. 3
(criteri per l’adozione dei provvedimenti successivi)

1. Le norme di cui al presente decreto non possono essere derogate, modificate o abrogate se non per dichiarazione espressa, mediante modifica o abrogazione delle singole disposizioni in esso contenute.

2. Entro due anni dalla data di pubblicazione del presente decreto legislativo, con uno o più regolamenti da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, adotta i necessari provvedimenti per la modifica e l’integrazione dei regolamenti di attuazione ed esecuzione in materia ambientale, nel rispetto delle finalità, dei principi e delle disposizioni di cui al presente decreto.

3. Ai fini della predisposizione dei provvedimenti di cui al comma 2, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio si avvale del parere delle rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA), senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

4. Entro il medesimo termine di cui al comma 2, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio provvede alla modifica ed all’integrazione delle nonne tecniche in materia ambientale con uno o più regolamenti da emanarsi ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, nel rispetto delle finalità, dei principi e delle disposizioni di cui al presente decreto. Resta ferma l’applicazione dell’articolo 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, relativamente al recepimento di direttive comunitarie modificative delle modalità esecutive e di caratteristiche di ordine tecnico di direttive già recepite nell’ordinamento nazionale.

5. Ai fini degli adempimenti di cui al presente articolo, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio si avvale, per la durata di due anni e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un gruppo di dieci esperti nominati, con proprio decreto, fra professori universitari, dirigenti apicali di istituti pubblici di ricerca ed esperti di alta qualificazione nei settori e nelle materie oggetto del presente decreto. Ai componenti del gruppo di esperti non spetta la corresponsione di compensi, indennità, emolumenti a qualsiasi titolo riconosciuti o rimborsi spese.

PARTE SECONDA

PROCEDURE PER LA VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA (VAS), PER LA VALUTAZIONE D’IMPATTO AMBIENTALE (VIA) E PER L’AUTORIZZAZIONE AMBIENTALE INTEGRATA (IPPC)

TITOLO I

NORME GENERALI

ART. 4
(contenuti e obiettivi)

1. Le norme di cui alla parte seconda del presente decreto costituiscono attuazione:

a) della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, con i seguenti obiettivi:

1) garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente;

2) contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali nelle fasi di elaborazione, di adozione e di approvazione di determinati piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile;

3) promuovere l’utilizzo della valutazione ambientale nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e sovracomunali;

4) assicurare che venga comunque effettuata la valutazione ambientale dei piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente;

b) della direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata ed integrata con la direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 marzo 1997 e con la direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003 e della direttiva 96/61/CE del 24 settembre 1996 recepita con il decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, con i seguenti obiettivi:

1) garantire il pieno recepimento delle direttive comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale;

2) semplificare, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, anche mediante l’emanazione di regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le procedure di valutazione di impatto ambientale, che dovranno tenere conto del rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale;

3) anticipare le procedure di valutazione di impatto ambientale alla prima configurazione sottoponibile ad un esame esauriente del progetto di intervento da valutare;

4) introdurre un sistema di controlli idoneo ad accertare l’effettivo rispetto delle prescrizioni impartite in sede di valutazione;

5) favorire la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di piani e programmi in materia ambientale;

6) garantire il completamento delle procedure in tempi certi;

7) introdurre meccanismi di coordinamento tra la procedura di valutazione di impatto ambientale e quella di valutazione ambientale strategica;

8) adottare misure di coordinamento tra le procedure di valutazione di impatto ambientale e quelle di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, ovvero di autorizzazione integrata ambientale, nel caso di impianti sottoposti ad entrambe le procedure, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni.

2. La valutazione ambientale strategica, o semplicemente valutazione ambientale, riguarda i piani e programmi di intervento sul territorio ed e’ preordinata a garantire che gli effetti sull’ambiente derivanti dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione.

3. La procedura per la valutazione ambientale strategica costituisce, per i piani e programmi sottoposti a tale valutazione, parte integrante del procedimento ordinario di adozione ed approvazione. I provvedimenti di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono nulli.

4. La valutazione di impatto ambientale riguarda i progetti di opere ed interventi che, per la loro natura o dimensione, possano avere un impatto importante sull’ambiente ed e’ preordinata a garantire che gli effetti derivanti dalla realizzazione ed esercizio di dette opere ed interventi sull’ecosistema siano presi in considerazione durante la loro progettazione e prima dell’approvazione o autorizzazione dei relativi progetti, o comunque prima della loro realizzazione.

5. La procedura per la valutazione di impatto ambientale costituisce, per i progetti di opere ed interventi ad essa sottoposti, presupposto o parte integrante del procedimento ordinario di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono nulli.

ART. 5
(definizioni)

1. Ai fini della parte seconda del presente decreto si intende per:

a) procedimento di valutazione ambientale strategica – VAS: l’elaborazione di un rapporto concernente l’impatto sull’ambiente conseguente all’attuazione di un determinato piano o programma da adottarsi o approvarsi, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell’iter decisionale di approvazione di un piano o programma e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione;

b) procedimento di valutazione di impatto ambientale – VIA: l’elaborazione di uno studio concernente l’impatto sull’ambiente che può derivare dalla realizzazione e dall’esercizio di un’opera il cui progetto e’ sottoposto ad approvazione o autorizzazione, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione dello studio ambientale e dei risultati delle consultazioni nell’iter decisionale di approvazione o autorizzazione del progetto dell’opera e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione;

c) impatto ambientale: l’alterazione qualitativa e/o quantitativa dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, fisici, chimici, naturalistici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o della realizzazione di progetti relativi a particolari impianti, opere o interventi pubblici o privati, nonche’ della messa in esercizio delle relative attività;

d) piani e programmi: tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative adottati o approvati da autorità statali, regionali o locali, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonche’ le loro modifiche; salvi i casi in cui le norme di settore vigenti dispongano altrimenti, la valutazione ambientale strategica viene eseguita, prima dell’approvazione, sui piani e programmi adottati oppure, ove non sia previsto un atto formale di adozione, sulle proposte di piani o programmi giunte al grado di elaborazione necessario e sufficiente per la loro presentazione per l’approvazione;

e) progetto di un’opera od intervento: l’elaborato tecnico, preliminare, definitivo o esecutivo concernente la realizzazione di un impianto, opera o intervento, compresi gli interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio quali quelli destinati allo sfruttamento delle risorse naturali e del suolo; salvi i casi in cui le normative vigenti di settore espressamente dispongano altrimenti, la valutazione di impatto ambientale viene eseguita sui progetti preliminari che contengano l’esatta indicazione delle aree impegnate e delle caratteristiche prestazionali delle opere da realizzare, oltre agli ulteriori elementi comunque ritenuti utili per lo svolgimento della valutazione di impatto ambientale;

f) modifica sostanziale di un piano, programma o progetto: la modifica di un piano, programma o progetto approvato che, a giudizio dell’autorità competente, possa avere effetti significativi sull’ambiente;

g) modifica sostanziale di un’opera o intervento: l’intervento su un’opera già esistente dal quale derivi un’opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente; per le opere o interventi per i quali nell’Allegato III alla parte seconda del presente decreto sono fissate soglie dimensionali, costituisce modifica sostanziale anche l’intervento di ampliamento, potenziamento o estensione qualora detto intervento, in se’ considerato, sia pari o superiore al trenta per cento di tali soglie;

h) proponente o committente: l’ente o la pubblica autorità cui compete l’adozione di un piano o programma o, in genere, che ne richiede l’approvazione, nonche’ l’ente o la pubblica autorità che prende l’iniziativa relativa a un progetto pubblico e il soggetto che richiede l’autorizzazione relativa ad un progetto privato;

i) rapporto ambientale: lo studio tecnico-scientifico contenente l’individuazione, la descrizione e la valutazione degli effetti significativi che l’attuazione di un determinato piano o programma potrebbe avere sull’ambiente, nonche’ delle ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma;

l) studio d’impatto ambientale: lo studio tecnico-scientifico contenente una descrizione del progetto con le informazioni relative alla sua ubicazione, concezione e dimensione, l’individuazione, la descrizione e la valutazione degli effetti significativi che avrebbe la realizzazione del progetto sull’ambiente, nonche’ contenente il confronto con le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi, degli interessi e dei servizi correlati all’opera o all’intervento progettato e dell’ambito territoriale interessato;

m) giudizio di compatibilità ambientale: l’atto con il quale l’organo competente conclude la procedura di valutazione ambientale strategica o di valutazione di impatto ambientale;

n) autorizzazione: la decisione dell’autorità competente che abilita il committente o proponente alla realizzazione del progetto;

o) autorità competente: l’amministrazione cui compete, in base alla normativa vigente, l’adozione di un provvedimento conclusivo del procedimento o di una sua fase;

p) consultazione: l’insieme delle forme di partecipazione, anche diretta, delle altre amministrazioni e del pubblico interessato nella raccolta e valutazione dei dati ed informazioni che costituiscono il quadro conoscitivo necessario per esprimere il giudizio di compatibilità ambientale di un determinato piano o programma o di un determinato progetto;

q) pubblico: una o più persone fisiche o giuridiche nonche’, ai sensi della legislazione o della prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi di tali persone;

r) pubblico interessato: il pubblico che subisce o può subire gli effetti delle procedure decisionali in materia ambientale o che ha un interesse in tali procedure; ai fini della presente definizione le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente e che soddisfano i requisiti previsti dalla normativa statale vigente, nonche’ le rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA), si considerano titolari di siffatto interesse;

s) soggetti interessati: chiunque, tenuto conto delle caratteristiche socio-ecomomiche e territoriali del piano o programma sottoposto a valutazione di impatto strategico o del progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, intenda fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell’intervento medesimo;

t) procedura di verifica preventiva: il procedimento preliminare, che precede la presentazione della proposta di piano o programma, oppure la presentazione del progetto, attivato allo scopo di definire se un determinato piano o programma debba essere sottoposto a valutazione ambientale strategica, oppure se un determinato progetto debba essere assoggettato alla procedura di valutazione di impatto ambientale;

u) fase preliminare: il procedimento che precede la presentazione del progetto, attivato allo scopo di definire, in contraddittorio tra autorità competente e soggetto proponente, le informazioni che devono essere fornite nello studio di impatto ambientale.

ART. 6
(commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali)

1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, e’ istituita, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, la Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali. Con il medesimo decreto sono stabilite la durata e le modalità per l’organizzazione ed il funzionamento della Commissione stessa.

2. La Commissione assicura al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio il supporto tecnico-scientifico per l’attuazione delle norme di cui alla parte seconda del presente decreto. In particolare, la Commissione provvede all’istruttoria e si esprime sui rapporti ambientali e sugli studi di impatto ambientale relativi a piani e programmi oppure a progetti rispettivamente sottoposti a valutazione ambientale strategica ed a valutazione di impatto ambientale di competenza statale, e si esprime altresì sulle autorizzazioni integrate ambientali di competenza statale.

3. La Commissione e’ composta da settantotto membri, oltre al presidente ed a tre vicepresidenti, scelti tra professori universitari, tra professionisti ed esperti qualificati in sistemi di gestione, in misurazioni e in materie progettuali, geologiche, ambientali, giuridiche, economiche e sociali, nonche’ fra dirigenti della pubblica amministrazione.

4. L’attività della Commissione e’ articolata in tre settori operativi facenti capo ai tre vicepresidenti e concernenti, rispettivamente, le seguenti procedure:

a) valutazione ambientale strategica;

b) valutazione di impatto ambientale;

c) prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.

5. La Commissione opera, di norma, attraverso sottocommissioni. Le sottocommissioni sono composte da un numero variabile di componenti in ragione delle professionalità necessarie per il completo ed adeguato esame della specifica pratica. L’individuazione delle professionalità necessarie spetta al vicepresidente competente. Una volta individuate le figure professionali dei componenti e del coordinatore della sottocommissione, i singoli commissari sono assegnati alle sottocommissioni sulla base di un predefmito ordine di turnazione.

6. In ragione degli specifici interessi regionali coinvolti dall’esercizio di una attività soggetta alle norme di cui alla parte seconda del presente decreto, la relativa sottocommissione e’ integrata dall’esperto designato da ciascuna delle regioni direttamente interessate per territorio dall’attività.

7. Ai fini di cui al comma 6, le amministrazioni regionali direttamente interessate per territorio segnalano al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio il proprio interesse.

8. Qualora le amministrazioni di cui al comma 7 non abbiano provveduto alla designazione degli esperti, la sottocommissione e’ costituita nella composizione ordinaria e procede comunque all’istruttoria affidatale, ferma restando la possibilità di successiva integrazione della sua composizione, nel rispetto dello stadio di elaborazione e delle eventuali conclusioni parziali cui sia già pervenuta.

TITOLO II

VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA – VAS

CAPO I

DISPOSIZIONI COMUNI IN MATERIA DI VAS

ART. 7
(ambito d’applicazione)

1. Sono soggetti a valutazione ambientale strategica i piani e i programmi di cui al comma 2, nonche’, qualora possano avere effetti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale, quelli di cui ai commi 3 e 4. Sono altresì sottoposte a valutazione ambientale strategica le modifiche di cui al comma 5.

2. Fatta salva la disposizione di cui al comma 3, sono sottoposti a valutazione ambientale strategica:

a) i piani e i programmi che presentino entrambi i requisiti seguenti:

1) concernano i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli;

2) contengano la definizione del quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione di opere ed interventi i cui progetti sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alla normativa vigente;

b) i piani e i programmi concernenti i siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica.

3. Sono altresì sottoposti a valutazione ambientale strategica i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, contenenti la definizione del quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione di opere ed interventi i cui progetti, pur non essendo sottoposti a valutazione di impatto ambientale in base alle presenti norme, possono tuttavia avere effetti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale, a giudizio della sottocommissione competente per la valutazione ambientale strategica.

4. I piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e le modifiche dei piani e programmi di cui ai commi 2 e 3 che siano già stati approvati sono sottoposti a valutazione ambientale strategica solo se possono avere effetti significativi sull’ambiente.

5. Ai fini dell’applicazione dei commi 3 e 4, l’autorità competente all’approvazione del piano o del programma deve preliminarmente verificare se lo specifico piano o programma oggetto di approvazione possa avere effetti significativi sull’ambiente secondo i criteri di cui all’Allegato II alla parte seconda del presente decreto. Analoga verifica deve essere eseguita quando si tratti di approvare una modifica di un piano o programma già approvato.

6. Nell’esame dei singoli casi e nella specificazione dei tipi di piani e di programmi di cui al comma 2 devono essere consultate le altre autorità che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull’ambiente dovuti all’applicazione del piano o del programma oggetto d’esame. Per i piani ed i programmi la cui approvazione compete ad organi dello Stato deve comunque essere acquisito il parere della Commissione di cui all’articolo 6.

7. Le conclusioni adottate ai sensi dei commi 5 e 6, comprese le motivazioni del mancato esperimento della valutazione ambientale strategica, debbono essere messe a disposizione del pubblico.

8. Sono comunque esclusi dal campo di applicazione delle norme di cui alla parte seconda del presente decreto:

a) i piani e i programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale caratterizzati da somma urgenza o coperti dal segreto di Stato;

b) i piani e i programmi finanziari o di bilancio;

c) i piani e i programmi relativi agli interventi di telefonia mobile soggetti alle disposizioni di cui all’articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.

ART. 8
(integrazione della valutazione ambientale nei procedimenti di pianificazione)

1. La valutazione ambientale strategica deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua approvazione in sede legislativa o amministrativa.

2. Le procedure amministrative previste dal presente titolo sono integrate nelle procedure ordinarie in vigore per l’adozione ed approvazione dei piani e dei programmi.

3. Nel caso di piani e programmi gerarchicamente ordinati, le autorità competenti all’approvazione dei singoli piani o programmi tengono conto, al fine di evitare duplicazioni del giudizio, delle valutazioni già effettuate ai fini dell’approvazione del piano sovraordinato e di quelle da effettuarsi per l’approvazione dei piani sottordinati.

ART. 9
(rapporto ambientale)

1. Per i piani e i programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica deve essere redatto, prima ed ai fini dell’approvazione, un rapporto ambientale, che costituisce parte integrante della documentazione del piano o del programma proposto o adottato e da approvarsi.

2. Nel rapporto ambientale debbono essere individuati, descritti e valutati gli effetti significativi che l’attuazione del piano o del programma proposto potrebbe avere sull’ambiente e sul patrimonio culturale, nonche’ le ragionevoli alternative che possono adottarsi in considerazione degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma stesso. L’Allegato I alla parte seconda del presente decreto riporta le informazioni da fornire a tale scopo nei limiti in cui possono essere ragionevolmente richieste, tenuto conto del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione correnti, dei contenuti e del livello di dettaglio del piano o del programma e, nei casi di processi di pianificazione a più livelli, tenuto conto che taluni aspetti sono più adeguatamente valutati in altre successive fasi di detto iter.

3. Per redigere il rapporto ambientale possono essere utilizzate le informazioni di cui all’Allegato I alla parte seconda del presente decreto, concernenti gli effetti ambientali del piano e del programma oggetto di valutazione, che siano comunque disponibili e anche qualora siano state ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o altrimenti acquisite in attuazione di altre disposizioni normative.

4. Il proponente ha la facoltà di attivare una fase preliminare allo scopo di definire, in contraddittorio con l’autorità competente, le informazioni che devono essere fornite nel rapporto ambientale.

5. Le altre autorità che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull’ambiente dovuti all’applicazione del piano o del programma oggetto d’esame devono essere consultate al momento della decisione sulla portata delle informazioni da includere nel rapporto ambientale e sul loro livello di dettaglio.

6. Al rapporto ambientale deve essere allegata una sintesi non tecnica dei contenuti del piano o programma proposto e degli altri dati ed informazioni contenuti nel rapporto stesso.

ART. 10
(consultazioni)

1. Prima dell’approvazione, il piano o programma adottato, oppure, qualora non sia previsto un atto formale di adozione, la proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale redatto a norma dell’articolo 9 devono essere messi a disposizione delle altre autorità che, per le loro specifiche competenze ambientali o paesaggistiche, esercitano funzioni amministrative correlate agli effetti sull’ambiente dovuti all’applicazione del piano o del programma e del pubblico.

2. Ai fini di cui al comma 1 e di cui al comma 4, la proposta di piano o di programma ed il relativo rapporto ambientale devono essere inviati a tutte le menzionate altre autorità. La sintesi non tecnica, con indicazione delle sedi ove può essere presa visione della documentazione integrale, deve essere depositata in congruo numero di copie presso gli uffici delle province e delle regioni il cui territorio risulti anche solo parzialmente interessato dal piano o programma o dagli effetti della sua attuazione.

3. Dell’avvenuto invio e deposito di cui al comma 2 deve essere data notizia a mezzo stampa secondo le modalità stabilite con apposito regolamento, che assicura criteri uniformi di pubblicità per tutti i piani e programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica, garantendo che il pubblico interessato venga in tutti i casi adeguatamente informato. Il medesimo regolamento stabilisce i casi e le modalità per la contemporanea pubblicazione totale o parziale in internet della proposta di piano o programma e relativo rapporto ambientale. Il regolamento deve essere emanato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto. Fino all’entrata in vigore del regolamento le pubblicazioni vanno eseguite a cura e spese dell’interessato in un quotidiano a diffusione nazionale ed in un quotidiano a diffusione regionale per ciascuna regione direttamente interessata.

4. Entro il termine di quarantacinque giorni dalla pubblicazione della notizia di avvenuto deposito e dell’eventuale pubblicazione in internet ai sensi del comma 3, chiunque ne abbia interesse può prendere visione della proposta di piano o programma e del relativo rapporto ambientale depositati e pubblicizzati a norma dei commi 1, 2 e 3. Entro lo stesso termine chiunque può presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi.

5. I depositi e le pubblicazioni, di cui ai commi 2 e 3, con le connesse e conseguenti consultazioni, di cui al comma 4, sostituiscono ad ogni effetto tutte le forme di informazione e partecipazione eventualmente previste dalle procedure ordinarie di adozione ed approvazione dei medesimi piani o programmi.

ART. 11
(consultazioni transfrontaliere)

1. Qualora l’attuazione di un determinato piano o di un programma sottoposto a valutazione ambientale strategica possa avere effetti significativi anche sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, o qualora lo richieda lo Stato membro che potrebbe essere interessato in misura significativa, una copia integrale della proposta di piano o di programma e del rapporto ambientale, redatto a norma dell’articolo 9, deve essere trasmessa, prima della approvazione del piano o del programma, anche a detto Stato membro interessato, invitandolo ad esprimere il proprio parere entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della documentazione trasmessa.

2. Qualora lo Stato membro, cui sia stata trasmessa copia della proposta di piano o di programma e del rapporto ambientale ai sensi del comma 1, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento comunichi che, per esprimere il proprio parere, intende procedere a consultazioni, l’autorità competente deve concedere un congruo termine, comunque non superiore a novanta giorni, per consentire allo Stato membro di procedere alle consultazioni al proprio interno delle autorità e del pubblico interessato. Nel frattempo ogni altro termine resta sospeso.

ART. 12
(giudizio di compatibilità ambientale ed approvazione del piano o programma proposto)

1. Prima dell’approvazione del piano o del programma sottoposto a valutazione ambientale strategica devono essere esaminati e valutati il rapporto ambientale redatto ai sensi dell’articolo 9, i pareri espressi ai sensi dell’articolo 10, nonche’ gli eventuali pareri di altri Stati membri resi ai sensi dell’articolo 11.

2. In base agli esiti dell’esame e delle valutazioni di cui al comma 1, l’autorità preposta alla valutazione ambientale, entro sessanta giorni dalla scadenza dell’ultimo termine utile per la presentazione dei pareri di cui agli articoli 10 ed 11, emette il giudizio di compatibilità ambientale contenente un parere ambientale articolato e motivato che costituisce presupposto per la prosecuzione del procedimento di approvazione del piano o del programma. Il giudizio di compatibilità ambientale può essere condizionato all’adozione di specifiche modifiche ed integrazioni della proposta del piano o programma valutato. In tali ipotesi, il giudizio e’ trasmesso al proponente con invito a provvedere alle necessarie varianti prima di ripresentare il piano o programma per l’approvazione. L’inutile decorso del termine di cui al presente comma implica l’esercizio del potere sostituivo da parte del Consiglio dei Ministri, che provvede entro sessanta giorni, previa diffida all’organo competente ad adempiere entro il termine di venti giorni, anche su istanza delle parti interessate. In difetto, per i piani e i programmi sottoposti a valutazione ambientale in sede statale, si intende emesso giudizio negativo sulla compatibilità ambientale del piano o programma presentato. Per i piani e i programmi sottoposti a valutazione ambientale in sede non statale, si applicano le disposizioni di cui al periodo precedente fino all’entrata in vigore di apposite norme regionali e delle province autonome, da adottarsi nel rispetto della disciplina comunitaria vigente in materia.

3. L’approvazione del piano o del programma tiene conto del parere di cui al comma 2. A tal fine il provvedimento di approvazione deve essere accompagnato da una dichiarazione di sintesi in cui si illustra in che modo le considerazioni ambientali sono state integrate nel piano o programma e come si e’ tenuto conto del rapporto ambientale redatto ai sensi dell’articolo 9, dei pareri espressi ai sensi dell’articolo 10 e dei risultati delle consultazioni avviate ai sensi dell’articolo 11, nonche’ le ragioni per le quali e’ stato scelto il piano o il programma adottato, anche rispetto alle alternative possibili che erano state individuate, ed, infine, le misure adottate in merito al monitoraggio.

4. Qualora nel corso dell’istruttoria per l’approvazione di un piano o programma da sottoporsi a valutazione ambientale strategica ai sensi dell’articolo 7 venga rilevato che la relativa procedura non e’ stata attivata, l’autorità competente all’approvazione di detto piano o programma invita formalmente il proponente a provvedere ad attivare detta procedura e contestualmente sospende il procedimento di approvazione.

ART. 13
(informazioni circa la decisione)

1. I giudizi di compatibilità ambientale e i provvedimenti di approvazione di cui, rispettivamente, ai commi 2 e 3 dell’articolo 12 devono essere posti a disposizione del pubblico, unitamente alla relativa documentazione, da parte del proponente, che e’ tenuto a darne notizia a mezzo stampa secondo le modalità fissate dal regolamento di cui all’articolo 10, comma 3.

2. I medesimi giudizi di compatibilità ambientale e i provvedimenti di approvazione sono trasmessi in copia integrale dall’autorità competente alle altre autorità ed agli Stati membri che abbiano partecipato alle consultazioni di cui agli articoli 10 e 11.

ART. 14
(monitoraggio)

1. Le autorità preposte all’approvazione dei piani o dei programmi esercitano, avvalendosi del sistema delle Agenzie ambientali, il controllo sugli effetti ambientali significativi derivanti dall’attuazione dei piani e dei programmi approvati, al fine, tra l’altro, di individuare tempestivamente gli effetti negativi imprevisti e di essere in grado di adottare le opportune misure correttive.

2. Per conformarsi al disposto del comma 1, devono essere impiegati, per quanto possibile, i meccanismi di controllo esistenti, al fine di evitare la duplicazione del monitoraggio.

3. Delle misure correttive adottate ai sensi del comma 1 e’ data notizia al pubblico a mezzo stampa secondo le modalità stabilite dal regolamento di cui all’articolo 10, comma 3.

CAPO II

DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER LA VAS IN SEDE STATALE

ART. 15
(piani e programmi sottoposti a vas in sede statale)

1. Sono sottoposti a valutazione ambientale strategica in sede statale i piani e programmi di cui all’articolo 7 la cui approvazione compete ad organi dello Stato.

2. Per la valutazione ambientale dei piani e programmi di cui al comma 1, le disposizioni del presente capo integrano e specificano le disposizioni del capo I; queste ultime si applicano anche per la valutazione dei progetti di cui al comma 1 ove non diversamente disposto nel presente capo II.

ART. 16
(avvio del procedimento)

1. Per i piani e programmi di cui all’articolo 15, prima dell’avvio del procedimento di approvazione il piano o programma adottato o comunque proposto deve essere inoltrato, corredato dal rapporto ambientale e dalla sintesi non tecnica, al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, al Ministero per i beni e le attività culturali, alla Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali di cui all’articolo 6 e agli altri Ministeri eventualmente interessati.

2. Per i piani e programmi di cui all’articolo 15, prima dell’avvio del procedimento di approvazione, ai sensi dell’articolo 10, commi 1 e 2, presso gli uffici delle province e delle regioni il cui territorio risulti anche solo parzialmente interessato dal piano o programma o dagli effetti della sua attuazione deve essere depositato un congruo numero di copie della sintesi non tecnica; alle regioni deve essere inviata anche copia integrale della proposta di piano o programma e del rapporto ambientale.

3. La notizia degli avvenuti depositi ed invii deve essere pubblicata nei modi previsti dall’articolo 10, comma 3.

4. Nelle fasi di cui agli articoli 19 e 20, se esperite, e comunque all’avvio dell’istruttoria, in ragione delle specifiche caratteristiche del piano o programma proposto ed anche su istanza del proponente, possono essere fissate specifiche e diverse modalità di pubblicazione e di informazione, a seconda dei casi, integrando o semplificando quelle di cui ai commi 2 e 3. Qualora tali modifiche vengano disposte in sede di istruttoria e comportino il rinnovo dell’avviso a mezzo stampa di cui al comma 3, tutti i termini del procedimento vengono interrotti e ricominciano a decorrere dalla pubblicazione del nuovo annuncio.

ART. 17
(istruttoria e adozione del giudizio di compatibilità ambientale)

1. Le attività tecnico-istruttorie per la valutazione ambientale strategica dei piani e programmi la cui approvazione compete ad organi dello Stato sono svolte dalla Commissione di cui all’articolo 6. A tal fine, il vicepresidente competente, per ogni proposta di piano o programma inviatagli ai sensi dell’articolo 16, comma 1, provvede alla costituzione di apposita sottocommissione secondo i criteri di cui all’articolo 6, comma 5; ove ne ricorrano i presupposti la sottocommissione e’ integrata ai sensi del comma 6 del medesimo articolo 6.

2. Ove la sottocommissione verifichi l’incompletezza della documentazione presentata, ne può richiedere l’integrazione. In tal caso i termini del procedimento restano sospesi fino al ricevimento delle integrazioni richieste.

3. La sottocommissione incaricata acquisisce e valuta tutta la documentazione presentata, nonche’ le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati ai sensi degli articoli 10 e 11, ed esprime il proprio parere motivato entro il termine di trenta giorni a decorrere dalla scadenza di tutti i termini di cui agli articoli 10 e 11, fatta comunque salva la sospensione eventualmente disposta ai sensi del comma 2.

4. In caso di ritardo, e previa diffida a provvedere entro dieci giorni, anche su istanza delle parti interessate, tutti i poteri dei vicepresidenti sono esercitati dal Presidente della Commissione.

5. Il parere espresso dalla sottocommissione e’ immediatamente trasmesso da parte del competente vicepresidente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro proponente, entro i successivi trenta giorni provvede all’adozione del giudizio di compatibilità ambientale.

6. L’inutile decorso del termine di cui al comma 5 implica l’esercizio del potere sostituivo da parte del Consiglio dei Ministri, ai sensi e con gli effetti di cui all’articolo 12, comma 2.

ART. 18
(effetti del giudizio di compatibilità ambientale)

1. Le proposte di piani e programmi sottoposte a valutazione ambientale strategica, anche qualora siano già state adottate con atto formale, sono riviste e, se necessario, riformulate, sulla base del giudizio di compatibilità ambientale reso ai sensi dell’articolo 17.

2. Ai fini di quanto disposto dall’articolo 4, comma 3, il giudizio di compatibilità ambientale e’ comunque allegato al piano o programma inoltrato per l’approvazione.

3. Ai fini dell’approvazione del piano o programma si applica l’articolo 12, comma 3.

ART. 19
(procedura di verifica preventiva)

1. I piani e programmi diversi da quelli di cui all’articolo 7, comma 2, ma comunque concernenti i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, nonche’ le modifiche di detti piani e programmi sono sottoposti alla procedura di verifica al fine di accertare se ricorrano i presupposti di cui ai commi 3, 4 e 5 del medesimo articolo 7.

2. La verifica e’ eseguita dall’autorità competente all’approvazione dei piani o dei programmi, su istanza del proponente ed acquisito il parere della Commissione di cui all’articolo 6, che si pronuncia, in base ai criteri di cui all’Allegato II alla parte seconda del presente decreto, entro trenta giorni dalla richiesta. A tal fine l’istanza di verifica, unitamente alla proposta di piano o programma ed ai relativi documenti allegati, deve essere inoltrata in copia a detta Commissione al fine di consentire la tempestiva costituzione della sottocommissione incaricata di esprimere il parere. In caso di esito positivo, alla sottocommissione nominata viene poi assegnata anche l’istruttoria di cui all’articolo 17; inoltre, tenuto conto delle specifiche caratteristiche del piano o programma proposto, possono contestualmente essere precisate le modalità di informazione, anche in deroga alle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 16.

3. Qualora nel corso dell’istruttoria per l’approvazione di un nuovo piano o programma, o di una modifica ad un piano o programma già approvato, venga rilevato che non e’ stata esperita la procedura di verifica di cui ai commi 1 e 2, tale procedura e’ attivata dall’autorità competente all’approvazione, la quale, a tal fine, trasmette alla Commissione di cui all’articolo 6 tutta la documentazione utile in proprio possesso e contestualmente sospende il procedimento di approvazione.

ART. 20
(fase preliminare)

1. Per i piani e programmi sottoposti a valutazione ambientale strategica in sede statale, la fase preliminare di cui all’articolo 9, comma 4, avviene in contraddittorio tra il proponente e la Commissione di cui all’articolo 6.

2. Ai fini di cui al comma 1, il proponente interessato ha la facoltà di richiedere direttamente al vicepresidente competente la costituzione, secondo i criteri di cui all’articolo 6, commi 5 e 6, di apposita sottocommissione con la quale interloquire.

3. Al termine della fase preliminare, la sottocommissione incaricata, sentite, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 9, comma 5, le regioni territorialmente interessate, redige un verbale indicante puntualmente tutte le informazioni che debbono essere incluse nel rapporto ambientale ed il relativo livello di dettaglio. Con lo stesso verbale, tenuto conto delle specifiche caratteristiche del piano o programma proposto, possono essere precisate le modalità di informazione anche in deroga ai commi 2 e 3 dell’articolo 16.

4. Alla sottocommissione incaricata per la fase preliminare compete anche l’istruttoria di cui all’articolo 17.

CAPO III

DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER LA VAS IN SEDE REGIONALE O PROVINCIALE

ART. 21
(piani e programmi sottoposti a vas in sede regionale o provinciale)

1. Sono sottoposti a valutazione ambientale strategica in sede regionale o provinciale i piani e programmi di cui all’articolo 7 la cui approvazione compete alle regioni o agli enti locali.

ART. 22
(procedure di vas in sede regionale o provinciale)

1. Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi e regolamenti le procedure per la valutazione ambientale strategica dei piani e programmi di cui all’articolo 21.

2. Fino all’entrata in vigore delle discipline regionali e provinciali di cui al comma 1, trovano applicazione le disposizioni di cui alla parte seconda del presente decreto.

TITOLO III

VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE – VIA

CAPO I

DISPOSIZIONI COMUNI IN MATERIA DI VIA

ART. 23
(ambito di applicazione)

1. Sono assoggettati alla procedura di valutazione di impatto ambientale:

a) i progetti di cui all’elenco A dell’Allegato III alla parte seconda del presente decreto, ovunque ubicati;

b) i progetti di cui all’elenco B dell’Allegato III alla parte seconda del presente decreto che ricadano, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394;

c) i progetti elencati di cui all’elenco B dell’Allegato III alla parte seconda del presente decreto che non ricadano in aree naturali protette, ma che, sulla base degli elementi indicati nell’Allegato IV alla parte seconda del presente decreto, a giudizio dell’autorità competente richiedano ugualmente lo svolgimento della procedura di valutazione d’impatto ambientale;

d) i progetti di specifiche opere o interventi per i quali la procedura di valutazione di impatto ambientale sia espressamente prescritta dalle leggi speciali di settore che disciplinano dette opere o interventi.

2. Per i progetti di opere o di interventi di cui al comma 1, lettera a), ricadenti all’interno di aree naturali protette, le soglie dimensionali, ove previste, sono ridotte del cinquanta per cento.

3. La medesima procedura si applica anche agli interventi su opere già esistenti, non rientranti nelle categorie del comma 1, qualora da tali interventi derivi un’opera che rientra nelle categorie stesse. Si applica altresì alle modifiche sostanziali di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui al comma 1, lettere a) e b).

4. Possono essere esclusi dal campo di applicazione del presente titolo i progetti di seguito elencati che, a giudizio dell’autorità competente, non richiedano lo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale:

a) i progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale;

b) i progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopi di protezione civile, oppure disposti in situazioni di necessità e d’urgenza a scopi di salvaguardia dell’incolumità delle persone da un pericolo imminente o a seguito di calamità;

c) i progetti relativi ad opere di carattere temporaneo, ivi comprese quelle necessarie esclusivamente ai fini dell’esecuzione di interventi di bonifica autorizzati.

5. Per i progetti di cui ai commi 1, lettera c), e 4, lettere a), b) e c), si applica la procedura di verifica di cui all’articolo 32. Nel corso di tale procedura di verifica, per i progetti di cui al comma 4 l’autorità competente comunica alla Commissione europea, prima del rilascio dell’eventuale esenzione, i motivi che giustificano tale esenzione ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera c), della direttiva 85/337/CEE.

6. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 4 del decreto legislativo 17 gennaio 2005, n. 13, per i progetti aeroportuali assoggettati alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della parte seconda del presente decreto tale procedura tiene conto delle prescrizioni definite nell’allegato 2 del medesimo decreto legislativo 17 gennaio 2005, n. 13.

7. Nel caso di opere ed interventi di somma urgenza destinati esclusivamente alla difesa nazionale di cui al comma 4, lettera a), il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio dispone, su proposta del Ministro della difesa, l’esenzione da ogni verifica di compatibilità ambientale soltanto per i progetti relativi a lavori coperti da segreto di Stato.

ART. 24
(finalità della via)

1. La procedura di valutazione di impatto ambientale deve assicurare che:

a) nei processi di formazione delle decisioni relative alla realizzazione di progetti individuati negli Allegati alla parte seconda del presente decreto siano considerati gli obiettivi di proteggere la salute e di migliorare la qualità della vita umana, al fine di contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della varietà delle specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita, nonche’ gli obiettivi di garantire l’uso plurimo delle risorse naturali, dei beni pubblici destinati alla fruizione collettiva, e di assicurare lo sviluppo sostenibile;

b) per ciascun progetto siano valutati gli effetti diretti ed indiretti della sua realizzazione sull’uomo, sulla fauna, sulla flora, sul suolo, sulle acque di superficie e sotterranee, sull’aria, sul clima, sul paesaggio e sull’interazione tra detti fattori, sui beni materiali e sul patrimonio culturale ed ambientale;

c) per ciascun progetto siano esplicitate le principali ragioni della scelta fra le alternative proposte dal committente;

d) in ogni fase della procedura siano garantiti lo scambio di informazioni e la consultazione tra il soggetto proponente e l’autorità competente;

e) siano garantite l’informazione e la partecipazione del pubblico al procedimento;

f) siano conseguite la semplificazione, la razionalizzazione ed il coordinamento delle valutazioni e degli atti autorizzativi in materia ambientale.

ART. 25
(competenze e procedure)

1. La valutazione di impatto ambientale compete:

a) per i progetti di opere ed interventi sottoposti ad autorizzazione statale e per quelli aventi impatto ambientale interregionale o internazionale, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, secondo le disposizioni di cui al presente capo I ed al capo II;

b) negli altri casi, all’autorità individuata dalla regione o dalla provincia autonoma con propria legge, tenuto conto delle attribuzioni della competenza al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione delle varie opere ed interventi e secondo le procedure dalla stessa stabilite sulla base dei criteri direttivi di cui al capo III del presente titolo, ferme restando le disposizioni comuni di cui al presente capo I.

ART. 26
(fase introduttiva del procedimento)

1. Il committente o proponente l’opera o l’intervento deve inoltrare all’autorità competente apposita domanda allegando il progetto, lo studio di impatto ambientale e la sintesi non tecnica.

2. Copia integrale della domanda di cui al comma 1 e dei relativi allegati deve essere trasmessa alle regioni, alle province ed ai comuni interessati e, nel caso di aree naturali protette, anche ai relativi enti di gestione, che devono esprimere il loro parere entro sessanta giorni dal ricevimento della domanda. Decorso tale termine l’autorità competente rende il giudizio di compatibilità ambientale anche in assenza dei predetti pareri.

3. In ragione delle specifiche caratteristiche dimensionali e funzionali dell’opera o intervento progettato, ovvero in ragione del numero degli enti locali potenzialmente interessati e della dimensione documentale del progetto e del relativo studio di impatto ambientale, il committente o proponente, attivando a tal fine una specifica fase preliminare, può chiedere di essere in tutto o in parte esonerato dagli adempimenti di cui al comma 2, ovvero di essere autorizzato ad adottare altri sistemi di divulgazione appropriati.

4. Fatto salvo quanto previsto all’articolo 29, comma 5, in caso di recepimento di pareti, osservazioni o rilievi, eventuali integrazioni allo studio trasmesso o alla documentazione allegata possono essere richiesti, con indicazione di un congruo termine per la risposta, ovvero presentati dal committente o proponente, per una sola volta. In tali ipotesi tutti i termini del procedimento vengono interrotti e ricominciano a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa. Nel caso in cui l’interessato non ottemperi, non si procede all’ulteriore corso della valutazione. E’ facoltà del committente o proponente presentare una nuova domanda.

ART. 27
(studio di impatto ambientale)

1. Lo studio di impatto ambientale e’ predisposto a cura e spese del committente o proponente, secondo le indicazioni di cui all’Allegato V alla parte seconda del presente decreto.

2. Per i progetti che sono sottoposti a valutazione d’impatto ambientale, e’ facoltà del committente o proponente, prima dell’avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale, richiedere all’autorità competente che venga esperita una fase preliminare avente lo scopo di definire, in contraddittorio con l’autorità medesima, le informazioni, comprese nell’Allegato V alla parte seconda del presente decreto, che devono essere contenute nello studio di impatto ambientale. A tale fine, il committente o proponente presenta una relazione che, sulla base dell’identificazione degli impatti ambientali attesi, definisce il piano di lavoro per la redazione dello studio di impatto ambientale, le metodologie che intende adottare per l’elaborazione delle informazioni in esso contenute e il relativo livello di approfondimento. L’autorità competente, anche nel caso in cui detto parere sia stato reso, può chiedere al committente o proponente, successivamente all’avvio della procedura di valutazione di impatto ambiental e, chiarimenti e integrazioni in merito alla documentazione presentata.

3. Le altre autorità che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull’ambiente dovuti alla realizzazione e all’esercizio dell’opera o intervento progettato devono essere consultate, al momento della decisione, sulla portata delle informazioni da includere nello studio di impatto ambientale e sul loro livello di dettaglio.

4. Le informazioni richieste devono essere coerenti con il grado di approfondimento necessario e strettamente attinenti alle caratteristiche specifiche di un determinato tipo di progetto e delle componenti dell’ambiente che possono subire un pregiudizio, anche in relazione alla localizzazione dell’intervento, tenuto conto delle conoscenze e dei metodi di valutazione disponibili. Qualora il committente o proponente ritenga che alcune informazioni non debbano essere diffuse per ragioni di riservatezza imprenditoriale o personale, di tutela della proprietà intellettuale, di pubblica sicurezza o di difesa nazionale, può produrre, unitamente alla versione completa, anche una versione dello studio di impatto ambientale priva di dette informazioni. L’autorità competente, valutate le ragioni di riservatezza addotte dal proponente, può disporre che la consultazione dello studio di impatto ambientale da parte del pubblico interessato sia limitata a tale versione.

5. Lo studio di impatto ambientale deve comunque contenere almeno le seguenti informazioni:

a) una descrizione del progetto con informazioni relative alle sue caratteristiche, alla sua localizzazione ed alle sue dimensioni;

b) una descrizione delle misure previste per evitare, ridurre e possibilmente compensare gli effetti negativi rilevanti;

c) i dati necessari per individuare e valutare i principali effetti sull’ambiente e sul patrimonio culturale che il progetto può produrre, sia in fase di realizzazione che in fase di esercizio;

d) una descrizione sommaria delle principali alternative prese in esame dal committente, ivi compresa la cosiddetta “pzione zero”, con indicazione delle principali ragioni della scelta, sotto il profilo dell’impatto ambientale;

e) una valutazione del rapporto costi-benefici del progetto dal punto di vista ambientale, economico e sociale.

6. Allo studio di impatto ambientale deve essere allegata una sintesi non tecnica delle caratteristiche dimensionali e funzionali dell’opera o intervento progettato e dei dati ed informazioni contenuti nello studio stesso.

7. Ai fini della predisposizione dello studio, il soggetto pubblico o privato interessato alla realizzazione delle opere o degli impianti ha diritto di accesso alle informazioni e ai dati disponibili presso gli uffici delle amministrazioni pubbliche.

ART. 28
(misure di pubblicità)

1. Le amministrazioni dello Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano l’individuazione degli uffici presso i quali, in via permanente o per casi specifici, sono depositati e consultabili dal pubblico i documenti e gli atti inerenti i procedimenti di valutazione, pendenti o conclusi, concernenti opere ed interventi attinenti le rispettive attribuzioni e competenze.

2. Contestualmente alla presentazione della domanda di cui all’articolo 26, il committente o proponente provvede a proprie spese:

a) al deposito del progetto dell’opera, dello studio di impatto ambientale e di un congruo numero di copie della sintesi non tecnica presso gli uffici individuati, ai sensi del comma 1, dalle amministrazioni dello Stato, dalle regioni e dalle province autonome interessate;

b) alla diffusione di un annuncio dell’avvenuto deposito a mezzo stampa, secondo le modalità stabilite dall’autorità competente con apposito regolamento che assicuri criteri uniformi di pubblicità per tutti i progetti sottoposti a valutazione d’impatto ambientale, garantendo che il pubblico interessato venga in tutti i casi adeguatamente informato. Il medesimo regolamento stabilisce i casi e le modalità per la contemporanea pubblicazione totale o parziale in internet del progetto. Il regolamento deve essere emanato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto. Fino all’entrata in vigore del regolamento le pubblicazioni vanno eseguite a cura e spese dell’interessato in un quotidiano a diffusione nazionale ed in un quotidiano a diffusione regionale per ciascuna regione direttamente interessata.

3. Avverso le decisioni, gli atti o le omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dal titolo III della parte seconda del presente decreto e’ sempre ammesso il ricorso secondo le norme generali in materia di impugnazione degli atti amministrativi illegittimi.

ART. 29
(partecipazione al procedimento)

1. Il soggetto interessato che intenda fornire elementi conoscitivi e valutativi concernenti i possibili effetti dell’opera o intervento progettato può presentare all’autorità competente osservazioni scritte su tale progetto, soggetto alla procedura di valutazione d’impatto ambientale, nel termine di quarantacinque giorni dalla pubblicazione di cui all’articolo 28, comma 2, lettera b). Il giudizio di compatibilità ambientale considera, contestualmente, singolarmente o per gruppi, tali osservazioni, i pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e le altre eventuali osservazioni del pubblico.

2. L’autorità competente alla valutazione dell’impatto ambientale può disporre lo svolgimento di un’inchiesta pubblica per l’esame dello studio presentato dal committente o proponente, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle osservazioni del pubblico.

3. L’inchiesta di cui al comma 2 sospende il termine di cui all’articolo 31, comma 1, e si conclude entro il sessantesimo giorno da quello nel quale essa e’ stata indetta, qualunque sia lo stadio nel quale si trovano le operazioni previste. Entro lo stesso termine, l’autorità competente redige una relazione sui lavori svolti ed un giudizio sui risultati emersi, che sono acquisiti e valutati ai fini del giudizio di cui all’articolo 31.

4. Il committente o proponente, qualora non abbia luogo l’inchiesta di cui al comma 2, può, anche su propria richiesta, essere chiamato dall’autorità competente, prima della conclusione della procedura, ad un sintetico contraddittorio con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni. Il verbale del contraddittorio e’ acquisito e valutato ai fini del giudizio di cui all’articolo 31.

5. Quando il committente o proponente intenda uniformare, in tutto o in parte, il progetto ai pareri o osservazioni, oppure ai rilievi emersi nel corso dell’inchiesta pubblica o del contraddittorio, ne fa richiesta all’autorità competente, indicando il tempo necessario. La richiesta sospende tutti i termini della procedura, che riprendono il loro corso con il deposito del progetto modificato.

ART. 30
(istruttoria tecnica)

1. L’istruttoria tecnica sui progetti di cui all’articolo 23 ha le seguenti finalità:

a) accertare la completezza della documentazione presentata;

b) verificare la rispondenza della descrizione dei luoghi e delle loro caratteristiche ambientali a quelle documentate dal proponente;

c) verificare che i dati del progetto, per quanto concerne la produzione e gestione di rifiuti liquidi e solidi, le emissioni inquinanti nell’atmosfera, i rumori ed ogni altra eventuale sorgente di potenziale inquinamento, corrispondano alle prescrizioni dettate dalle normative di settore;

d) accertare la coerenza del progetto, per quanto concerne le tecniche di realizzazione ed i processi produttivi previsti, con i dati di utilizzo delle materie prime e delle risorse naturali;

e) accertare il corretto utilizzo degli strumenti di analisi e previsione, nonche’ l’idoneità delle tecniche di rilevazione e previsione impiegate dal proponente in relazione agli effetti ambientali;

f) individuare e descrivere l’impatto complessivo della realizzazione del progetto sull’ambiente e sul patrimonio culturale anche in ordine ai livelli di qualità finale, raffrontando la situazione esistente al momento della comunicazione con la previsione di quella successiva.

ART. 31
(giudizio di compatibilità ambientale)

1. La procedura di valutazione di impatto ambientale deve concludersi con un giudizio motivato entro novanta giorni dalla pubblicazione di cui all’articolo 28, comma 2, lettera b), salvi i casi di interruzione e sospensione espressamente previsti.

2. L’inutile decorso del termine di cui al comma 1, da computarsi tenuto conto delle eventuali interruzioni e sospensioni intervenute, implica l’esercizio del potere sostituivo da parte del Consiglio dei Ministri, che provvede entro sessanta giorni, previa diffida all’organo competente ad adempiere entro il termine di venti giorni, anche su istanza delle parti interessate. In difetto, per progetti sottoposti a valutazione d’impatto ambientale in sede statale, si intende emesso giudizio negativo sulla compatibilità ambientale del progetto. Per i progetti sottoposti a valutazione d’impatto ambientale in sede non statale, si applicano le disposizioni di cui al periodo precedente fino all’entrata in vigore di apposite norme regionali e delle province autonome, da adottarsi nel rispetto della disciplina comunitaria vigente in materia.

3. L’amministrazione competente all’autorizzazione definitiva alla realizzazione dell’opera o dell’intervento progettato acquisisce il giudizio di compatibilità ambientale comprendente le eventuali prescrizioni per la mitigazione degli impatti, il monitoraggio delle opere e degli impianti e le misure previste per evitare, ridurre o eventualmente compensare rilevanti effetti negativi. Nel caso di iniziative promosse da autorità pubbliche, il provvedimento definitivo che ne autorizza la realizzazione deve adeguatamente evidenziare la conformità delle scelte effettuate agli esiti della procedura d’impatto ambientale. Negli altri casi i progetti devono essere adeguati agli esiti del giudizio di compatibilità ambientale prima del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione.

4. Gli esiti della procedura di valutazione di impatto ambientale devono essere comunicati ai soggetti del procedimento, a tutte le amministrazioni pubbliche competenti, anche in materia di controlli ambientali, e devono essere adeguatamente pubblicizzati. In particolare, le informazioni messe a disposizione del pubblico comprendono: il tenore della decisione e le condizioni che eventualmente l’accompagnano; i motivi e le considerazioni principali su cui la decisione si fonda, tenuto conto delle istanze e dei pareri del pubblico, nonche’ le informazioni relative al processo di partecipazione del pubblico; una descrizione, ove necessario, delle principali misure prescritte al fine di evitare, ridurre e se possibile compensare i più rilevanti effetti negativi.

ART. 32
(procedura di verifica)

1. Per i progetti di cui all’articolo 23, commi 1, lettera c), e 4, lettere a), b) e c), il committente o proponente richiede preliminarmente all’autorità competente la verifica ivi prevista. Le informazioni che il committente o proponente deve fornire per la predetta verifica riguardano una descrizione del progetto ed i dati necessari per individuare e valutare i principali effetti che il progetto può avere sull’ambiente.

2. Nel caso in cui l’autorità competente ritenga che il progetto debba essere sottoposto a valutazione d’impatto ambientale, si applicano gli articoli 26 e seguenti.

3. L’autorità competente deve pronunciarsi entro i sessanta giorni decorrenti dalla domanda, individuando eventuali prescrizioni per la mitigazione degli impatti e per il monitoraggio delle opere o degli impianti; avverso il silenzio inadempimento sono esperibili i rimedi previsti dalla normativa vigente. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono affinche’ l’elenco dei progetti per i quali sia stata chiesta la verifica ed i relativi esiti siano resi pubblici.

ART. 33
(relazioni tra vas e via)

1. Per progetti di opere ed interventi da realizzarsi in attuazione di piani o programmi già sottoposti a valutazione ambientale strategica, e che rientrino tra le categorie per le quali e’ prescritta la valutazione di impatto ambientale, in sede di esperimento di quest’ultima costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi positivamente valutati in sede di valutazione di impatto strategico o comunque decisi in sede di approvazione del piano o programma.

ART. 34
(relazioni tra via e ippc)

1. Per le opere e gli interventi sottoposti a valutazione di impatto ambientale e contemporaneamente rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, nonche’ per le modifiche sostanziali, secondo la definizione di cui all’articolo 5, comma 1, lettera g), di tali opere o interventi, e’ facoltà del proponente ottenere che la procedura di valutazione dell’impatto ambientale sia integrata nel procedimento per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale.

2. Ai fini di cui al comma 1, ove il proponente manifesti la volontà di avvalersi della citata facoltà:

a) il progetto e lo studio di impatto ambientale, da presentarsi ai sensi della parte seconda del presente decreto, comprendono anche le informazioni di cui all’articolo 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, con il necessario grado di dettaglio;

b) i depositi di atti e documenti, le pubblicazioni e le consultazioni previste dalla parte seconda del presente decreto sostituiscono ad ogni effetto tutte le forme di informazione e partecipazione di cui al citato decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59;

c) in pendenza della procedura di valutazione dell’impatto ambientale, il procedimento di rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, eventualmente avviato, resta sospeso;

d) l’istruttoria sullo studio di impatto ambientale e’ condotta dagli organi preposti alla istruttoria sulla domanda di autorizzazione integrata ambientale e il relativo parere di valutazione di impatto ambientale e’ integrato da quanto riguarda gli aspetti connessi alla prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento, in conformità ai principi comunitari e al dettato delle relative norme di attuazione;

e) una volta conclusa la procedura di valutazione dell’impatto ambientale, il giudizio di compatibilità ambientale viene comunicato anche all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale che riprende il relativo procedimento con la trasmissione del predetto giudizio alle amministrazioni di cui all’articolo 5, commi 10 e 11, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, per l’espressione del parere di competenza; restando le fasi precedenti assorbite nella già esperita procedura, la conferenza di servizi di cui all’articolo 5, comma 10, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e’ tenuta nei successivi trenta giorni, contestualmente alla fase finale della conferenza di servizi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55;

f) l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale si pronuncia tenuto conto del giudizio di compatibilità ambientale emesso sul progetto dell’opera o intervento per il quale detta autorizzazione e’ stata richiesta;

g) e’ tenuto a corrispondere un unico corrispettivo nella misura stabilita con il decreto di cui all’articolo 49, comma 2.

3. Le modifiche agli impianti soggetti alla disciplina recata dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, che costituiscano mera attuazione di prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale, non si considerano modifiche sostanziali ai sensi della parte seconda del presente decreto.

4. Le modifiche progettate per gli impianti soggetti alla disciplina recata dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, che ai sensi dell’articolo 10 di tale decreto legislativo non risultino sostanziali, non costituiscono modifiche sostanziali ai sensi di quanto disposto dalla parte seconda del presente decreto.

5. Per gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, nonche’ per le modifiche sostanziali agli stessi, secondo la definizione di cui all’articolo 5, comma 1, lettera g), la procedura di valutazione dell’impatto ambientale e’ integrata nel procedimento per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale. Si applica il comma 2 del presente articolo, ad esclusione del disposto di cui alla letterac).

6. Le modifiche agli impianti di produzione di energia elettrica e relative opere connesse, che siano soggetti anche alla disciplina di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e che costituiscano mere attuazioni di prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale e nell’autorizzazione di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002, n. 55, non si considerano modifiche sostanziali ai sensi della parte seconda del presente decreto e sono da ricomprendere nei relativi provvedimenti di autorizzazione.

CAPO II

DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER LA VIA IN SEDE STATALE

ART. 35
(progetti sottoposti a via in sede statale)

1. Compete al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, sentita la regione interessata e sulla base dell’istruttoria esperita dalla Commissione tecnico-consultiva di cui all’articolo 6, la valutazione di impatto ambientale dei progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui all’articolo 23 nei casi in cui si tratti:

a) di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione alla costruzione o all’esercizio da parte di organi dello Stato;

b) di opere o interventi localizzati sul territorio di più regioni o che comunque possano avere impatti rilevanti su più regioni;

c) di opere o interventi che possano avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea.

2. Per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti di cui al comma 1, le disposizioni del presente capo II integrano e specificano le disposizioni del capo I; queste ultime si applicano anche per la valutazione dei progetti di cui al comma 1 ove non diversamente disposto nel presente capo II.

ART. 36
(procedimento di valutazione)

1. Ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 26, commi 1 e 2, i progetti delle opere ed interventi di cui all’articolo 35 devono essere inoltrati al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, al Ministero per i beni e le attività culturali, alla regione territorialmente interessata, alla Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali di cui all’articolo 6 ed agli altri Ministeri eventualmente interessati. Al progetto deve essere allegato lo studio di impatto ambientale di cui all’articolo 27 e la relativa sintesi non tecnica. Qualora l’opera o intervento progettato interessi più regioni, a ciascuna regione deve essere inviata una copia del progetto, cui vanno allegati lo studio di impatto ambientale di cui all’articolo 27 e la relativa sintesi non tecnica.

2. Per le opere ed interventi che ricadano nel territorio di più enti locali, può essere depositato presso ciascuna provincia e ciascun comune solo lo stralcio del progetto e dello studio di impatto ambientale relativo alla porzione dell’opera o intervento che interessa il relativo ambito territoriale, fermo restando il deposito della sintesi non tecnica in versione integrale. Identica possibilità e’ ammessa con riguardo alle aree naturali protette ed i relativi enti di gestione.

3. Resta ferma la facoltà per il committente o proponente di richiedere in via preventiva al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio la definizione, ai sensi dell’articolo 26, comma 3, di modalità di divulgazione più adeguate e praticabili in relazione alle specifiche caratteristiche del progetto. Con le stesse modalità, su espressa richiesta del committente o proponente, possono essere definite le comunicazioni ed i depositi da effettuarsi per la riapertura avanti il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del procedimento originariamente avviato in sede regionale o provinciale, e per il quale l’autorità designata dalla regione o provincia autonoma si sia dichiarata incompetente ai sensi dell’articolo 42, comma 3.

4. Le regioni, le province ed i comuni interessati devono esprimere il loro parere entro sessanta giorni dalla data della trasmissione di cui ai commi 1 e 2. Decorso tale termine, il giudizio di compatibilità può essere emesso anche in assenza dei predetti pareri.

5. Salvo quanto disposto dal regolamento di cui all’articolo 28, comma 2, lettera b), l’annuncio dell’avvenuta presentazione deve essere comunque pubblicato, a cura del committente o proponente, almeno in un quotidiano a diffusione nazionale e in un quotidiano a diffusione regionale per ciascuna regione territorialmente interessata.

6. Chiunque vi abbia interesse, ai sensi delle leggi vigenti, può presentare al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, oppure direttamente alla Commissione tecnico-consultiva di cui all’articolo 6, e alla regione interessata istanze, osservazioni o pareri scritti sull’opera soggetta a valutazione di impatto ambientale, nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione dell’avvenuta comunicazione del progetto.

7. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sulla base dell’istruttoria svolta ai sensi dell’articolo 37, si pronuncia sulla compatibilità ambientale, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e con il Ministro proponente, entro novanta giorni dalla data dell’ultima delle pubblicazioni di cui al comma 5, e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dall’ultima delle trasmissioni di cui ai commi 1 e 2, salvo proroga deliberata dal Consiglio dei Ministri in casi di particolare rilevanza.

8. L’inutile decorso dei termini di cui al comma 7, da computarsi tenuto conto delle eventuali interruzioni e sospensioni intervenute, implica l’esercizio del potere sostituivo da parte del Consiglio dei Ministri, che provvede ai sensi e con gli effetti di cui all’articolo 31, comma 2.

9. Per le opere di cui al comma 1, lettera a), dell’articolo 35, il Ministro competente alla loro realizzazione, ove non ritenga di uniformare il progetto proposto al giudizio di compatibilità del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, può proporre motivatamente al Presidente del Consiglio dei Ministri l’adozione di un provvedimento di revisione di tale giudizio, o disporre la non realizzazione del progetto. Sulla proposta di revisione il Consiglio dei Ministri si esprime nei termini e con gli effetti di cui al comma 8 del presente articolo.

ART. 37
(compiti istruttori della commissione tecnico-consultiva)

1. Le attività tecnico-istruttorie per la valutazione ambientale dei progetti di opere ed interventi di competenza dello Stato sono svolte dalla Commissione di cui all’articolo 6. A tal fine il vicepresidente competente, per ogni progetto inviatogli ai sensi dell’articolo 26, comma 1, provvede alla costituzione di apposita sottocommissione secondo i criteri di cui all’articolo 6, comma 5; ove ne ricorrano i presupposti la sottocommissione e’ integrata ai sensi del comma 6 del medesimo articolo 6. Il presente comma non si applica agli impianti disciplinati dai commi 8, 9, 10 e 11.

2. Ove la sottocommissione verifichi l’incompletezza della documentazione presentata, ne può richiedere l’integrazione. In tal caso i termini temporali del procedimento restano sospesi fino al ricevimento delle integrazioni richieste. Nel caso in cui il soggetto interessato non provveda a fornire le integrazioni richieste entro i trenta giorni successivi, o entro il diverso termine specificato nella richiesta di integrazioni stessa in considerazione della possibile difficoltà a produrre determinate informazioni, il procedimento viene archiviato. E’ comunque facoltà del committente o proponente presentare una nuova domanda.

3. La sottocommissione incaricata acquisisce e valuta tutta la documentazione presentata, nonche’ le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati ai sensi degli articoli 36, commi 4 e 6, e 39, ed esprime il proprio parere motivato entro il termine di trenta giorni a decorrere dalla scadenza di tutti i termini di cui ai citati articoli 36, commi 4 e 6, e 39, fatta comunque salva la sospensione eventualmente disposta ai sensi del comma 2.

4. Il parere emesso dalla sottocommissione e’ trasmesso, entro dieci giorni dalla sua verbalizazione, dal competente vicepresidente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, per l’adozione del giudizio di compatibilità ambientale ai sensi del comma 7 dell’articolo 36.

5. Nei casi in cui, in base alle procedure di approvazione previste, la valutazione di impatto ambientale venga eseguita su progetti preliminari, la sottocommissione ha, altresì, il compito di verificare l’ottemperanza del progetto definitivo alle prescrizioni del giudizio di compatibilità ambientale e di effettuare gli opportuni controlli in tal senso.

6. Qualora nel corso delle verifiche di cui al comma 5 si accerti che il progetto definitivo differisce da quello preliminare quanto alle aree interessate oppure alle risorse ambientali coinvolte, o comunque che risulta da esso sensibilmente diverso, la sottocommissione trasmette specifico rapporto al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che adotta i provvedimenti relativi all’aggiornamento dello studio di impatto ambientale e dispone la nuova pubblicazione dello stesso, anche ai fini dell’invio di osservazioni da parte dei soggetti pubblici e privati interessati.

7. Ai fini dello svolgimento dei compiti di cui ai commi 5 e 6, il proponente e’ tenuto, pena la decadenza dell’autorizzazione alla realizzazione del progetto o del titolo abilitante alla trasformazione del territorio, a trasmettere il progetto definitivo alla competente sottocommissione prima dell’avvio della realizzazione dell’opera.

ART. 38
(fase preliminare e verifica preventiva)

1. Per i progetti di cui all’articolo 35, la Commissione tecnico-consultiva di cui all’articolo 6 provvede all’istruttoria anche per le fasi preliminari ed eventuali di verifica preventiva, di cui, rispettivamente, agli articoli 26, comma 3, 27, comma 2, 32 e 36, comma 3.

2. Ai fini di cui al comma 1, le relative richieste sono rivolte direttamente al vicepresidente della Commissione competente per materia, che provvede alla costituzione, secondo i criteri di cui all’articolo 6, commi 5 e 6, delle sottocommissioni cui vengono assegnate le relative istruttorie.

3. La sottocommissione costituita per la fase preliminare relativa ad un determinato progetto provvede poi anche all’istruttoria di cui all’articolo 37 relativa al medesimo progetto. Lo stesso vale per la sottocommissione costituita per la verifica preventiva in caso di esito positivo di detta procedura preliminare.

ART. 39
(procedure per i progetti con impatti ambientali transfrontalieri)

1. Qualora l’opera o l’intervento progettato possa avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro dell’Unione europea, ovvero qualora lo Stato membro che potrebbe essere coinvolto in maniera significativa ne faccia richiesta, al medesimo Stato devono essere trasmesse quanto meno:

a) una descrizione del progetto corredata di tutte le informazioni disponibili circa il suo eventuale impatto transfrontaliero;

b) informazioni sulla natura della decisione che può essere adottata.

2. Se lo Stato membro, cui siano pervenute le informazioni di cui al comma 1, entro i successivi trenta giorni comunica che intende partecipare alla procedura di valutazione in corso, allo stesso Stato, qualora non vi si sia già provveduto, devono essere trasmessi in copia la domanda del committente o proponente, il progetto dell’opera o intervento, lo studio di impatto ambientale e la sintesi non tecnica.

3. Con la trasmissione della documentazione di cui al comma 2 viene assegnato allo Stato interessato un termine di trenta giorni per presentare eventuali osservazioni, salvo che detto Stato non abbia adottato la decisione di esprimere il proprio parere previa consultazione al proprio interno delle autorità competenti e del pubblico interessato, nel qual caso viene assegnato un congruo termine, comunque non superiore a novanta giorni.

4. Modalità più dettagliate per l’attuazione del presente articolo possono essere concordate caso per caso con lo Stato membro interessato, ferma restando la previsione di condizioni adeguate di partecipazione del pubblico alle procedure decisionali.

5. In pendenza dei termini di cui al comma 3, ogni altro termine della procedura resta sospeso.

ART. 40
(effetti del giudizio di compatibilità ambientale)

1. Gli esiti della procedura di valutazione di impatto ambientale devono essere comunicati ai soggetti del procedimento, a tutte le amministrazioni pubbliche competenti, anche in materia di controlli ambientali, e devono essere adeguatamente pubblicizzati. In particolare, le informazioni messe a disposizione del pubblico comprendono: il tenore della decisione e le condizioni che eventualmente l’accompagnano; i motivi e le considerazioni principali su cui la decisione si fonda, tenuto conto delle istanze e dei pareri del pubblico, nonche’ le informazioni relative al processo di partecipazione del pubblico; una descrizione, ove necessario, delle principali misure prescritte al fine di evitare, ridurre e se possibile compensare i più rilevanti effetti negativi.

2. Il giudizio di compatibilità ambientale comprendente le eventuali prescrizioni per la mitigazione degli impatti ed il monitoraggio delle opere e degli impianti deve, in particolare, essere acquisito dall’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione definitiva alla realizzazione dell’opera o dell’intervento progettato.

3. Nel caso di iniziative promosse da autorità pubbliche, il provvedimento definitivo che ne autorizza la realizzazione deve adeguatamente evidenziare la conformità delle scelte effettuate agli esiti della procedura d’impatto ambientale. Negli altri casi, i progetti devono essere adeguati agli esiti del giudizio di compatibilità ambientale prima del rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione.

4. Nel caso di opere non realizzate almeno per il venti per cento entro tre anni dal giudizio di compatibilità ambientale, la procedura deve essere riaperta per valutare se le informazioni riguardanti il territorio e lo stato delle risorse abbiano subito nel frattempo mutamenti rilevanti. In ogni caso il giudizio di compatibilità ambientale cessa di avere efficacia al compimento del quinto anno dalla sua emanazione.

ART. 41
(controlli successivi)

1. Qualora durante l’esecuzione delle opere di cui all’articolo 35 la Commissione di cui all’articolo 6 ravvisi situazioni contrastanti con il giudizio espresso sulla compatibilità ambientale del progetto, oppure comportamenti contrastanti con le prescrizioni ad esso relative o comunque tali da compromettere fondamentali esigenze di equilibrio ecologico e ambientale, ne dà tempestiva comunicazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, il quale, esperite le opportune verifiche, ordina la sospensione dei lavori e impartisce le prescrizioni necessarie al ripristino delle condizioni di compatibilità ambientale dei lavori medesimi.

CAPO III

DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER LA VIA IN SEDE REGIONALE O PROVINCIALE

ART. 42
(progetti sottoposti a via in sede regionale o provinciale)

1. Sono sottoposti a valutazione di impatto ambientale in sede regionale o provinciale i progetti di opere ed interventi rientranti nelle categorie di cui all’articolo 23, salvo si tratti di opere o interventi sottoposti ad autorizzazione statale o aventi impatto ambientale interregionale o internazionale ai sensi dell’articolo 35.

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono definire, per determinate tipologie progettuali e/o aree predeterminate, sulla base degli elementi indicati nell’Allegato IV alla parte seconda del presente decreto, un incremento delle soglie di cui all’elenco B dell’Allegato III alla parte seconda del presente decreto fino alla misura del venti per cento.

3. Qualora dall’istruttoria esperita in sede regionale o provinciale emerga che l’opera o intervento progettato può avere impatti rilevanti anche sul territorio di altre regioni o province autonome o di altri Stati membri dell’Unione europea, l’autorità competente con proprio provvedimento motivato si dichiara incompetente e rimette gli atti alla Commissione tecnico-consultiva di cui all’articolo 6 per il loro eventuale utilizzo nel procedimento riaperto in sede statale. In tale ipotesi e’ facoltà del committente o proponente chiedere, ai sensi dell’articolo 36, comma 3, la definizione in via preliminare delle modalità per il rinnovo parziale o totale della fase di apertura del procedimento.

4. Qualora si accerti che il progetto definitivo differisce da quello preliminare quanto alle aree interessate oppure alle risorse ambientali coinvolte, o comunque che risulta da esso sensibilmente diverso, l’autorità competente adotta i provvedimenti relativi all’aggiornamento dello studio di impatto ambientale e dispone la nuova pubblicazione dello stesso, anche ai fini dell’invio di osservazioni da parte dei soggetti pubblici e privati interessati.

ART. 43
(procedure di via in sede regionale o provinciale)

1. Ferme restando le disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33 e 34, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi e regolamenti le procedure per la valutazione di impatto ambientale dei progetti di cui all’articolo 42, comma 1.

2. Fino all’entrata in vigore delle discipline regionali e provinciali di cui al comma 1, trovano applicazione le disposizioni di cui alla parte seconda del presente decreto.

3. Nel disciplinare i contenuti e la procedura di valutazione d’impatto ambientale le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano comunque che siano individuati:

a) l’autorità competente in materia di valutazione di impatto ambientale;

b) l’organo tecnico competente allo svolgimento dell’istruttoria;

c) le eventuali deleghe agli enti locali per particolari tipologie progettuali;

d) le eventuali modalità, ulteriori o in deroga rispetto a quelle indicate nella parte seconda del presente decreto, per l’informazione e la consultazione del pubblico;

e) le modalità di realizzazione o adeguamento delle cartografie, degli strumenti informativi territoriali di supporto e di un archivio degli studi di impatto ambientale consultabile dal pubblico;

f) i criteri integrativi con i quali vengono definiti le province ed i comuni interessati dal progetto.

4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono individuare appropriate forme di pubblicità, ulteriori rispetto a quelle previste nel regolamento di cui all’articolo 28, comma 2, lettera b).

5. Qualora durante l’esecuzione delle opere di cui all’articolo 42 siano ravvisate situazioni contrastanti con il giudizio espresso sulla compatibilità ambientale del progetto, oppure comportamenti contrastanti con le prescrizioni ad esso relative o comunque tali da compromettere fondamentali esigenze di equilibrio ecologico e ambientale, l’autorità competente, esperite le opportune verifiche, ordina la sospensione dei lavori e impartisce le prescrizioni necessarie al ripristino delle condizioni di compatibilità ambientale dei lavori medesimi.

ART. 44
(termini del procedimento)

1. Ferme restando le ipotesi di sospensione e di interruzione, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono stabilire, in casi di particolare rilevanza, la prorogabilità dei termini per la conclusione della procedura sino ad un massimo di sessanta giorni.

ART. 45
(coordinamento ed integrazione dei procedimenti amministrativi)

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano definiscono le modalità per l’armonizzazione, il coordinamento e, se possibile, l’integrazione della procedura di valutazione dell’impatto ambientale con le procedure ordinarie di assenso alla realizzazione delle opere.

2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano integrano e specificano, in relazione alle rispettive disposizioni legislative e regolamentari, quanto disposto dagli articoli 33 e 34.

ART. 46
(procedure semplificate ed esoneri)

1. Per i progetti di dimensioni ridotte o di durata limitata realizzati da artigiani o piccole imprese, nonche’ per le richieste di verifica di cui all’articolo 32, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano promuovono modalità semplificate.

2. Per i progetti di cui all’articolo 23, comma 1, lettera c), le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, sulla base degli elementi di cui all’Allegato IV alla parte seconda del presente decreto, criteri o condizioni di esclusione dalla procedura.

ART. 47
(obblighi di informazione)

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano informano, ogni dodici mesi, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio circa i provvedimenti adottati, i procedimenti di valutazione di impatto ambientale in corso e lo stato di definizione delle cartografie e degli strumenti informativi.

TITOLO IV

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

ART. 48
(abrogazioni)

1. Fatto salvo quanto previsto dal comma 3, a decorrere dalla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto sono abrogati:

a) l’articolo 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349;

b) l’articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67;

c) il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 7 settembre 1996;

d) l’articolo 27 della legge 30 aprile 1999, n. 136;

e) il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 settembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 1999;

f) il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° settembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 11 ottobre 2000;

g) l’articolo 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93;

h) l’articolo 19, commi 2 e 3, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190;

i) l’articolo 77, commi 1 e 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289;

l) gli articoli 1 e 2 del decreto-legge 14 novembre 2003, n. 315, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 gennaio 2004, n. 5;

m) l’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59;

n) l’articolo 30 della legge 18 aprile 2005, n. 62.

2. La Commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali di cui all’articolo 6 provvede, attraverso proprie sottocommissioni costituite secondo le modalità di cui al comma 5 del citato articolo 6, alle attività già di competenza delle commissioni di cui all’articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, ed all’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59. Ogni riferimento a tali commissioni contenuto nella citata legge 11 marzo 1988, n. 67 e nei citati decreti legislativi 20 agosto 2002, n. 190, e 18 febbraio 2005, n. 59, si deve intendere riferito alle sottocommissioni di cui all’articolo 6, comma 5, di volta in volta costituite.

3. Fino all’entrata in vigore del decreto di determinazione delle tariffe previsto dall’articolo 49, comma 2, resta sospesa l’applicazione del comma 1, lettere b), d), g), h), i), l) ed m), del presente articolo e pertanto continuano a svolgere le funzioni di propria competenza le commissioni di cui all’articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, all’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, ed all’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.

ART. 49
(provvedimenti di attuazione per la costituzione e funzionamento della commissione tecnico-consultiva per le valutazioni ambientali)

1. Il decreto di cui all’articolo 6, comma 1, e’ adottato entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. In sede di prima attuazione del presente decreto, i componenti delle commissioni tecnico-consultive di cui all’articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, all’articolo 19, commi 2 e 3, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, ed all’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, restano in carica, in continuità con le attività svolte nelle commissioni di provenienza, assumendo le funzioni di componenti della commissione di cui all’articolo 6 fino alla scadenza del quarto anno dall’entrata in vigore della parte seconda del presente decreto; tale commissione viene integrata nei casi e con le modalità previste dall’articolo 6, commi 6, 7 e 8.

2. Entro il medesimo termine di novanta giorni, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono disciplinate le modalità, anche contabili, e le tariffe da applicare in relazione alle istruttorie e ai controlli previsti dalla parte seconda del presente decreto, comprese le verifiche preventive di cui agli articoli 7, comma 5, e 19, commi 1 e 2, la fase preliminare e quella di conduzione di procedimenti integrati ai sensi dell’articolo 34, comma 1, nonche’ i compensi spettanti ai membri della Commissione di cui all’articolo 6. Gli oneri per l’istruttoria e per i controlli sono quantificati in relazione alla dimensione e complessità del progetto, al suo valore economico, al numero ed alla tipologia delle componenti ambientali interessate, tenuto conto della event uale presenza di sistemi di gestione registrati o certificati e delle spese di funzionamento della Commissione. Tali oneri, posti a carico del committente o proponente, sono utilizzati esclusivamente per le predette spese. A tale fine, per gli impianti di competenza statale gli importi delle tariffe vengono versati all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati entro sessanta giorni allo stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

3. Entro i successivi quindici giorni ciascuna regione e provincia autonoma comunica al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio il proprio elenco di esperti di cui all’articolo 6, comma 6, con l’ordine di turnazione secondo il quale, all’occorrenza, dovranno essere convocati in sottocommissione.

4. L’operatività della Commissione di cui all’articolo 6 e’ subordinata all’entrata in vigore del decreto di determinazione delle tariffe previsto dal comma 2.

5. Sono comunque confermate le autorizzazioni di spesa già disposte ai sensi dell’articolo 18, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e dell’articolo 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93.

6. Al fine di garantire l’operatività della commissione di cui all’articolo 5, comma 9, del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, nelle more dell’adozione del decreto di cui all’articolo 18, comma 2 del citato decreto legislativo n. 59/2005, e fino all’entrata in vigore del decreto di determinazione delle tariffe di cui al comma 2 del presente articolo, per le spese di funzionamento nonche’ per il pagamento dei compensi spettanti ai componenti della predetta commissione nominata con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 4 gennaio 2006, e’ posto a carico del richiedente il versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma forfetaria pari ad curo venticinquemila per ogni richiesta di autorizzazione integrata ambientale per impianti di competenza statale; la predetta somma e’ riassegnata entro sessanta giorni, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. L e somme di cui al presente comma s’intendono versate a titolo di acconto, fermo restando l’obbligo del richiedente di corrispondere conguaglio in relazione all’eventuale differenza risultante in base a quanto stabilito dal successivo decreto di determinazione delle tariffe, fissate per la copertura integrale del costo effettivo del servizio reso.

ART. 50
(adeguamento delle disposizioni regionali e provinciali)

1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono affinche’ le disposizioni legislative e regolamentari emanate per adeguare i rispettivi ordinamenti alla parte seconda del presente decreto entrino in vigore entro il termine di centoventi giorni dalla pubblicazione del presente decreto. In mancanza delle disposizioni suddette trovano applicazione le norme della parte seconda del presente decreto e dei suoi Allegati.

ART. 51
(regolamenti e norme tecniche integrative – autorizzazione unica ambientale per le piccole imprese)

1. Al fine di semplificare le procedure di valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale, con appositi regolamenti, emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, possono essere adottate norme puntuali per una migliore integrazione di dette valutazioni negli specifici procedimenti amministrativi vigenti di approvazione o autorizzazione dei piani o programmi e delle opere o interventi sottoposti a valutazione.

2. A decorrere dalla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, non trova applicazione il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377, in materia di impianti di gestione di rifiuti soggetti a valutazione di impatto ambientale di competenza statale, fermo restando che, per le opere o interventi sottoposti a valutazione di impatto ambientale, fino all’emanazione dei regolamenti di cui al comma 1 continuano ad applicarsi, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 2 del suddetto decreto.

3. Le norme tecniche integrative della disciplina di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto, concernenti la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione dei giudizi di compatibilità in relazione a ciascuna categoria di opere, sono emanate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti per materia e sentita la Commissione di cui all’articolo 6.

4. Le norme tecniche emanate in attuazione delle disposizioni di legge di cui all’articolo 48, ivi compreso il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 dicembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 1989, restano in vigore fino all’emanazione delle corrispondenti norme di cui al comma 3.

5. Con successivo decreto, adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro delle attività produttive, si provvederà ad accorpare in un unico provvedimento, indicando l’autorità unica competente, le diverse autorizzazioni ambientali nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, ma sottoposti a più di una autorizzazione ambientale di settore.

ART. 52
(entrata in vigore)

1. Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 49 e 50, la parte seconda del presente decreto entra in vigore centoventi giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

2. I procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, nonche’ i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell’interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all’epoca della presentazione di detta istanza.

PARTE TERZA

NORME IN MATERIA DI DIFESA DEL SUOLO E LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE, DI TUTELA DELLE ACQUE DALL’INQUINAMENTO E DI
GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE

SEZIONE I

NORME IN MATERIA DI DIFESA DEL SUOLO E LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE

TITOLO I

PRINCIPI GENERALI E COMPETENZE

CAPO I

PRINCIPI GENERALI

ART. 53
(finalità)

1. Le disposizioni di cui alla presente sezione sono volte ad assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione.

2. Per il conseguimento delle finalità di cui al comma 1, la pubblica amministrazione svolge ogni opportuna azione di carattere conoscitivo, di programmazione e pianificazione degli interventi, nonche’ preordinata alla loro esecuzione, in conformità alle disposizioni che seguono.

3. Alla realizzazione delle attività previste al comma 1 concorrono, secondo le rispettive competenze, lo Stato, le regioni a statuto speciale ed ordinario, le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane e i consorzi di bonifica e di irrigazione.

ART. 54
(definizioni)

1. Ai fini della presente sezione si intende per:

a) suolo: il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali;

b) acque: le acque meteoriche e le acque superficiali e sotterranee come di seguito specificate;

c) acque superficiali: le acque interne, ad eccezione delle sole acque sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali;

d) acque sotterranee: tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo o il sottosuolo;

e) acque interne: tutte le acque superficiali correnti o stagnanti e tutte le acque sotterranee all’interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali;

f) fiume: un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie, ma che può essere parzialmente sotterraneo;

g) lago: un corpo idrico superficiale interno fermo;

h) acque di transizione: i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce;

i) acque costiere: le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali, e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione;

l) corpo idrico superficiale: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, un fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, nonche’ di acque di transizione o un tratto di acque costiere;

m) corpo idrico artificiale: un corpo idrico superficiale creato da un’attività umana;

n) corpo idrico fortemente modificato: un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un’attività umana, e’ sostanzialmente modificata;

o) corpo idrico sotterraneo: un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere;

p) falda acquifera: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee;

q) reticolo idrografico: l’insieme degli elementi che costituiscono il sistema drenante alveato del bacino idrografico;

r) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta;

s) sottobacino o sub-bacino: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d’acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume;

t) distretto idrografico: area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici;

u) difesa del suolo: il complesso delle azioni ed attività riferibili alla tutela e salvaguardia del territorio, dei fiumi, dei canali e collettori, degli specchi lacuali, delle lagune, della fascia costiera, delle acque sotterranee, nonche’ del territorio a questi connessi, aventi le finalità di ridurre il rischio idraulico, stabilizzare i fenomeni di dissesto geologico, ottimizzare l’uso e la gestione del patrimonio idrico, valorizzare le caratteristiche ambientali e paesaggistiche collegate;

v) dissesto idrogeologico: la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo o dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio;

z) opera idraulica: l’insieme degli elementi che costituiscono il sistema drenante alveato del bacino idrografico.

ART. 55
(attività conoscitiva)

1. Nell’attività conoscitiva, svolta per le finalità di cui all’articolo 53 e riferita all’intero territorio nazionale, si intendono comprese le azioni di:

a) raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati;

b) accertamento, sperimentazione, ricerca e studio degli elementi dell’ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio;

c) formazione ed aggiornamento delle carte tematiche del territorio;

d) valutazione e studio degli effetti conseguenti alla esecuzione dei piani, dei programmi e dei progetti di opere previsti dalla presente sezione;

e) attuazione di ogni iniziativa a carattere conoscitivo ritenuta necessaria per il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 53.

2. L’attività conoscitiva di cui al presente articolo e’ svolta, sulla base delle deliberazioni di cui all’articolo 57, comma 1, secondo criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione e consultazione, nonche’ modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque operanti nel settore, che garantiscano la possibilità di omogenea elaborazione ed analisi e la costituzione e gestione, ad opera del Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) di cui all’articolo 38 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, di un unico sistema informativo, cui vanno raccordati i sistemi informativi regionali e quelli delle province autonome.

3. E’ fatto obbligo alle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonche’ alle istituzioni ed agli enti pubblici, anche economici, che comunque raccolgano dati nel settore della difesa del suolo, di trasmetterli alla regione territorialmente interessata ed al Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), secondo le modalità definite ai sensi del comma 2 del presente articolo.

4. L’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI) contribuisce allo svolgimento dell’attività conoscitiva di cui al presente articolo, in particolare ai fini dell’attuazione delle iniziative di cui al comma 1, lettera e), nonche’ ai fini della diffusione dell’informazione ambientale di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di recepimento della direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003, e in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e altresì con riguardo a:

a) inquinamento dell’aria;

b) inquinamento delle acque, riqualificazione fluviale e ciclo idrico integrato;

c) inquinamento acustico, elettromagnetico e luminoso;

d) tutela del territorio;

e) sviluppo sostenibile;

f) ciclo integrato dei rifiuti;

g) energie da fonti energetiche rinnovabili;

h) parchi e aree protette.

5. L’ANCI provvede all’esercizio delle attività di cui al comma 4 attraverso la raccolta e l’elaborazione dei dati necessari al monitoraggio della spesa ambientale sul territorio nazionale in regime di convenzione con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio sono definiti i criteri e le modalità di esercizio delle suddette attività. Per lo svolgimento di queste ultime viene destinata, nei limiti delle previsioni di spesa di cui alla convenzione in essere, una somma non inferiore all’uno e cinquanta per cento dell’ammontare della massa spendibile annualmente delle spese d’investimento previste per il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Per l’esercizio finanziario 2006, all’onere di cui sopra si provvede a valere sul fondo da ripartire per la difesa del suolo e la tutela ambientale.

ART. 56
(attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione)

1. Le attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi destinati a realizzare le finalità di cui all’articolo 53 riguardano, ferme restando le competenze e le attività istituzionali proprie del Servizio nazionale di protezione civile, in particolare:

a) la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico;

b) la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua, dei rami terminali dei fiumi e delle loro foci nel mare, nonche’ delle zone umide;

c) la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi di invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti;

d) la disciplina delle attività estrattive nei corsi d’acqua, nei laghi, nelle lagune ed in mare, al fine di prevenire il dissesto del territorio, inclusi erosione ed abbassamento degli alvei e delle coste; e) la difesa e il consolidamento dei versanti e delle aree instabili, nonche’ la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i movimenti franosi, le valanghe e altri fenomeni di dissesto;

f) il contenimento dei fenomeni di subsidenza dei suoli e di risalita delle acque marine lungo i fiumi e nelle falde idriche, anche mediante operazioni di ristabilimento delle preesistenti condizioni di equilibrio e delle falde sotterranee;

g) la protezione delle coste e degli abitati dall’invasione e dall’erosione delle acque marine ed il ripascimento degli arenili, anche mediante opere di ricostituzione dei cordoni dunosi;

h) la razionale utilizzazione delle risorse idriche superficiali e profonde, con una efficiente rete idraulica, irrigua ed idrica, garantendo, comunque, che l’insieme delle derivazioni non pregiudichi il minimo deflusso vitale negli alvei sottesi nonche’ la polizia delle acque;

i) lo svolgimento funzionale dei servizi di polizia idraulica, di navigazione interna, nonche’ della gestione dei relativi impianti;

l) la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e la conservazione dei beni;

m) la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi di cui alle lettere precedenti ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la determinazione di criteri per la salvaguardia e la conservazione delle aree demaniali e la costituzione di parchi fluviali e lacuali e di aree protette;

n) il riordino del vincolo idrogeologico.

2. Le attività di cui al comma 1 sono svolte secondo criteri, metodi e standard, nonche’ modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici comunque competenti, preordinati, tra l’altro, a garantire omogeneità di:

a) condizioni di salvaguardia della vita umana e del territorio, ivi compresi gli abitati ed i beni;

b) modalità di utilizzazione delle risorse e dei beni, e di gestione dei servizi connessi.

CAPO II

COMPETENZE

ART. 57
(Presidente del Consiglio dei Ministri, Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo)

1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, approva con proprio decreto:

a) su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio:

1) le deliberazioni concernenti i metodi ed i criteri, anche tecnici, per lo svolgimento delle attività di cui agli articoli 55 e 56, nonche’ per la verifica ed il controllo dei piani di bacino e dei programmi di intervento;

2) i piani di bacino, sentita la Conferenza Stato-regioni;

3) gli atti volti a provvedere in via sostitutiva, previa diffida, in caso di persistente inattività dei soggetti ai quali sono demandate le funzioni previste dalla presente sezione;

4) ogni altro atto di indirizzo e coordinamento nel settore disciplinato dalla presente sezione;

b) su proposta del Comitato dei Ministri di cui al comma 2, il programma nazionale di intervento.

2. Il Comitato dei Ministri per gli interventi nel settore della difesa del suolo opera presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Comitato presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, e’ composto da quest’ultimo e dai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per gli affari regionali e per i beni e le attività culturali, nonche’ dal delegato del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di protezione civile.

3. Il Comitato dei Ministri ha funzioni di alta vigilanza ed adotta gli atti di indirizzo e di coordinamento delle attività. Propone al Presidente del Consiglio dei Ministri lo schema di programma nazionale di intervento, che coordina con quelli delle regioni e degli altri enti pubblici a carattere nazionale, verificandone l’attuazione.

4. Al fine di assicurare il necessario coordinamento tra le diverse amministrazioni interessate, il Comitato dei Ministri propone gli indirizzi delle politiche settoriali direttamente o indirettamente connesse con gli obiettivi e i contenuti della pianificazione di distretto e ne verifica la coerenza nella fase di approvazione dei relativi atti.

5. Per lo svolgimento delle funzioni di segreteria tecnica, il Comitato dei Ministri si avvale delle strutture delle Amministrazioni statali competenti.

6. I principi degli atti di indirizzo e coordinamento di cui al presente articolo sono definiti sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

ART. 58
(competenze del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio)

1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato nelle materie disciplinate dalla presente sezione, ferme restando le competenze istituzionali del Servizio nazionale di protezione civile.

2. In particolare, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio:

a) formula proposte, sentita la Conferenza Stato-regioni, ai fini dell’adozione, ai sensi dell’articolo 57, degli indirizzi e dei criteri per lo svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna e per la realizzazione, gestione e manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni;

b) predispone la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico, da allegare alla relazione sullo stato dell’ambiente di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349, nonche’ la relazione sullo stato di attuazione dei programmi triennali di intervento per la difesa del suolo, di cui all’articolo 69, da allegare alla relazione previsionale e programmatica. La relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico e la relazione sullo stato dell’ambiente sono redatte avvalendosi del Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT);

c) opera, ai sensi dell’articolo 2, commi 5 e 6, della legge 8 luglio 1986, n. 349, per assicurare il coordinamento, ad ogni livello di pianificazione, delle funzioni di difesa del suolo con gli interventi per la tutela e l’utilizzazione delle acque e per la tutela dell’ambiente.

3. Ai fini di cui al comma 2, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio svolge le seguenti funzioni:

a) programmazione, finanziamento e controllo degli interventi in materia di difesa del suolo;

b) previsione, prevenzione e difesa del suolo da frane, alluvioni e altri fenomeni di dissesto idrogeologico, nel medio e nel lungo termine al fine di garantire condizioni ambientali permanenti ed omogenee, ferme restando le competenze del Dipartimento della protezione civile in merito agli interventi di somma urgenza;

c) indirizzo e coordinamento dell’attività dei rappresentanti del Ministero in seno alle Autorità di bacino distrettuale di cui all’articolo 63;

d) identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali e ambientali e alla difesa del suolo, nonche’ con riguardo all’impatto ambientale dell’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali, delle opere di competenza statale e delle trasformazioni territoriali;

e) determinazione di criteri, metodi e standard di raccolta, elaborazione, da parte del Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), e di consultazione dei dati, definizione di modalità di coordinamento e di collaborazione tra i soggetti pubblici operanti nel settore, nonche’ definizione degli indirizzi per l’accertamento e lo studio degli elementi dell’ambiente fisico e delle condizioni generali di rischio;

f) valutazione degli effetti conseguenti all’esecuzione dei piani, dei programmi e dei progetti su scala nazionale di opere nel settore della difesa del suolo;

g) coordinamento dei sistemi cartografici.

ART. 59
(competenze della Conferenza Stato-regioni)

1. La Conferenza Stato-regioni formula pareri, proposte ed osservazioni, anche ai fini dell’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 57, in ordine alle attività ed alle finalità di cui alla presente sezione, ed ogni qualvolta ne e’ richiesta dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. In particolare:

a) formula proposte per l’adozione degli indirizzi, dei metodi e dei criteri di cui al predetto articolo 57;

b) formula proposte per il costante adeguamento scientifico ed organizzativo del Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e per il suo coordinamento con i servizi, gli istituti, gli uffici e gli enti pubblici e privati che svolgono attività di rilevazione, studio e ricerca in materie riguardanti, direttamente o indirettamente, il settore della difesa del suolo;

c) formula osservazioni sui piani di bacino, ai fini della loro conformità agli indirizzi e ai criteri di cui all’articolo 57;

d) esprime pareri sulla ripartizione degli stanziamenti autorizzati da ciascun programma triennale tra i soggetti preposti all’attuazione delle opere e degli interventi individuati dai piani di bacino;

e) esprime pareri sui programmi di intervento di competenza statale.

ART. 60
(competenze dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici – APAT)

1. Ferme restando le competenze e le attività istituzionali proprie del Servizio nazionale di protezione civile, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) esercita, mediante il Servizio geologico d’Italia Dipartimento difesa del suolo, le seguenti funzioni:

a) svolgere l’attività conoscitiva, qual e’ definita all’articolo 55;

b) realizzare il sistema informativo unico e la rete nazionale integrati di rilevamento e sorveglianza;

c) fornire, a chiunque ne formuli richiesta, dati, pareri e consulenze, secondo un tariffario fissato ogni biennio con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Le tariffe sono stabilite in base al principio della partecipazione al costo delle prestazioni da parte di chi ne usufruisca.

ART. 61
(competenze delle regioni)

1. Le regioni, ferme restando le attività da queste svolte nell’ambito delle competenze del Servizio nazionale di protezione civile, ove occorra d’intesa tra loro, esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali, ed in particolare:

a) collaborano nel rilevamento e nell’elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici secondo le direttive assunte dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4, ed adottano gli atti di competenza;

b) formulano proposte per la formazione dei programmi e per la redazione di studi e di progetti relativi ai distretti idrografici;

c) provvedono alla elaborazione, adozione, approvazione ed attuazione dei piani di tutela di cui all’articolo 121;

d) per la parte di propria competenza, dispongono la redazione e provvedono all’approvazione e all’esecuzione dei progetti, degli interventi e delle opere da realizzare nei distretti idrografici, istituendo, ove occorra, gestioni comuni;

e) provvedono, per la parte di propria competenza, all’organizzazione e al funzionamento del servizio di polizia idraulica ed a quelli per la gestione e la manutenzione delle opere e degli impianti e la conservazione dei beni;

f) provvedono all’organizzazione e al funzionamento della navigazione interna, ferme restando le residue competenze spettanti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

g) predispongono annualmente la relazione sull’uso del suolo e sulle condizioni dell’assetto idrogeologico del territorio di competenza e sullo stato di attuazione del programma triennale in corso e la trasmettono al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio entro il mese di dicembre;

h) assumono ogni altra iniziativa ritenuta necessaria in materia di conservazione e difesa del territorio, del suolo e del sottosuolo e di tutela ed uso delle acque nei bacini idrografici di competenza ed esercitano ogni altra funzione prevista dalla presente sezione.

2. Il Registro italiano dighe (RID) provvede in via esclusiva, anche nelle zone sismiche, alla identificazione e al controllo dei progetti delle opere di sbarramento, delle dighe di ritenuta o traverse che superano 15 metri di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a 1.000.000 di metri cubi. Restano di competenza del Ministero delle attività produttive tutte le opere di sbarramento che determinano invasi adibiti esclusivamente a deposito o decantazione o lavaggio di residui industriali.

3. Rientrano nella competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano le attribuzioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, per gli sbarramenti che non superano i 15 metri di altezza e che determinano un invaso non superiore a 1.000.000 di metri cubi. Per tali sbarramenti, ove posti al servizio di grandi derivazioni di acqua di competenza statale, restano ferme le attribuzioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il Registro italiano dighe (RID) fornisce alle regioni il supporto tecnico richiesto.

4. Resta di competenza statale la normativa tecnica relativa alla progettazione e costruzione delle dighe di sbarramento di qualsiasi altezza e capacità di invaso.

5. Le funzioni relative al vincolo idrogeologico di cui al regio decreto-legge 30 dicembre 1923, n. 3267, sono interamente esercitate dalle regioni.

6. Restano ferme tutte le altre funzioni amministrative già trasferite o delegate alle regioni.

ART. 62
(competenze degli enti locali e di altri soggetti)

1. I comuni, le province, i loro consorzi o associazioni, le comunità montane, i consorzi di bonifica e di irrigazione, i consorzi di bacino imbrifero montano e gli altri enti pubblici e di diritto pubblico con sede nel distretto idrografico partecipano all’esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del suolo nei modi e nelle forme stabilite dalle regioni singolarmente o d’intesa tra loro, nell’ambito delle competenze del sistema delle autonomie locali.

2. Gli enti di cui al comma 1 possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni, del Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e sono tenuti a collaborare con la stessa.

ART. 63
(Autorità di bacino distrettuale)

1. In ciascun distretto idrografico di cui all’articolo 64 e’ istituita l’Autorità di bacino distrettuale, di seguito Autorità di bacino, ente pubblico non economico che opera in conformità agli obiettivi della presente sezione ed uniforma la propria attività a criteri di efficienza, efficacia, economicità e pubblicità.

2. Sono organi dell’Autorità di bacino: la Conferenza istituzionale permanente, il Segretario generale, la Segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativa di servizi. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, da emanarsi sentita la Conferenza permanente Stato – regioni entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sono definiti i criteri e le modalità per l’attribuzione o il trasferimento del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie, salvaguardando i livelli occupazionali, definiti alla data del 31 dicembre 2005, e previa consultazione dei sindacati.

3. Le autorità di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30 aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorità di bacino distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto. Il decreto di cui al comma 2 disciplina il trasferimento di funzioni e regolamenta il periodo transitorio.

4. Gli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle Autorità di bacino vengono adottati in sede di Conferenza istituzionale permanente presieduta e convocata, anche su proposta delle amministrazioni partecipanti, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio su richiesta del Segretario generale, che vi partecipa senza diritto di voto. Alla Conferenza istituzionale permanente partecipano i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, per la funzione pubblica, per i beni e le attività culturali o i Sottosegretari dai medesimi delegati, nonche’ i Presidenti delle regioni e delle province autonome il cui territorio e’ interessato dal distretto idrografico o gli Assessori dai medesimi delegati, oltre al delegato del Dipartimento della protezione civile. Alle conferenze istituzionali permanenti del distretto idrografico della Sardegna e del distretto idrografico della Sicilia partecipa no, oltre ai Presidenti delle rispettive regioni, altri due rappresentanti per ciascuna delle predette regioni, nominati dai Presidenti regionali. La conferenza istituzionale permanente delibera a maggioranza. Gli atti di pianificazione tengono conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

5. La conferenza istituzionale permanente di cui al comma 4:

a) adotta criteri e metodi per la elaborazione del Piano di bacino in conformità agli indirizzi ed ai criteri di cui all’articolo 57;

b) individua tempi e modalità per l’adozione del Piano di bacino, che potrà eventualmente articolarsi in piani riferiti a sub-bacini;

c) determina quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a più regioni;

d) adotta i provvedimenti necessari per garantire comunque l’elaborazione del Piano di bacino;

e) adotta il Piano di bacino;

f) controlla l’attuazione degli schemi previsionali e programmatici del Piano di bacino e dei programmi triennali e, in caso di grave ritardo nell’esecuzione di interventi non di competenza statale rispetto ai tempi fissati nel programma, diffida l’amministrazione inadempiente, fissando il termine massimo per l’inizio dei lavori. Decorso infruttuosamente tale termine, all’adozione delle misure necessarie ad assicurare l’avvio dei lavori provvede, in via sostitutiva, il Presidente della Giunta regionale interessata che, a tal fine, può avvalersi degli organi decentrati e periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

g) nomina il Segretario generale.

6. La Conferenza operativa di servizi e’ composta dai rappresentanti dei Ministeri di cui al comma 4, delle regioni e delle province autonome interessate, nonche’ da un rappresentante del Dipartimento della protezione civile; e’ convocata dal Segretario Generale, che la presiede, e provvede all’attuazione ed esecuzione di quanto disposto ai sensi del comma 5, nonche’ al compimento degli atti gestionali. La conferenza operativa di servizi delibera a maggioranza.

7. Le Autorità di bacino provvedono, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente:

a) all’elaborazione del Piano di bacino distrettuale di cui all’articolo 65;

b) ad esprimere parere sulla coerenza con gli obiettivi del Piano di bacino dei piani e programmi comunitari, nazionali, regionali e locali relativi alla difesa del suolo, alla lotta alla desertificazione, alla tutela delle acque e alla gestione delle risorse idriche;

c) all’elaborazione, secondo le specifiche tecniche che figurano negli allegati alla parte terza del presente decreto, di un’analisi delle caratteristiche del distretto, di un esame sull’impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee, nonche’ di un’analisi economica dell’utilizzo idrico.

8. Fatte salve le discipline adottate dalle regioni ai sensi dell’articolo 62, le Autorità di bacino coordinano e sovraintendono le attività e le funzioni di titolarità dei consorzi di bonifica integrale di cui al regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, nonche’ del consorzio del Ticino – Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell’opera regolatrice del lago Maggiore, del consorzio dell’Oglio – Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell’opera regolatrice del lago d’Iseo e del consorzio dell’Adda – Ente autonomo per la costruzione, manutenzione ed esercizio dell’opera regolatrice del lago di Como, con particolare riguardo all’esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche e di bonifica, alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque, anche al fine della loro utilizzazione irrigua, alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua ed alla fitodepurazione.

TITOLO II

I DISTRETTI IDROGRAFICI, GLI STRUMENTI, GLI INTERVENTI

CAPO I

I DISTRETTI IDROGRAFICI

ART. 64
(distretti idrografici)

1. L’intero territorio nazionale, ivi comprese le isole minori, e’ ripartito nei seguenti distretti idrografici:

a) distretto idrografico delle Alpi orientali, con superficie di circa 39.385 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Adige, già bacino nazionale ai sensi della legge 18 maggio 1989, n. 183;

2) Alto Adriatico, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Lemene, Fissaro Tartaro Canalbianco, già bacini interregionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) bacini del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

b) distretto idrografico Padano, con superficie di circa 74.115Kmq, comprendente il bacino del Po, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

c) distretto idrografico dell’Appennino settentrionale, con superficie di circa 39.000 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Arno, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

2) Magra, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Fiora, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) Conca Marecchia, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

5) Reno, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

6) bacini della Liguria, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

7) bacini della Toscana, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

8) fiumi Uniti, Montone, Ronco, Savio, Rubicone e Uso, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

9) Foglia, Arzilla, Metauro, Cesano, Misa, Esino, Musone e altri bacini minori, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

10) Lamone, già bacino regionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

11) bacini minori afferenti alla costa Romagnola, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

d) distretto idrografico pilota del Serchio, con superficie di circa 1.600 Kmq, comprendente il bacino idrografico del Serchio;

e) distretto idrografico dell’Appennino centrale, con superficie di circa 35.800 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Tevere, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

2) Tronto, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Sangro, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) bacini dell’Abruzzo, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

5) bacini del Lazio, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

6) Potenza, Chienti, Tenna, Ete, Aso, Menocchia, Tesino e bacini minori delle Marche, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

f) distretto idrografico dell’Appennino meridionale, con superficie di circa 68.200 Kmq, comprendente i seguenti bacini idrografici:

1) Liri-Garigliano, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

2) Volturno, già bacino nazionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

3) Sele, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

4) Sinni e Noce, già bacini interregionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

5) Bradano, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

6) Saccione, Fortore e Biferno, già bacini interregionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

7) Ofanto, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

8) Lao, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

9) Trigno, già bacino interregionale ai sensi della legge n. 183 del 1989;

10) bacini della Campania, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

11) bacini della Puglia, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

12) bacini della Basilicata, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

13) bacini della Calabria, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

14) bacini del Molise, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

g) distretto idrografico della Sardegna, con superficie di circa 24.000 Kmq, comprendente i bacini della Sardegna, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989;

h) distretto idrografico della Sicilia, con superficie di circa 26.000 Kmq, comprendente i bacini della Sicilia, già bacini regionali ai sensi della legge n. 183 del 1989.

CAPO II

GLI STRUMENTI

ART. 65
(valore, finalità e contenuti del piano di bacino distrettuale)

1. Il Piano di bacino distrettuale, di seguito Piano di bacino, ha valore di piano territoriale di settore ed e’ lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo ed alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato.

2. Il Piano di bacino e’ redatto dall’Autorità di bacino in base agli indirizzi, metodi e criteri fissati ai sensi del comma 3. Studi ed interventi sono condotti con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle ed ai corsi d’acqua di fondo-valle.

3. Il Piano di bacino, in conformità agli indirizzi, ai metodi e ai criteri stabiliti dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4, realizza le finalità indicate all’articolo 56 e, in particolare, contiene, unitamente agli elementi di cui all’Allegato 4 alla parte terza del presente decreto:

a) il quadro conoscitivo organizzato ed aggiornato del sistema fisico, delle utilizzazioni del territorio previste dagli strumenti urbanistici comunali ed intercomunali, nonche’ dei vincoli, relativi al distretto, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

b) la individuazione e la quantificazione delle situazioni, in atto e potenziali, di degrado del sistema fisico, nonche’ delle relative cause;

c) le direttive alle quali devono uniformarsi la difesa del suolo, la sistemazione idrogeologica ed idraulica e l’utilizzazione delle acque e dei suoli;

d) l’indicazione delle opere necessarie distinte in funzione:

1) dei pericoli di inondazione e della gravità ed estensione del dissesto;

2) dei pericoli di siccità;

3) dei pericoli di frane, smottamenti e simili;

4) del perseguimento degli obiettivi di sviluppo sociale ed economico o di riequilibrio territoriale nonche’ del tempo necessario per assicurare l’efficacia degli interventi;

e) la programmazione e l’utilizzazione delle risorse idriche, agrarie, forestali ed estrattive;

f) la individuazione delle prescrizioni, dei vincoli e delle opere idrauliche, idraulico-agrarie, idraulico-forestali, di forestazione, di bonifica idraulica, di stabilizzazione e consolidamento dei terreni e di ogni altra azione o norma d’uso o vincolo finalizzati alla conservazione del suolo ed alla tutela dell’ambiente;

g) il proseguimento ed il completamento delle opere indicate alla lettera f), qualora siano già state intraprese con stanziamenti disposti da leggi speciali, da leggi ordinarie, oppure a seguito dell’approvazione dei relativi atti di programmazione;

h) le opere di protezione, consolidamento e sistemazione dei litorali marini che sottendono il distretto idrografico;

i) i meccanismi premiali a favore dei proprietari delle zone agricole e boschive che attuano interventi idonei a prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico;

l) la valutazione preventiva, anche al fine di scegliere tra ipotesi di governo e gestione tra loro diverse, del rapporto costi-benefici, dell’impatto ambientale e delle risorse finanziarie per i principali interventi previsti;

m) la normativa e gli interventi rivolti a regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale, lacuale e marittimo e le relative fasce di rispetto, specificatamente individuate in funzione del buon regime delle acque e della tutela dell’equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni e dei litorali;

n) l’indicazione delle zone da assoggettare a speciali vincoli e prescrizioni in rapporto alle specifiche condizioni idrogeologiche, ai fini della conservazione del suolo, della tutela dell’ambiente e della prevenzione contro presumibili effetti dannosi di interventi antropici;

o) le misure per contrastare i fenomeni di subsidenza e di desertificazione, anche mediante programmi ed interventi utili a garantire maggiore disponibilità della risorsa idrica ed il riuso della stessa;

p) il rilievo conoscitivo delle derivazioni in atto con specificazione degli scopi energetici, idropotabili, irrigui od altri e delle portate;

q) il rilievo delle utilizzazioni diverse per la pesca, la navigazione od altre;

r) il piano delle possibili utilizzazioni future sia per le derivazioni che per altri scopi, distinte per tipologie d’impiego e secondo le quantità;

s) le priorità degli interventi ed il loro organico sviluppo nel tempo, in relazione alla gravità del dissesto;

t) l’indicazione delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

4. Le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonche’ per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino. In particolare, i piani e programmi di sviluppo socio-economico e di assetto ed uso del territorio devono essere coordinati, o comunque non in contrasto, con il Piano di bacino approvato.

5. Ai fini di cui al comma 4, entro dodici mesi dall’approvazione del Piano di bacino le autorità competenti provvedono ad adeguare i rispettivi piani territoriali e programmi regionali quali, in particolare, quelli relativi alle attività agricole, zootecniche ed agroforestali, alla tutela della qualità delle acque, alla gestione dei rifiuti, alla tutela dei beni ambientali ed alla bonifica.

6. Fermo il disposto del comma 4, le regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del Piano di bacino sui rispettivi Bollettini Ufficiali regionali, emanano ove necessario le disposizioni concernenti l’attuazione del piano stesso nel settore urbanistico. Decorso tale termine, gli enti territorialmente interessati dal Piano di bacino sono comunque tenuti a rispettarne le prescrizioni nel settore urbanistico. Qualora gli enti predetti non provvedano ad adottare i necessari adempimenti relativi ai propri strumenti urbanistici entro sei mesi dalla data di comunicazione delle predette disposizioni, e comunque entro nove mesi dalla pubblicazione dell’approvazione del Piano di bacino, all’adeguamento provvedono d’ufficio le regioni.

7. In attesa dell’approvazione del Piano di bacino, le Autorità di bacino adottano misure di salvaguardia con particolare riferimento ai bacini montani, ai torrenti di alta valle ed ai corsi d’acqua di fondo valle ed ai contenuti di cui alle lettere b), e), f), m) ed n) del comma 3. Le misure di salvaguardia sono immediatamente vincolanti e restano in vigore sino all’approvazione del Piano di bacino e comunque per un periodo non superiore a tre anni. In caso di mancata attuazione o di inosservanza, da parte delle regioni, delle province e dei comuni, delle misure di salvaguardia, e qualora da ciò possa derivare un grave danno al territorio, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, previa diffida ad adempiere entro congruo termine da indicarsi nella diffida medesima, adotta con ordinanza cautelare le necessarie misure provvisorie di salvaguardia, anche con efficacia inibitoria di opere, di lavori o di attività antropiche, dandone comunicazione preventiva alle amministrazioni competenti. Se la m ancata attuazione o l’inosservanza di cui al presente comma riguarda un ufficio periferico dello Stato, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio informa senza indugio il Ministro competente da cui l’ufficio dipende, il quale assume le misure necessarie per assicurare l’adempimento. Se permane la necessità di un intervento cautelare per evitare un grave danno al territorio, il Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, adotta l’ordinanza cautelare di cui al presente comma.

8. I piani di bacino possono essere redatti ed approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali, che, in ogni caso, devono costituire fasi sequenziali e interrelate rispetto ai contenuti di cui al comma 3. Deve comunque essere garantita la considerazione sistemica del territorio e devono essere disposte, ai sensi del comma 7, le opportune misure inibitorie e cautelari in relazione agli aspetti non ancora compiutamente disciplinati.

9. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

ART. 66
(adozione ed approvazione dei piani di bacino)

1. I piani di bacino, prima della loro approvazione, sono sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS) in sede statale, secondo la procedura prevista dalla parte seconda del presente decreto.

2. Il Piano di bacino, corredato dal relativo rapporto ambientale ai fini di cui al comma 1, e’ adottato a maggioranza dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4 che, con propria deliberazione, contestualmente stabilisce:

a) i termini per l’adozione da parte delle regioni dei provvedimenti conseguenti;

b) quali componenti del piano costituiscono interesse esclusivo delle singole regioni e quali costituiscono interessi comuni a due o più regioni.

3. Il Piano di bacino, corredato dal relativo rapporto ambientale di cui al comma 2, e’ inviato ai componenti della Conferenza istituzionale permanente almeno venti giorni prima della data fissata per la conferenza; in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.

4. In caso di inerzia in ordine agli adempimenti regionali, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, previa diffida ad adempiere entro un congruo termine e sentita la regione interessata, assume i provvedimenti necessari, ivi compresa la nomina di un commissario “ad acta”, per garantire comunque lo svolgimento delle procedure e l’adozione degli atti necessari per la formazione del piano.

5. Dell’adozione del piano e’ data notizia secondo le forme e con le modalità previste dalla parte seconda del presente decreto ai fini dell’esperimento della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) in sede statale.

6. Conclusa la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), sulla base del giudizio di compatibilità ambientale espresso dall’autorità competente, i piani di bacino sono approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, con le modalità di cui all’articolo 57, comma 1, lettera a), numero 2), e sono poi pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e nei Bollettini Ufficiali delle regioni territorialmente competenti.

7. Le Autorità di bacino promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di bacino, provvedendo affinche’, per ciascun distretto idrografico, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti, concedendo un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte, i seguenti documenti:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei principali problemi di gestione delle acque, identificati nel bacino idrografico almeno due anni prima dell’inizio del periodo cui si riferisce il piano;

c) copie del progetto del piano di bacino, almeno un anno prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce.

ART. 67
(i piani stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico e le misure di prevenzione per le aree a rischio)

1. Nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, le Autorità di bacino adottano, ai sensi dell’articolo 65, comma 8, piani stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico (PAI), che contengano in particolare l’individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime.

2. Le Autorità di bacino, anche in deroga alle procedure di cui all’articolo 66, approvano altresì piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, redatti anche sulla base delle proposte delle regioni e degli enti locali. I piani straordinari devono ricomprendere prioritariamente le aree a rischio idrogeologico per le quali e’ stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. I piani straordinari contengono in particolare l’individuazione e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico molto elevato per l’incolumità delle persone e per la sicurezza delle infrastrutture e del patrimonio ambientale e culturale. Per tali aree sono adottate le misure di salvaguardia ai sensi dell’articolo 65, comma 7, anche con riferimento ai contenuti di cui al comma 3, lettera d), del medesimo articolo 65. In caso di inerzia da parte delle Autorità di bacino, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Comitato dei Ministri, di cui all’articolo 57, comma 2, adotta gli atti relativi all’individuazione, alla perimetrazione e alla salvaguardia delle predette aree. Qualora le misure di salvaguardia siano adottate in assenza dei piani stralcio di cui al comma 1, esse rimangono in vigore sino all’approvazione di detti piani. I piani straordinari approvati possono essere integrati e modificati con le stesse modalità di cui al presente comma, in particolare con riferimento agli interventi realizzati ai fini della messa in sicurezza delle aree interessate.

3. Il Comitato dei Ministri di cui all’articolo 57, comma 2, tenendo conto dei programmi già adottati da parte delle Autorità di bacino e dei piani straordinari di cui al comma 2 del presente articolo, definisce, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, programmi di interventi urgenti, anche attraverso azioni di manutenzione dei distretti idrografici, per la riduzione del rischio idrogeologico nelle zone in cui la maggiore vulnerabilità del territorio e’ connessa con più elevati pericoli per le persone, le cose ed il patrimonio ambientale, con priorità per le aree ove e’ stato dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Per la realizzazione degli interventi possono essere adottate, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e d’intesa con le regioni interessate, le ordinanze di cui all’articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225.

4. Per l’attività istruttoria relativa agli adempimenti di cui ai commi 1, 2 e 3, i Ministri competenti si avvalgono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, del Dipartimento della protezione civile, nonche’ della collaborazione del Corpo forestale dello Stato, delle regioni, delle Autorità di bacino, del Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche del Consiglio nazionale delle ricerche e, per gli aspetti ambientali, del Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), per quanto di rispettiva competenza.

5. Entro sei mesi dall’adozione dei provvedimenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, gli organi di protezione civile provvedono a predisporre, per le aree a rischio idrogeologico, con priorità assegnata a quelle in cui la maggiore vulnerabilità del territorio e’ connessa con più elevati pericoli per le persone, le cose e il patrimonio ambientale, piani urgenti di emergenza contenenti le misure per la salvaguardia dell’incolumità delle popolazioni interessate, compreso il preallertamento, l’allarme e la messa in salvo preventiva.

6. Nei piani stralcio di cui al comma 1 sono individuati le infrastrutture e i manufatti che determinano il rischio idrogeologico. Sulla base di tali individuazioni, le regioni stabiliscono le misure di incentivazione a cui i soggetti proprietari possono accedere al fine di adeguare le infrastrutture e di rilocalizzare fuori dall’area a rischio le attività produttive e le abitazioni private. A tale fine le regioni, acquisito il parere degli enti locali interessati, predispongono, con criteri di priorità connessi al livello di rischio, un piano per l’adeguamento delle infrastrutture, determinandone altresì un congruo termine, e per la concessione di incentivi finanziari per la rilocalizzazione delle attività produttive e delle abitazioni private realizzate in conformità alla normativa urbanistica edilizia o condonate. Gli incentivi sono attivati nei limiti della quota dei fondi introitati ai sensi dell’articolo 86, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e riguardano anche gli oneri per la demo lizione dei manufatti; il terreno di risulta viene acquisito al patrimonio indisponibile dei comuni. All’abbattimento dei manufatti si provvede con le modalità previste dalla normativa vigente. Ove i soggetti interessati non si avvalgano della facoltà di usufruire delle predette incentivazioni, essi decadono da eventuali benefici connessi ai danni derivanti agli insediamenti di loro proprietà in conseguenza del verificarsi di calamità naturali.

7. Gli atti di cui ai commi 1, 2 e 3 del presente articolo devono contenere l’indicazione dei mezzi per la loro realizzazione e della relativa copertura finanziaria.

ART. 68
(procedura per l’adozione dei progetti di piani stralcio)

1. I progetti di piano stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico, di cui al comma 1 del articolo 67, non sono sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS) e sono adottati con le modalità di cui all’articolo 66.

2. L’adozione dei piani stralcio per l’assetto idrogeologico deve avvenire, sulla base degli atti e dei pareri disponibili, entro e non oltre sei mesi dalla data di adozione del relativo progetto di piano.

3. Ai fini dell’adozione ed attuazione dei piani stralcio e della necessaria coerenza tra pianificazione di distretto e pianificazione territoriale, le regioni convocano una conferenza programmatica, articolata per sezioni provinciali, o per altro ambito territoriale deliberato dalle regioni stesse, alla quale partecipano le province ed i comuni interessati, unitamente alla regione e ad un rappresentante dell’Autorità di bacino.

4. La conferenza di cui al comma 3 esprime un parere sul progetto di piano con particolare riferimento alla integrazione su scala provinciale e comunale dei contenuti del piano, prevedendo le necessarie prescrizioni idrogeologiche ed urbanistiche.

CAPO III

GLI INTERVENTI

ART. 69
(programmi di intervento)

1. I piani di bacino sono attuati attraverso programmi triennali di intervento che sono redatti tenendo conto degli indirizzi e delle finalità dei piani medesimi e contengono l’indicazione dei mezzi per farvi fronte e della relativa copertura finanziaria.

2. I programmi triennali debbono destinare una quota non inferiore al quindici per cento degli stanziamenti complessivamente a:

a) interventi di manutenzione ordinaria delle opere, degli impianti e dei beni, compresi mezzi, attrezzature e materiali dei cantieri-officina e dei magazzini idraulici;

b) svolgimento del servizio di polizia idraulica, di navigazione interna, di piena e di pronto intervento idraulico;

c) compilazione ed aggiornamento dei piani di bacino, svolgimento di studi, rilevazioni o altro nelle materie riguardanti la difesa del suolo, redazione dei progetti generali, degli studi di fattibilità, dei progetti di opere e degli studi di valutazione dell’impatto ambientale delle opere principali.

3. Le regioni, conseguito il parere favorevole della Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4, possono provvedere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e di interventi previsti dai piani di bacino, sotto il controllo della predetta conferenza.

4. Le province, i comuni, le comunità montane e gli altri enti pubblici, previa autorizzazione della Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4, possono concorrere con propri stanziamenti alla realizzazione di opere e interventi previsti dai piani di bacino.

ART. 70
(adozione dei programmi)

1. I programmi di intervento sono adottati dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4; tali programmi sono inviati ai componenti della conferenza stessa almeno venti giorni prima della data fissata per la conferenza; in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse in seno alla conferenza.

2. La scadenza di ogni programma triennale e’ stabilita al 31 dicembre dell’ultimo anno del triennio e le somme autorizzate per l’attuazione del programma per la parte eventualmente non ancora impegnata alla predetta data sono destinate ad incrementare il fondo del programma triennale successivo per l’attuazione degli interventi previsti dal programma triennale in corso o dalla sua revisione.

3. Entro il 31 dicembre del penultimo anno del programma triennale in corso, i nuovi programmi di intervento relativi al triennio successivo, adottati secondo le modalità di cui al comma 1, sono trasmessi al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, affinche’, entro il successivo 3 giugno, sulla base delle previsioni contenute nei programmi e sentita la Conferenza Stato-regioni, trasmetta al Ministro dell’economia e delle finanze l’indicazione del fabbisogno finanziario per il successivo triennio, ai fini della predisposizione del disegno di legge finanziaria.

4. Gli interventi previsti dai programmi triennali sono di norma attuati in forma integrata e coordinata dai soggetti competenti, in base ad accordi di programma ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

ART. 71
(attuazione degli interventi)

1. Le funzioni di studio e di progettazione e tecnico-organizzative attribuite alle Autorità di bacino possono essere esercitate anche mediante affidamento di incarichi ad istituzioni universitarie, liberi professionisti o organizzazioni tecnico-professionali specializzate, in conformità ad apposite direttive impartite dalla Conferenza istituzionale permanente di cui all’articolo 63, comma 4.

2. L’esecuzione di opere di pronto intervento può avere carattere definitivo quando l’urgenza del caso lo richiede.

3. Tutti gli atti di concessione per l’attuazione di interventi ai sensi della presente sezione sono soggetti a registrazione a tassa fissa.

ART. 72
(finanziamento)

1. Ferme restando le entrate connesse alle attività di manutenzione ed esercizio delle opere idrauliche, di bonifica e di miglioria fondiaria, gli interventi previsti dalla presente sezione sono a totale carico dello Stato e si attuano mediante i programmi triennali di cui all’articolo 69.

2. Per le finalità di cui al comma 1, si provvede ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera d), della legge 5 agosto 1978, n. 468. I predetti stanziamenti sono iscritti nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze fino all’espletamento della procedura di ripartizione di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo sulla cui base il Ministro dell’economia e delle finanze apporta, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio.

3. Il Comitato dei Ministri di cui all’articolo 57, sentita la Conferenza Stato-regioni, predispone lo schema di programma nazionale di intervento per il triennio e la ripartizione degli stanziamenti tra le Amministrazioni dello Stato e le regioni, tenendo conto delle priorità indicate nei singoli programmi ed assicurando, ove necessario, il coordinamento degli interventi. A valere sullo stanziamento complessivo autorizzato, lo stesso Comitato dei Ministri propone l’ammontare di una quota di riserva da destinare al finanziamento dei programmi per l’adeguamento ed il potenziamento funzionale, tecnico e scientifico dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

4. Il programma nazionale di intervento e la ripartizione degli stanziamenti, ivi inclusa la quota di riserva a favore dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), sono approvati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’articolo 57.

5. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, entro trenta giorni dall’approvazione del programma triennale nazionale, su proposta della Conferenza Stato-regioni, individua con proprio decreto le opere di competenza regionale, che rivestono grande rilevanza tecnico-idraulica per la modifica del reticolo idrografico principale e del demanio idrico, i cui progetti devono essere sottoposti al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da esprimere entro novanta giorni dalla richiesta.

SEZIONE II

TUTELA DELLE ACQUE DALL’INQUINAMENTO

TITOLO I

PRINCIPI GENERALI E COMPETENZE

ART. 73
(finalità)

1. Le disposizioni di cui alla presente sezione definiscono la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee perseguendo i seguenti obiettivi:

a) prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare il risanamento dei corpi idrici inquinati;

b) conseguire il miglioramento dello stato delle acque ed adeguate protezioni di quelle destinate a particolari usi;

c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;

d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonche’ la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;

e) mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità contribuendo quindi a:

1) garantire una fornitura sufficiente di acque superficiali e sotterranee di buona qualità per un utilizzo idrico sostenibile, equilibrato ed equo;

2) ridurre in modo significativo l’inquinamento delle acque sotterranee;

3) proteggere le acque territoriali e marine e realizzare gli obiettivi degliaccordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire ed eliminare l’inquinamento dell’ambiente marino, allo scopo di arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, le emissioni e le perdite di sostanze pericolose prioritarie al fine ultimo di pervenire a concentrazioni, nell’ambiente marino, vicine ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche;

f) impedire un ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico.

2. Il raggiungimento degli obiettivi indicati al comma 1 si realizza attraverso i seguenti strumenti:

a) l’individuazione di obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione dei corpi idrici;

b) la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun distretto idrografico ed un adeguato sistema di controlli e di sanzioni;

c) il rispetto dei valori limite agli scarichi fissati dallo Stato, nonche’ la definizione di valori limite in relazione agli obiettivi di qualità del corpo recettore;

d) l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, nell’ambito del servizio idrico integrato;

e) l’individuazione di misure per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento nelle zone vulnerabili e nelle aree sensibili;

f) l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo ed al riciclo delle risorse idriche;

g) l’adozione di misure per la graduale riduzione degli scarichi, delle emissioni e di ogni altra fonte di inquinamento diffuso contenente sostanze pericolose o per la graduale eliminazione degli stessi allorche’ contenenti sostanze pericolose prioritarie, contribuendo a raggiungere nell’ambiente marino concentrazioni vicine ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche;

h) l’adozione delle misure volte al controllo degli scarichi e delle emissioni nelle acque superficiali secondo un approccio combinato.

3. Il perseguimento delle finalità e l’utilizzo degli strumenti di cui ai commi 1 e 2, nell’ambito delle risorse finanziarie previste dalla legislazione vigente, contribuiscono a proteggere le acque territoriali e marine e a realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia.

ART. 74
(definizioni)

1. Ai fini della presente sezione si intende per:

a) abitante equivalente: il carico organico biodegradabile avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) pari a 60 grammi di ossigeno al giorno;

b) acque ciprinicole: le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti ai ciprinidi (Cyprinidae) o a specie come i lucci, i pesci persici e le anguille;

c) acque costiere: le acque superficiali situate all’interno rispetto a una retta immaginaria distante, in ogni suo punto, un miglio nautico sul lato esterno dal punto più vicino della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali e che si estendono eventualmente fino al limite esterno delle acque di transizione;

d) acque salmonicole: le acque in cui vivono o possono vivere pesci appartenenti a specie come le trote, i temoli e i coregoni;

e) estuario: l’area di transizione tra le acque dolci e le acque costiere alla foce di un fiume, i cui limiti esterni verso il mare sono definiti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio; in via transitoria tali limiti sono fissati a cinquecento metri dalla linea di costa;

f) acque dolci: le acque che si presentano in natura con una concentrazione di sali tale da essere considerate appropriate per l’estrazione e il trattamento al fine di produrre acqua potabile;

g) acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche;

h) acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento;

i) acque reflue urbane: il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, e/o di quelle meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato;

l) acque sotterranee: tutte le acque che si trovano al di sotto della superficie del suolo, nella zona di saturazione e in diretto contatto con il suolo e il sottosuolo;

m) acque termali: le acque minerali naturali di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), della legge 24 ottobre 2000, n. 323, utilizzate per le finalità consentite dalla stessa legge;

n) agglomerato: l’area in cui la popolazione, ovvero le attività produttive, sono concentrate in misura tale da rendere ammissibile, sia tecnicamente che economicamente in rapporto anche ai benefici ambientali conseguibili, la raccolta e il convogliamento in una fognatura dinamica delle acque reflue urbane verso un sistema di trattamento o verso un punto di recapito finale;

o) applicazione al terreno: l’apporto di materiale al terreno mediante spandimento e/o mescolamento con gli strati superficiali, iniezione, interramento;

p) utilizzazione agronomica: la gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agro-alimentari, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute;

q) autorità d’ambito: la forma di cooperazione tra comuni e province per l’organizzazione del servizio idrico integrato;

r) gestore del servizio idrico integrato: il soggetto che gestisce il servizio idrico integrato in un ambito territoriale ottimale ovvero il gestore esistente del servizio pubblico soltanto fino alla piena operatività del servizio idrico integrato;

s) bestiame: tutti gli animali allevati per uso o profitto;

t) composto azotato: qualsiasi sostanza contenente azoto, escluso quello allo stato molecolare gassoso;

u) concimi chimici: qualsiasi fertilizzante prodotto mediante procedimento industriale;

v) effluente di allevamento: le deiezioni del bestiame o una miscela di lettiera e di deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, ivi compresi i reflui provenienti da attività di piscicoltura;

z) eutrofizzazione: arricchimento delle acque di nutrienti, in particolare modo di composti dell’azoto e/o del fosforo, che provoca una abnorme proliferazione di alghe e/o di forme superiori di vita vegetale, producendo la perturbazione dell’equilibrio degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque interessate;

aa) fertilizzante: fermo restando quanto disposto dalla legge 19 ottobre 1984, n. 748, le sostanze contenenti uno o più composti azotati, compresi gli effluenti di allevamento, i residui degli allevamenti ittici e i fanghi, sparse sul terreno per stimolare la crescita della vegetazione;

bb) fanghi: i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane;

cc) inquinamento: l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze o di calore nell’aria, nell’acqua o nel terreno che possono nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici o degli ecosistemi terrestri che dipendono direttamente da ecosistemi acquatici, perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell’ambiente;

dd) rete fognaria: il sistema di canalizzazioni, generalmente sotterranee, per la raccolta e il convogliamento delle acque reflue domestiche, industriali ed urbane fino al recapito finale;

ee) fognatura separata: la rete fognaria costituita da due canalizzazioni, la prima delle quali adibita alla raccolta ed al convogliamento delle sole acque meteoriche di dilavamento, e dotata o meno di dispositivi per la raccolta e la separazione delle acque di prima pioggia, e la seconda adibita alla raccolta ed al convogliamento delle acque reflue urbane unitamente alle eventuali acque di prima pioggia;

ff) scarico: qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114;

gg) acque di scarico: tutte le acque reflue provenienti da uno scarico;

hh) scarichi esistenti: gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente e gli scarichi di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data erano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all’affidamento dei lavori, nonche’ gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e conformi al previgente regime autorizzativo e gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 erano in esercizio e già autorizzati;

ii) trattamento appropriato: il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che, dopo lo scarico, garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni della parte terza del presente decreto;

ll) trattamento primario: il trattamento delle acque reflue che comporti la sedimentazione dei solidi sospesi mediante processi fisici e/o chimico-fisici e/o altri, a seguito dei quali prima dello scarico il BOD5 delle acque in trattamento sia ridotto almeno del 20 per cento ed i solidi sospesi totali almeno del 50 per cento;

mm) trattamento secondario: il trattamento delle acque reflue mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazione secondaria, o mediante altro processo in cui vengano comunque rispettati i requisiti di cui alla tabella 1 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

nn) stabilimento industriale, stabilimento: tutta l’area sottoposta al controllo di un unico gestore, nella quale si svolgono attività commerciali o industriali che comportano la produzione, la trasformazione e/o l’utilizzazione delle sostanze di cui all’Allegato 8 alla parte terza del presente decreto, ovvero qualsiasi altro processo produttivo che comporti la presenza di tali sostanze nello scarico;

oo) valore limite di emissione: limite di accettabilità di una sostanza inquinante contenuta in uno scarico, misurata in concentrazione, oppure in massa per unità di prodotto o di materia prima lavorata, o in massa per unità di tempo;

pp) zone vulnerabili: zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali tipi di scarichi.

2. Ai fini della presente sezione si intende inoltre per:

a) acque superficiali: le acque interne ad eccezione di quelle sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali;

b) acque interne: tutte le acque superficiali correnti o stagnanti, e tutte le acque sotterranee all’interno della linea di base che serve da riferimento per definire il limite delle acque territoriali;

c) fiume: un corpo idrico interno che scorre prevalentemente in superficie ma che può essere parzialmente sotterraneo;

d) lago: un corpo idrico superficiale interno fermo;

e) acque di transizione: i corpi idrici superficiali in prossimità della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle acque costiere, ma sostanzialmente influenzate dai flussi di acqua dolce;

f) corpo idrico artificiale: un corpo idrico superficiale creato da un’attività umana;

g) corpo idrico fortemente modificato: un corpo idrico superficiale la cui natura, a seguito di alterazioni fisiche dovute a un’attività umana, e’ sostanzialmente modificata, come risulta dalla designazione fattane dall’autorità competente in base alle disposizioni degli articoli 118 e 120;

h) corpo idrico superficiale: un elemento distinto e significativo di acque superficiali, quale un lago, un bacino artificiale, un torrente, fiume o canale, parte di un torrente, fiume o canale, acque di transizione o un tratto di acque costiere;

i) falda acquifera: uno o più strati sotterranei di roccia o altri strati geologici di porosità e permeabilità sufficiente da consentire un flusso significativo di acque sotterranee o l’estrazione di quantità significative di acque sotterranee;

l) corpo idrico sotterraneo: un volume distinto di acque sotterranee contenute da una o più falde acquifere;

m) bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfociare al mare in un’unica foce, a estuario o delta;

n) sotto-bacino idrografico: il territorio nel quale scorrono tutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi e laghi per sfociare in un punto specifico di un corso d’acqua, di solito un lago o la confluenza di un fiume;

o) distretto idrografico: l’area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che costituisce la principale unità per la gestione dei bacini idrografici;

p) stato delle acque superficiali: l’espressione complessiva dello stato di un corpo idrico superficiale, determinato dal valore più basso del suo stato ecologico e chimico;

q) buono stato delle acque superficiali: lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale qualora il suo stato, tanto sotto il profilo ecologico quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno “buono”;

r) stato delle acque sotterranee: l’espressione complessiva dello stato di un corpo idrico sotterraneo, determinato dal valore più basso del suo stato quantitativo e chimico;

s) buono stato delle acque sotterranee: lo stato raggiunto da un corpo idrico sotterraneo qualora il suo stato, tanto sotto il profilo quantitativo quanto sotto quello chimico, possa essere definito almeno “buono”;

t) stato ecologico: l’espressione della qualità della struttura e del funzionamento degli ecosistemi acquatici associati alle acque superficiali, classificato a norma dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

u) buono stato ecologico: lo stato di un corpo idrico superficiale classificato in base all’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

v) buon potenziale ecologico: lo stato di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato, così classificato in base alle disposizioni pertinenti dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

z) buono stato chimico delle acque superficiali: lo stato chimico richiesto per conseguire gli obiettivi ambientali per le acque superficiali fissati dal presento, ossia lo stato raggiunto da un corpo idrico superficiale nel quale la concentrazione degli inquinanti noti supera gli standard di qualità ambientali fissati dall’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, Tabella 1/A ed ai sensi della parte terza del presente decreto;

aa) buono stato chimico delle acque sotterranee: lo stato chimico di un corpo idrico sotterraneo che risponde a tutte le condizioni di cui alla tabella B.3.2 dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

bb) stato quantitativo: l’espressione del grado in cui un corpo idrico sotterraneo e’ modificato da estrazioni dirette e indirette;

cc) risorse idriche sotterranee disponibili: il risultato della velocità annua media di ravvenamento globale a lungo termine del corpo idrico sotterraneo meno la velocità annua media a lungo termine del flusso necessario per raggiungere gli obiettivi di qualità ecologica per le acque superficiali connesse, di cui all’articolo 76, al fine di evitare un impoverimento significativo dello stato ecologico di tali acque, nonche’ danni rilevanti agli ecosistemi terrestri connessi;

dd) buono stato quantitativo: stato definito nella tabella B.1.2 dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

ee) sostanze pericolose: le sostanze o gruppi di sostanze tossiche, persistenti e bio-accumulabili e altre sostanze o gruppi di sostanze che danno adito a preoccupazioni analoghe;

ff) sostanze prioritarie e sostanze pericolose prioritarie: le sostanze individuate con disposizioni comunitarie ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2000/60/CE;

gg) inquinante: qualsiasi sostanza che possa inquinare, in particolare quelle elencate nell’Allegato 8 alla parte terza del presente decreto;

hh) immissione diretta nelle acque sotterranee: l’immissione di inquinanti nelle acque sotterranee senza infiltrazione attraverso il suolo o il sottosuolo;

ii) obiettivi ambientali: gli obiettivi fissati dal titolo II della parte terza del presente decreto;

ll) standard di qualità ambientale: la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve essere superata per tutelare la salute umana e l’ambiente;

mm) approccio combinato: l’insieme dei controlli, da istituire o realizzare, salvo diversa indicazione delle normative di seguito citate, entro il 22 dicembre 2012, riguardanti tutti gli scarichi nelle acque superficiali, comprendenti i controlli sulle emissioni basati sulle migliori tecniche disponibili, quelli sui pertinenti valori limite di emissione e, in caso di impatti diffusi, e quelli comprendenti, eventualmente, le migliori prassi ambientali; tali controlli sono quelli stabiliti:

1) nel decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento;

2) nella parte terza del presente decreto in materia di acque reflue urbane, nitrati provenienti da fonti agricole, sostanze che presentano rischi significativi per l’ambiente acquatico o attraverso l’ambiente acquatico, inclusi i rischi per le acque destinate alla produzione di acqua potabile e di scarichi di Hg, Cd, HCH, DDT, PCP, aldrin, dieldrin, endrin, HCB, HCBD, cloroformio, tetracloruro di carbonio, EDC, tricloroetilene, TCB e percloroetilene;

nn) acque destinate al consumo umano: le acque disciplinate dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31;

oo) servizi idrici: tutti i servizi che forniscono alle famiglie, agli enti pubblici o a qualsiasi attività economica:

1) estrazione, arginamento, stoccaggio, trattamento e distribuzione, di acque superficiali o sotterranee,

2) strutture per la raccolta e il trattamento delle acque reflue, che successivamente scaricano nelle acque superficiali;

pp) utilizzo delle acque: i servizi idrici unitamente agli altri usi risultanti dall’attività conoscitiva di cui all’articolo 118 che incidono in modo significativo sullo stato delle acque. Tale nozione si applica ai fini dell’analisi economica di cui all’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto;

qq) valori limite di emissione: la massa espressa in rapporto a determinati parametri specifici, la concentrazione e/o il livello di un’emissione che non devono essere superati in uno o più periodi di tempo. I valori limite di emissione possono essere fissati anche per determinati gruppi, famiglie o categorie di sostanze. I valori limite di emissione delle sostanze si applicano di norma nel punto di fuoriuscita delle emissioni dall’impianto, senza tener conto dell’eventuale diluizione; per gli scarichi indiretti nell’acqua, l’effetto di una stazione di depurazione di acque reflue può essere preso in considerazione nella determinazione dei valori limite di emissione dell’impianto, a condizione di garantire un livello equivalente di protezione dell’ambiente nel suo insieme e di non portare a carichi inquinanti maggiori nell’ambiente;

rr) controlli delle emissioni: i controlli che comportano una limitazione specifica delle emissioni, ad esempio un valore limite delle emissioni, oppure che definiscono altrimenti limiti o condizioni in merito agli effetti, alla natura o ad altre caratteristiche di un’emissione o condizioni operative che influiscono sulle emissioni;

ss) costi ambientali: i costi legati ai danni che l’utilizzo stesso delle risorse idriche causa all’ambiente, agli ecosistemi e a coloro che usano l’ambiente;

tt) costi della risorsa: i costi delle mancate opportunità imposte ad altri utenti in conseguenza dello sfruttamento intensivo delle risorse al di là del loro livello di ripristino e ricambio naturale;

uu) impianto: l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività di cui all’Allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e qualsiasi altra attività accessoria, che siano tecnicamente connesse con le attività svolte in uno stabilimento e possano influire sulle emissioni e sull’inquinamento; nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, l’impianto si identifica nello stabilimento. Nel caso di attività di cui all’Allegato I del predetto decreto, l’impianto si identifica con il complesso assoggettato alla disciplina della prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento.

ART. 75
(competenze)

1 Nelle materie disciplinate dalle disposizioni della presente sezione:

a) lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema attraverso il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute;

b) le regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali.

2. Con riferimento alle funzioni e ai compiti spettanti alle regioni e agli enti locali, in caso di accertata inattività che comporti inadempimento agli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, pericolo di grave pregiudizio alla salute o all’ambiente oppure inottemperanza ad obblighi di informazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio per materia, assegna all’ente inadempiente un congruo termine per provvedere, decorso inutilmente il quale il Consiglio dei Ministri, sentito il soggetto inadempiente, nomina un commissario che provvede in via sostitutiva. Gli oneri economici connessi all’attività di sostituzione sono a carico dell’ente inadempiente. Restano fermi i poteri di ordinanza previsti dall’ordinamento in caso di urgente necessità e le disposizioni in materia di poteri sostitutivi previste dalla legislazione vigente, nonche’ quanto disposto dall’articolo 132.

3. Le prescrizioni tecniche necessarie all’attuazione della parte terza del presente decreto sono stabilite negli Allegati al decreto stesso e con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio previa intesa con la Conferenza Stato-regioni; attraverso i medesimi regolamenti possono altresì essere modificati gli Allegati alla parte terza del presente decreto per adeguarli a sopravvenute esigenze o a nuove acquisizioni scientifiche o tecnologiche.

4. Con decreto dei Ministri competenti per materia si provvede alla modifica degli Allegati alla parte terza del presente decreto per dare attuazione alle direttive che saranno emanate dall’Unione europea, per le parti in cui queste modifichino modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico delle direttive dell’Unione europea recepite dalla parte terza del presente decreto, secondo quanto previsto dall’articolo 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

5. Le regioni assicurano la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato di qualità delle acque e trasmettono al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) i dati conoscitivi e le informazioni relative all’attuazione della parte terza del presente decreto, nonche’ quelli prescritti dalla disciplina comunitaria, secondo le modalità indicate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri competenti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) elabora a livello nazionale, nell’ambito del Sistema informativo nazionale dell’ambiente (SINA), le informazioni ricevute e le trasmette ai Ministeri interessati e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio anche per l’invio alla Commissione europea. Con lo stesso decreto sono individuati e disciplinati i casi in cui le regioni sono tenute a trasmettere al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio i provvedimenti adottati ai fini delle comunicazioni all’Unione europea o in ragione degli obblighi internazionali assunti.

6. Le regioni favoriscono l’attiva partecipazione di tutte le parti interessate all’attuazione della parte terza del presente decreto in particolare in sede di elaborazione, revisione e aggiornamento dei piani di tutela di cui all’articolo 121.

7. Le regioni provvedono affinche’ gli obiettivi di qualità di cui agli articoli 76 e 77 ed i relativi programmi di misure siano perseguiti nei corpi idrici ricadenti nei bacini idrografici internazionali in attuazione di accordi tra gli stati membri interessati, avvalendosi a tal fine di strutture esistenti risultanti da accordi internazionali.

8. Qualora il distretto idrografico superi i confini della Comunità europea, lo Stato e le regioni esercitano le proprie competenze adoperandosi per instaurare un coordinamento adeguato con gli Stati terzi coinvolti, al fine realizzare gli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto in tutto il distretto idrografico.

9. I consorzi di bonifica e di irrigazione, anche attraverso appositi accordi di programma con le competenti autorità, concorrono alla realizzazione di azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque anche al fine della loro utilizzazione irrigua, della rinaturalizzazione dei corsi d’acqua e della filodepurazione.

TITOLO II

OBIETTIVI DI QUALITA’

CAPO I

OBIETTIVO DI QUALITA’ AMBIENTALE E OBIETTIVO DI QUALITA’ PER SPECIFICA DESTINAZIONE

ART. 76
(disposizioni generali)

1. Al fine della tutela e del risanamento delle acque superficiali e sotterranee, la parte terza del presente decreto individua gli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici significativi e gli obiettivi di qualità per specifica destinazione per i corpi idrici di cui all’articolo 78, da garantirsi su tutto il territorio nazionale.

2. L’obiettivo di qualità ambientale e’ definito in funzione della capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate.

3. L’obiettivo di qualità per specifica destinazione individua lo stato dei corpi idrici idoneo ad una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e dei molluschi.

4. In attuazione della parte terza del presente decreto sono adottate, mediante il Piano di tutela delle acque di cui all’articolo 121, misure atte a conseguire gli obiettivi seguenti entro il 22 dicembre 2015;

a) sia mantenuto o raggiunto per i corpi idrici significativi superficiali e sotterranei l’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono”;

b) sia mantenuto, ove già esistente, lo stato di qualità ambientale “elevato” come definito nell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto;

c) siano mantenuti o raggiunti altresì per i corpi idrici a specifica destinazione di cui all’articolo 79 gli obiettivi di qualità per specifica destinazione di cui all’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, salvi i termini di adempimento previsti dalla normativa previgente.

5. Qualora per un corpo idrico siano designati obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione che prevedono per gli stessi parametri valori limite diversi, devono essere rispettati quelli più cautelativi quando essi si riferiscono al conseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale; l’obbligo di rispetto di tali valori limite decorre dal 22 dicembre 2015.

6. Il Piano di tutela provvede al coordinamento degli obiettivi di qualità ambientale con i diversi obiettivi di qualità per specifica destinazione.

7. Le regioni possono definire obiettivi di qualità ambientale più elevati, nonche’ individuare ulteriori destinazioni dei corpi idrici e relativi obiettivi di qualità.

ART. 77
(individuazione e perseguimento dell’obiettivo di qualità ambientale)

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sulla base dei dati già acquisiti e dei risultati del primo rilevamento effettuato ai sensi degli articoli 118 e 120, le regioni che non vi abbiano provveduto identificano per ciascun corpo idrico significativo, o parte di esso, la classe di qualità corrispondente ad una di quelle indicate nell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto.

2. In relazione alla classificazione di cui al comma 1, le regioni stabiliscono e adottano le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale di cui all’articolo 76, comma 4, lettere a) e b), tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove fissato sulla base delle indicazioni delle Autorità di bacino, e assicurando in ogni caso per tutti i corpi idrici l’adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado.

3. Al fine di assicurare entro il 22 dicembre 2015 il raggiungimento dell’obiettivo di qualità ambientale corrispondente allo stato di “buono”, entro il 31 dicembre 2008 ogni corpo idrico superficiale classificato o tratto di esso deve conseguire almeno i requisiti dello stato di “sufficiente” di cui all’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto.

4. Le acque ricadenti nelle aree protette devono essere conformi agli obiettivi e agli standard di qualità fissati nell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, secondo le scadenze temporali ivi stabilite, salvo diversa disposizione della normativa di settore a norma della quale le singole aree sono state istituite.

5. La designazione di un corpo idrico artificiale o fortemente modificato e la relativa motivazione sono esplicitamente menzionate nei piani di bacino e sono riesaminate ogni sei anni. Le regioni possono definire un corpo idrico artificiale o fortemente modificato quando:

a) le modifiche delle caratteristiche idromorfologiche di tale corpo, necessarie al raggiungimento di un buono stato ecologico, abbiano conseguenze negative rilevanti:

1) sull’ambiente in senso ampio;

2) sulla navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o sul diporto;

3) sulle attività per le quali l’acqua e’ accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l’irrigazione;

4) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il drenaggio agricolo;

5) su altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente importanti;

b) i vantaggi cui sono finalizzate le caratteristiche artificiali o modificate del corpo idrico non possano, per motivi di fattibilità tecnica o a causa dei costi sproporzionati, essere raggiunti con altri mezzi che rappresentino un’opzione significativamente migliore sul piano ambientale.

6. Le regioni possono motivatamente stabilire termini diversi per i corpi idrici che presentano condizioni tali da non consentire il raggiungimento dello stato di “buono” entro il 22 dicembre 2015, nel rispetto di quanto stabilito al comma 9 e purche’ sussista almeno uno dei seguenti motivi:

a) la portata dei miglioramenti necessari può essere attuata, per motivi di realizzabilità tecnica, solo in fasi che superano il periodo stabilito;

b) il completamento dei miglioramenti entro i termini fissati sarebbe sproporzionatamente costoso;

c) le condizioni naturali non consentono miglioramenti dello stato del corpo idrico nei tempi richiesti.

7. Le regioni possono motivatamente stabilire obiettivi di qualità ambientale meno rigorosi per taluni corpi idrici, qualora ricorra almeno una delle condizioni seguenti:

a) il corpo idrico ha subito, in conseguenza dell’attività umana, gravi ripercussioni che rendono manifestamente impossibile o economicamente insostenibile un significativo miglioramento dello stato qualitativo;

b) il raggiungimento dell’obiettivo di qualità previsto non e’ perseguibile a causa della natura litologica ovvero geomorfologica del bacino di appartenenza.

8. Quando ricorrono le condizioni di cui al comma 7, la definizione di obiettivi meno rigorosi e’ consentita purche’ essi non comportino l’ulteriore deterioramento dello stato del corpo idrico e, fatto salvo il caso di cui alla lettera b) del medesimo comma 7, purche’ non sia pregiudicato il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla parte terza del presente decreto in altri corpi idrici compresi nello stesso bacino idrografico.

9. Nei casi previsti dai commi 6 e 7, i Piani di tutela devono comprendere le misure volte alla tutela del corpo idrico, ivi compresi i provvedimenti integrativi o restrittivi della disciplina degli scarichi ovvero degli usi delle acque. I tempi e gli obiettivi, nonche’ le relative misure, sono rivisti almeno ogni sei anni ed ogni eventuale modifica deve essere inserita come aggiornamento del piano.

10. Il deterioramento temporaneo dello stato del corpo idrico dovuto a circostanze naturali o di forza maggiore eccezionali e ragionevolmente imprevedibili, come alluvioni violente e siccità prolungate, o conseguente a incidenti ragionevolmente imprevedibili, non dà luogo una violazione delle prescrizioni della parte terza del presente decreto, purche’ ricorrano tutte le seguenti condizioni:

a) che siano adottate tutte le misure volte ad impedire l’ulteriore deterioramento dello stato di qualità dei corpi idrici e la compromissione del raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 76 ed al presente articolo in altri corpi idrici non interessati alla circostanza;

b) che il Piano di tutela preveda espressamente le situazioni in cui detti eventi possano essere dichiarati ragionevolmente imprevedibili o eccezionali, anche adottando gli indicatori appropriati;

c) che siano previste ed adottate misure idonee a non compromettere il ripristino della qualità del corpo idrico una volta conclusisi gli eventi in questione;

d) che gli effetti degli eventi eccezionali o imprevedibili siano sottoposti a un riesame annuale e, con riserva dei motivi di cui all’articolo 76, comma 4, lettera a), venga fatto tutto il possibile per ripristinare nel corpo idrico, non appena ciò sia ragionevolmente fattibile, lo stato precedente tali eventi;

e) che una sintesi degli effetti degli eventi e delle misure adottate o da adottare sia inserita nel successivo aggiornamento del Piano di tutela.

ART. 78
(standard di qualità per l’ambiente acquatico)

1. Ai fini della tutela delle acque superficiali dall’inquinamento provocato dalle sostanze pericolose, i corpi idrici significativi di cui all’articolo 76 devono essere conformi entro il 31 dicembre 2008 agli standard di qualità riportati alla Tabella 1/A dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, la cui disciplina sostituisce ad ogni effetto quella di cui al decreto ministeriale 6 novembre 2003, n. 367.

2. I Piani di tutela delle acque di cui all’articolo 121 contengono gli strumenti per il conseguimento degli standard di cui al comma 1, anche ai fini della gestione dei fanghi derivanti dagli impianti di depurazione e dalla disciplina degli scarichi.

3. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio viene data attuazione al disposto dell’articolo 16 della direttiva 2000/60/CE entro il 31 dicembre 2015. Entro gli stessi termini le acque a specifica destinazione di cui all’articolo 79 devono essere conformi agli standard dettati dal medesimo decreto.

ART. 79
(obiettivo di qualità per specifica destinazione)

1. Sono acque a specifica destinazione funzionale:

a) le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b) le acque destinate alla balneazione;

c) le acque dolci che richiedono protezione e miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d) le acque destinate alla vita dei molluschi.

2. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 76, commi 4 e 5, per le acque indicate al comma 1, e’ perseguito, per ciascun uso, l’obiettivo di qualità per specifica destinazione stabilito nell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, fatta eccezione per le acque di balneazione.

3. Le regioni, al fine di un costante miglioramento dell’ambiente idrico, stabiliscono programmi, che vengono recepiti nel Piano di tutela, per mantenere o adeguare la qualità delle acque di cui al comma 1 all’obiettivo di qualità per specifica destinazione. Le regioni predispongono apposito elenco aggiornato periodicamente delle acque di cui al comma 1.

CAPO II

ACQUE A SPECIFICA DESTINAZIONE

ART. 80
(acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile)

1. Le acque dolci superficiali, per essere utilizzate o destinate alla produzione di acqua potabile, sono classificate dalle regioni nelle categorie Al, A2 e A3, secondo le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche di cui alla Tabella 1/A dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto.

2. A seconda della categoria di appartenenza, le acque dolci superficiali di cui al comma 1 sono sottoposte ai trattamenti seguenti:

a) Categoria Al: trattamento fisico semplice e disinfezione;

b) Categoria A2: trattamento fisico e chimico normale e disinfezione;

c) Categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto, affinamento e disinfezione.

3. Le regioni inviano i dati relativi al monitoraggio e alla classificazione delle acque di cui ai commi 1 e 2 al Ministero della salute, che provvede al successivo inoltro alla Commissione europea.

4. Le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori limite imperativi della categoria A3 possono essere utilizzate, in via eccezionale, solo qualora non sia possibile ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme di qualità delle acque destinate al consumo umano.

ART. 81
(deroghe)

1. Per le acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni possono derogare ai valori dei parametri di cui alla Tabella 1/A dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto:

a) in caso di inondazioni o di catastrofi naturali;

b) limitatamente ai parametri contraddistinti nell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto Tabella 1/A dal simbolo (o), qualora ricorrano circostanze meteorologiche eccezionali o condizioni geografiche particolari;

c) quando le acque superficiali si arricchiscono naturalmente di talune sostanze con superamento dei valori fissati per le categorie Al, A2 e A3;

d) nel caso di laghi che abbiano una profondità non superiore ai 20 metri, che per rinnovare le loro acque impieghino più di un anno e nel cui specchio non defluiscano acque di scarico, limitatamente ai parametri contraddistinti nell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, Tabella 1/A da un asterisco (*).

2. Le deroghe di cui al comma 1 non sono ammesse se ne derivi concreto pericolo per la salute pubblica.

ART. 82
(acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile)

1. Fatte salve le disposizioni per le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, le regioni, all’interno del distretto idrografico di appartenenza, individuano:

a) tutti i corpi idrici superficiali e sotterranei che forniscono in media oltre 10 m3 al giorno o servono più di 50 persone, e

b) i corpi idrici destinati a tale uso futuro.

2. L’autorità competente provvede al monitoraggio, a norma dell’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto, dei corpi idrici che forniscono in media oltre 100 m3 al giorno.

3. Per i corpi idrici di cui al comma 1 deve essere conseguito l’obiettivo ambientale di cui agli articoli 76 e seguenti.

ART. 83
(acque di balneazione)

1. Le acque destinate alla balneazione devono soddisfare i requisiti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982, n. 470.

2. Per le acque che risultano ancora non idonee alla balneazione ai sensi del decreto di cui al comma 1, le regioni comunicano al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, entro l’inizio della stagione balneare successiva alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto e, successivamente, con periodicità annuale prima dell’inizio della stagione balneare, tutte le informazioni relative alle cause della non balneabilità ed alle misure che intendono adottare, secondo le modalità indicate dal decreto di cui all’articolo 75, comma 6.

ART. 84
(acque dolci idonee alla vita dei pesci)

1. Le regioni effettuano la designazione delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per esser idonee alla vita dei pesci. Ai fini di tale designazione sono privilegiati:

a) i corsi d’acqua che attraversano il territorio di parchi nazionali e riserve naturali dello Stato nonche’ di parchi e riserve naturali regionali;

b) i laghi naturali ed artificiali, gli stagni ed altri corpi idrici, situati nei predetti ambiti territoriali;

c) le acque dolci superficiali comprese nelle zone umide dichiarate “di importanza internazionale” ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con il decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448, sulla protezione delle zone umide, nonche’ quelle comprese nelle “oasi di protezione della fauna”, istituite dalle regioni e province autonome ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157;

d) le acque dolci superficiali che, ancorche’ non comprese nelle precedenti categorie, presentino un rilevante interesse scientifico, naturalistico, ambientale e produttivo in quanto costituenti habitat di specie animali o vegetali rare o in via di estinzione, oppure in quanto sede di complessi ecosistemi acquatici meritevoli di conservazione o, altresì, sede di antiche e tradizionali forme di produzione ittica che presentino un elevato grado di sostenibilità ecologica ed economica.

2. Le regioni, entro quindici mesi dalla designazione, classificano le acque dolci superficiali che presentino valori dei parametri di qualità conformi con quelli imperativi previsti dalla Tabella 1/B dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto come acque dolci “salmonicole” o “ciprinicole”.

3. La designazione e la classificazione di cui ai commi 1 e 2 devono essere gradualmente estese sino a coprire l’intero corpo idrico, ferma restando la possibilità di designare e classificare, nell’ambito del medesimo, alcuni tratti come “acqua salmonicola” e alcuni tratti come “acqua ciprinicola”. La designazione e la classificazione sono sottoposte a revisione in relazione ad elementi imprevisti o sopravvenuti.

4. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità delle acque dolci idonee alla vita dei pesci, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della Giunta provinciale, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

5. Sono escluse dall’applicazione del presente articolo e degli articoli 85 e 86 le acque dolci superficiali dei bacini naturali o artificiali utilizzati per l’allevamento intensivo delle specie ittiche nonche’ i canali artificiali adibiti a uso plurimo, di scolo o irriguo, e quelli appositamente costruiti per l’allontanamento dei liquami e di acque reflue industriali.

ART. 85
(accertamento della qualità delle acque idonee alla vita dei pesci)

1. Le acque designate e classificate ai sensi dell’articolo 84 si considerano idonee alla vita dei pesci se rispondono ai requisiti riportati nella Tabella 1/B dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto.

2. Se dai campionamenti risulta che non sono rispettati uno o più valori dei parametri riportati nella Tabella 1/B dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, le autorità competenti al controllo accertano se l’inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita, ad apporti inquinanti o a eccessivi prelievi, e propongono all’autorità competente le misure appropriate.

3. Ai fini di una più completa valutazione delle qualità delle acque, le regioni promuovono la realizzazione di idonei programmi di analisi biologica delle acque designate e classificate.

ART. 86
(deroghe)

1. Per le acque dolci superficiali designate o classificate per essere idonee alla vita dei pesci, le regioni possono derogare al rispetto dei parametri indicati nella Tabella 1/B dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto con il simbolo (o) in caso di circostanze meteorologiche eccezionali o speciali condizioni geografiche e, quanto al rispetto dei parametri riportati nella medesima Tabella, in caso di arricchimento naturale del corpo idrico da sostanze provenienti dal suolo senza intervento diretto dell’uomo.

ART. 87
(acque destinate alla vita dei molluschi)

1. Le regioni, d’intesa con il Ministero della politiche agricole e forestali, designano, nell’ambito delle acque marine costiere e salmastre che sono sede di banchi e di popolazioni naturali di molluschi bivalvi e gasteropodi, quelle richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo degli stessi e per contribuire alla buona qualità dei prodotti della molluschicoltura direttamente commestibili per l’uomo.

2. Le regioni possono procedere a designazioni complementari, oppure alla revisione delle designazioni già effettuate, in funzione dell’esistenza di elementi imprevisti al momento della designazione.

3. Qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi, il Presidente della Giunta regionale, il Presidente della Giunta provinciale e il Sindaco, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano provvedimenti specifici e motivati, integrativi o restrittivi degli scarichi ovvero degli usi delle acque.

ART. 88
(accertamento della qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi)

1. Le acque designate ai sensi dell’articolo 87 devono rispondere ai requisiti di qualità di cui alla Tabella 1/C dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto. In caso contrario, le regioni stabiliscono programmi per ridurne l’inquinamento.

2. Se da un campionamento risulta che uno o più valori dei parametri di cui alla Tabella 1/C dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto non sono rispettati, le autorità competenti al controllo accertano se l’inosservanza sia dovuta a fenomeni naturali, a causa fortuita o ad altri fattori di inquinamento e le regioni adottano misure appropriate.

ART. 89
(deroghe)

1. Per le acque destinate alla vita dei molluschi, le regioni possono derogare ai requisiti di cui alla Tabella 1/C dell’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto in caso di condizioni meteorologiche o geomorfologiche eccezionali.

ART. 90
(norme sanitarie)

1. Le attività di cui agli articoli 87, 88 e 89 lasciano impregiudicata l’attuazione delle norme sanitarie relative alla classificzione delle zone di produzione e di stabulazione dei molluschi bivalvi vivi, effettuata ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 530.

TITOLO III

TUTELA DEI CORPI IDRICI E DISCIPLINA DEGLI SCARICHI

CAPO I

AREE RICHIEDENTI SPECIFICHE MISURE DI PREVENZIONE DALL’INQUINAMENTO E DI RISANAMENTO

ART. 91
(aree sensibili)

1. Le aree sensibili sono individuate secondo i criteri dell’Allegato 6 alla parte terza del presente decreto. Sono comunque aree sensibili:

a) i laghi di cui all’Allegato 6 alla parte terza del presente decreto, nonche’ i corsi d’acqua a esse afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

b) le aree lagunari di Orbetello, Ravenna e Piallassa-Baiona, le Valli di Comacchio, i laghi salmastri e il delta del Po;

c) le zone umide individuate ai sensi della convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971, resa esecutiva con decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;

d) le aree costiere dell’Adriatico-Nord Occidentale dalla foce dell’Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e i corsi d’acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa;

e) il lago di Garda e il lago d’Idro;

f) i fiumi Sarca-Mincio, Oglio, Adda, Lambro-Olona meridionale e Ticino;

g) il fiume Amo a valle di Firenze e i relativi affluenti;

h) il golfo di Castellammare in Sicilia;

i) le acque costiere dell’Adriatico settentrionale.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto individua con proprio decreto ulteriori aree sensibili identificate secondo i criteri di cui all’Allegato 6 alla parte terza del presente decreto.

3. Resta fermo quanto disposto dalla legislazione vigente relativamente alla tutela di Venezia.

4. Le regioni, sulla base dei criteri di cui al comma 1 e sentita l’Autorità di bacino, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, e successivamente ogni due anni, possono designare ulteriori aree sensibili ovvero individuare all’interno delle aree indicate nel comma 2 i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili.

5. Le regioni, sulla base dei criteri di cui al comma 1 e sentita l’Autorità di bacino, delimitano i bacini drenanti nelle aree sensibili che contribuiscono all’inquinamento di tali aree.

6. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio provvede con proprio decreto, da emanare ogni quattro anni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sentita la Conferenza Stato-regioni, alla reidentificazione delle aree sensibili e dei rispettivi bacini drenanti che contribuiscono all’inquinamento delle aree sensibili.

7. Le nuove aree sensibili identificate ai sensi dei commi 2, 4, e 6 devono soddisfare i requisiti dell’articolo 106 entro sette anni dall’identificazione.

8. Gli scarichi recapitanti nei bacini drenanti afferenti alle aree sensibili di cui ai commi 2 e 6 sono assoggettate alle disposizioni di cui all’articolo 106.

ART. 92
(zone vulnerabili da nitrati di origine agricola)

1. Le zone vulnerabili sono individuate secondo i criteri di cui all’Allegato 7/A-I alla parte terza del presente decreto.

2. Ai fini della prima individuazione sono designate zone vulnerabili le aree elencate nell’Allegato 7/A-III alla parte terza del presente decreto.

3. Per tener conto di cambiamenti e/o di fattori imprevisti alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, dopo quattro anni da tale data il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, sentita la Conferenza Stato-regioni, può modificare i criteri di cui al comma 1.

4. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, sulla base dei dati disponibili e tenendo conto delle indicazioni stabilite nell’Allegato 7/A-I alla parte terza del presente decreto, le regioni, sentite le Autorità di bacino, possono individuare ulteriori zone vulnerabili oppure, all’interno delle zone indicate nell’Allegato 7/A-III alla parte terza del presente decreto, le parti che non costituiscono zone vulnerabili.

5. Per tener conto di cambiamenti e/o di fattori imprevisti al momento della precedente designazione, almeno ogni quattro anni le regioni, sentite le Autorità di bacino, possono rivedere o completare le designazioni delle zone vulnerabili. A tal fine le regioni predispongono e attuano, ogni quattro anni, un programma di controllo per verificare le concentrazioni dei nitrati nelle acque dolci per il periodo di un anno, secondo le prescrizioni di cui all’Allegato 7/A-I alla parte terza del presente decreto, nonche’ riesaminano lo stato eutrofico causato da azoto delle acque dolci superficiali, delle acque di transizione e delle acque marine costiere.

6. Nelle zone individuate ai sensi dei commi 2, 4 e 5 devono essere attuati i programmi di azione di cui al comma 7, nonche’ le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali 19 aprile 1999, pubblicato nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 1999.

7. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto per le zone designate ai sensi dei commi 2 e 4, ed entro un anno dalla data di designazione per le ulteriori zone di cui al comma 5, le regioni, sulla base delle indicazioni e delle misure di cui all’Allegato 7/A-IV alla parte terza del presente decreto, definiscono, o rivedono se già posti in essere, i programmi d’azione obbligatori per la tutela e il risanamento delle acque dall’inquinamento causato da nitrati di origine agricola, e provvedono alla loro attuazione nell’anno successivo per le zone vulnerabili di cui ai commi 2 e 4 e nei successivi quattro anni per le zone di cui al comma 5.

8. Le regioni provvedono, inoltre, a:

a) integrare, se del caso, in relazione alle esigenze locali, il codice di buona pratica agricola, stabilendone le modalità di applicazione;

b) predisporre ed attuare interventi di formazione e di informazione degli agricoltori sul programma di azione e sul codice di buona pratica agricola;

c) elaborare ed applicare, entro quattro anni a decorrere dalla definizione o revisione dei programmi di cui al comma 7, i necessari strumenti di controllo e verifica dell’efficacia dei programmi stessi sulla base dei risultati ottenuti; ove necessario, modificare o integrare tali programmi individuando, tra le ulteriori misure possibili, quelle maggiormente efficaci, tenuto conto dei costi di attuazione delle misure stesse.

9. Le variazioni apportate alle designazioni, i programmi di azione, i risultati delle verifiche dell’efficacia degli stessi e le revisioni effettuate sono comunicati al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 75, comma 6. Al Ministero per le politiche agricole e forestali e’ data tempestiva notizia delle integrazioni apportate al codice di buona pratica agricola di cui al comma 8, lettera a), nonche’ degli interventi di formazione e informazione.

10. Al fine di garantire un generale livello di protezione delle acque e’ raccomandata l’applicazione del codice di buona pratica agricola anche al di fuori delle zone vulnerabili.

ART. 93
(zone vulnerabili da prodotti fitosanitari e zone vulnerabili alla desertificazione)

1. Con le modalità previste dall’articolo 92, e sulla base delle indicazioni contenute nell’Allegato 7/B alla parte terza del presente decreto, le regioni identificano le aree vulnerabili da prodotti fitosanitari secondo i criteri di cui all’articolo 5, comma 21, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, allo scopo di proteggere le risorse idriche o altri comparti ambientali dall’inquinamento derivante dall’uso di prodotti fitosanitari.

2. Le regioni e le Autorità di bacino verificano la presenza nel territorio di competenza di aree soggette o minacciate da fenomeni di siccità, degrado del suolo e processi di desertificazione e le designano quali aree vulnerabili alla desertificazione.

3. Per le aree di cui al comma 2, nell’ambito della pianificazione di distretto e della sua attuazione, sono adottate specifiche misure di tutela, secondo i criteri previsti nel Piano d’azione nazionale di cui alla delibera CIPE del 22 dicembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 1999.

ART. 94
(disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano)

1. Su proposta delle Autorità d’ambito, le regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, nonche’ per la tutela dello stato delle risorse, individuano le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonche’, all’interno dei bacini imbriferi e delle aree di ricarica della falda, le zone di protezione.

2. Per gli approvvigionamenti diversi da quelli di cui al comma 1, le Autorità competenti impartiscono, caso per caso, le prescrizioni necessarie per la conservazione e la tutela della risorsa e per il controllo delle caratteristiche qualitative delle acque destinate al consumo umano.

3. La zona di tutela assoluta e’ costituita dall’area immediatamente circostante le captazioni o derivazioni: essa, in caso di acque sotterranee e, ove possibile, per le acque superficiali, deve avere un’estensione di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione, deve essere adeguatamente protetta e dev’essere adibita esclusivamente a opere di captazione o presa e ad infrastrutture di servizio.

4. La zona di rispetto e’ costituita dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata e può essere suddivisa in zona di rispetto ristretta e zona di rispetto allargata, in relazione alla tipologia dell’opera di presa o captazione e alla situazione locale di vulnerabilità e rischio della risorsa. In particolare, nella zona di rispetto sono vietati l’insediamento dei seguenti centri di pericolo e lo svolgimento delle seguenti attività:

a) dispersione di fanghi e acque reflue, anche se depurati;

b) accumulo di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi;

c) spandimento di concimi chimici, fertilizzanti o pesticidi, salvo che l’impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base delle indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche;

d) dispersione nel sottosuolo di acque meteoriche proveniente da piazzali e strade;

e) aree cimiteriali;

f) apertura di cave che possono essere in connessione con la falda;

g) apertura di pozzi ad eccezione di quelli che estraggono acque destinate al consumo umano e di quelli finalizzati alla variazione dell’estrazione ed alla protezione delle caratteristiche quali-quantitative della risorsa idrica;

h) gestione di rifiuti;

i) stoccaggio di prodotti ovvero sostanze chimiche pericolose e sostanze radioattive;

l) centri di raccolta, demolizione e rottamazione di autoveicoli;

m) pozzi perdenti;

n) pascolo e stabulazione di bestiame che ecceda i 170 chilogrammi per ettaro di azoto presente negli effluenti, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione. E’ comunque vietata la stabulazione di bestiame nella zona di rispetto ristretta.

5. Per gli insediamenti o le attività di cui al comma 4, preesistenti, ove possibile, e comunque ad eccezione delle aree cimiteriali, sono adottate le misure per il loro allontanamento; in ogni caso deve essere garantita la loro messa in sicurezza. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto le regioni e le province autonome disciplinano, all’interno delle zone di rispetto, le seguenti strutture o attività:

a) fognature;

b) edilizia residenziale e relative opere di urbanizzazione;

c) opere viarie, ferroviarie e in genere infrastrutture di servizio;

d) pratiche agronomiche e contenuti dei piani di utilizzazione di cui alla lettera c) del comma 4.

6. In assenza dell’individuazione da parte delle regioni o delle province autonome della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione.

7. Le zone di protezione devono essere delimitate secondo le indicazioni delle regioni o delle province autonome per assicurare la protezione del patrimonio idrico. In esse si possono adottare misure relative alla destinazione del territorio interessato, limitazioni e prescrizioni per gli insediamenti civili, produttivi, turistici, agro-forestali e zootecnici da inserirsi negli strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali, sia generali sia di settore.

8. Ai fini della protezione delle acque sotterranee, anche di quelle non ancora utilizzate per l’uso umano, le regioni e le province autonome individuano e disciplinano, all’interno delle zone di protezione, le seguenti aree:

a) aree di ricarica della falda;

b) emergenze naturali ed artificiali della falda;

c) zone di riserva.

CAPO II

TUTELA QUANTITATIVA DELLA RISORSA E RISPARMIO IDRICO

ART. 95
(pianificazione del bilancio idrico)

1. La tutela quantitativa della risorsa concorre al raggiungimento degli obiettivi di qualità attraverso una pianificazione delle utilizzazioni delle acque volta ad evitare ripercussioni sulla qualità delle stesse e a consentire un consumo idrico sostenibile.

2. Nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico come definito dalle Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d’uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative.

3. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, le regioni definiscono, sulla base delle linee guida adottate dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonche’ sulla base dei criteri già adottati dalle Autorità di bacino, gli obblighi di installazione e manutenzione in regolare stato di funzionamento di idonei dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi d’acqua pubblica derivati, in corrispondenza dei punti di prelievo e, ove presente, di restituzione, nonche’ gli obblighi e le modalità di trasmissione dei risultati delle misurazioni dell’Autorità concedente per il loro successivo inoltro alla regione ed alle Autorità di bacino competenti. Le Autorità di bacino provvedono a trasmettere i dati in proprio possesso al Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agen zia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) secondo le modalità di cui all’articolo 75, comma 6.

4. Salvo quanto previsto al comma 5, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

5. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2, le Autorità concedenti effettuano il censimento di tutte le utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano; le medesime Autorità provvedono successivamente, ove necessario, alla revisione di tale censimento, disponendo prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

6. Nel provvedimento di concessione preferenziale, rilasciato ai sensi dell’articolo 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono contenute le prescrizioni relative ai rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici nonche’ le prescrizioni necessarie ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico.

ART. 96
(modifiche al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775)

1. Il secondo comma dell’articolo 7 del testo unico delle disposizioni sulle acque e impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e’ sostituito dal seguente:

“Le domande di cui al primo comma relative sia alle grandi sia alle piccole derivazioni sono altresì trasmesse alle Autorità di bacino territorialmente competenti che, entro il termine perentorio di quaranta giorni dalla data di ricezione ove si tratti di domande relative a piccole derivazioni, comunicano il proprio parere vincolante al competente Ufficio Istruttore in ordine alla compatibilità della utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo sull’equilibrio del bilancio idrico o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto. Qualora le domande siano relative a grandi derivazioni, il termine per la comunicazione del suddetto parere e’ elevato a novanta giorni dalla data di ricezione delle domande medesime. Decorsi i predetti termini senza che sia intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nomina un Commissario “ad acta” che provvede entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina.”.

2. I commi 1 e 1-bis. dell’articolo 9 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono sostituiti dai seguenti: “1. Tra più domande concorrenti, completata l’istruttoria di cui agli articoli 7 e 8, e’ preferita quella che da sola, o in connessione con altre utenze concesse o richieste, presenta la più razionale utilizzazione delle risorse idriche in relazione ai seguenti criteri:

a) l’attuale livello di soddisfacimento delle esigenze essenziali dei concorrenti anche da parte dei servizi pubblici di acquedotto o di irrigazione e la prioritaria destinazione delle risorse qualificate all’uso potabile;

b) le effettive possibilità di migliore utilizzo delle fonti in relazione all’uso;

c) le caratteristiche quantitative e qualitative del corpo idrico oggetto di prelievo;

d) la quantità e la qualità dell’acqua restituita rispetto a quella prelevata.

1-bis. E’ preferita la domanda che, per lo stesso tipo di uso, garantisce la maggior restituzione d’acqua in rapporto agli obiettivi di qualità dei corpi idrici. In caso di più domande concorrenti per usi produttivi e’ altresì preferita quella del richiedente che aderisce al sistema ISO 14001 ovvero al sistema di cui al regolamento (CEE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001, sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS).

1-ter. Per lo stesso tipo di uso e’ preferita la domanda che garantisce che i minori prelievi richiesti siano integrati dai volumi idrici derivati da attività di recupero e di riciclo.”.

3. L’articolo 12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e’ sostituito dal seguente:

“Articolo 12-bis.

1. Il provvedimento di concessione e’ rilasciato se:

a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d’acqua interessato;

b) e’ garantito il minimo deflusso vitale e l’equilibrio del bilancio idrico;

c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico.

2. I volumi di acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell’acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l’equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell’acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant’altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque.

3. L’utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se:

a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;

b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;

c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi e’ una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.

4. Nei casi di cui al comma 3, il canone di utenza per uso diverso da quello potabile e’ triplicato. Sono escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto.”.

4. L’articolo 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e’ sostituito dal seguente:

“Articolo 17.

1. Salvo quanto previsto dall’articolo 93 e dal comma 2, e’ vietato derivare o utilizzare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell’autorità competente.

2. La raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici e’ libera e non richiede licenza o concessione di derivazione di acqua; la realizzazione dei relativi manufatti e’ regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali.

3. Nel caso di violazione delle norme di cui al comma 1, l’Amministrazione competente dispone la cessazione dell’utenza abusiva ed il contravventore, fatti salvi ogni altro adempimento o comminatoria previsti dalle leggi vigenti, e’ tenuto al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 30.000 euro. Nei casi di particolare tenuità si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 euro a 1.500 euro. Alla sanzione prevista dal presente articolo non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. E’ in ogni caso dovuta una somma pari ai canoni non corrisposti. L’autorità competente, con espresso provvedimento nel quale sono stabilite le necessarie cautele, può eccezionalmente consentire la continuazione provvisoria del prelievo in presenza di particolari ragioni di interesse pubblico generale, purche’ l’utilizzazione non risulti in palese contrasto con i diritti di terzi e con il buon regime delle acque.”.

5. Il secondo comma dell’articolo 54 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, già abrogato dall’articolo 23 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, resta abrogato.

6. Fatto salvo quanto previsto dal comma 7, per le derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica in tutto o in parte abusivamente in atto e’ ammessa la presentazione di domanda di concessione in sanatoria entro il 30 giugno 2006 previo pagamento della sanzione di cui all’articolo 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, aumentata di un quinto. Successivamente a tale data, alle derivazioni o utilizzazioni di acqua pubblica in tutto o in parte abusivamente in atto si applica l’articolo 17, comma 3, del regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775. La concessione in sanatoria e’ rilasciata nel rispetto della legislazione vigente e delle utenze regolarmente assentite. In pendenza del procedimento istruttorio della concessione in sanatoria, l’utilizzazione può proseguire fermo restando l’obbligo del pagamento del canone per l’uso effettuato e il potere dell’autorità concedente di sospendere in qualsiasi momento l’utilizzazione qualora in contrasto con i diritti di terzi o con il raggiungimento o il mantenimento deg li obiettivi di qualità e dell’equilibrio del bilancio idrico. Restano comunque ferme le disposizioni di cui all’articolo 95, comma 5.

7. I termini entro i quali far valere, a pena di decadenza, ai sensi degli articoli 3 e 4 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, il diritto al riconoscimento o alla concessione di acque che hanno assunto natura pubblica a norma dell’articolo 1, comma 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonche’ per la presentazione delle denunce dei pozzi a norma dell’articolo 10 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275, sono prorogati al 30 giugno 2006. In tali casi i canoni demaniali decorrono dal 10 agosto 1999. Nel provvedimento di concessione preferenziale sono contenute le prescrizioni relative ai rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici e quelle prescrizioni necessarie ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico.

8. Il primo comma dell’articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e’ sostituito dal seguente:

“Tutte le concessioni di derivazione sono temporanee. La durata delle concessioni, fatto salvo quanto disposto dal secondo comma, non può eccedere i trenta anni ovvero i quaranta per uso irriguo e per la piscicoltura, ad eccezione di quelle di grande derivazione idroelettrica, per le quali resta ferma la disciplina di cui all’articolo 12, commi 6, 7 e 8 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79.”.

9. Dopo il terzo comma dell’articolo 21 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 e’ inserito il seguente:

“Le concessioni di derivazioni per uso irriguo devono tener conto delle tipologie delle colture in funzione della disponibilità della risorsa idrica, della quantità minima necessaria alla coltura stessa, prevedendo se necessario specifiche modalità di irrigazione; le stesse sono assentite o rinnovate solo qualora non risulti possibile soddisfare la domanda d’acqua attraverso le strutture consortili già operanti sul territorio.”.

10. Fatta salva l’efficacia delle norme più restrittive, tutto il territorio nazionale e’ assoggettato a tutela ai sensi dell’articolo 94 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

11. Le regioni disciplinano i procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di acque pubbliche nel rispetto delle direttive sulla gestione del demanio idrico nelle quali sono indicate anche le possibilità di libero utilizzo di acque superficiali scolanti su suoli o in fossi di canali di proprietà privata. Le regioni, sentite le Autorità di bacino, disciplinano forme di regolazione dei prelievi delle acque sotterranee per gli usi domestici, come definiti dall’articolo 93 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, laddove sia necessario garantire l’equilibrio del bilancio idrico.

ART. 97
(acque minerali naturali e di sorgenti)

1. Le concessioni di utilizzazione delle acque minerali naturali e delle acque di sorgente sono rilasciate tenuto conto delle esigenze di approvvigionamento e distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del Piano di tutela di cui all’articolo 121.

ART. 98
(risparmio idrico)

1. Coloro che gestiscono o utilizzano la risorsa idrica adottano le misure necessarie all’eliminazione degli sprechi ed alla riduzione dei consumi e ad incrementare il riciclo ed il riutilizzo, anche mediante l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili.

2. Le regioni, sentite le Autorità di bacino, approvano specifiche norme sul risparmio idrico in agricoltura, basato sulla pianificazione degli usi, sulla corretta individuazione dei fabbisogni nel settore, e sui controlli degli effettivi emungimenti.

ART. 99
(riutilizzo dell’acqua)

1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, sentiti i Ministri delle politiche agricole e forestali, della salute e delle attività produttive, detta le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue.

2. Le regioni, nel rispetto dei principi della legislazione statale, e sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, adottano norme e misure volte a favorire il riciclo dell’acqua e il riutilizzo delle acque reflue depurate.

CAPO III

TUTELA QUALITATIVA DELLA RISORSA: DISCIPLINA DEGLI SCARICHI

ART. 100
(reti fognarie)

1. Gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 2.000 devono essere provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane.

2. La progettazione, la costruzione e la manutenzione delle reti fognarie si effettuano adottando le migliori tecniche disponibili e che comportino costi economicamente ammissibili, tenendo conto, in particolare:

a) della portata media, del volume annuo e delle caratteristiche delle acque reflue urbane;

b) della prevenzione di eventuali fenomeni di rigurgito che comportino la fuoriuscita delle acque reflue dalle sezioni fognarie;

c) della limitazione dell’inquinamento dei ricettori, causato da tracimazioni originate da particolari eventi meteorici.

3. Per insediamenti, installazioni o edifici isolati che producono acque reflue domestiche, le regioni individuano sistemi individuali o altri sistemi pubblici o privati adeguati che raggiungano lo stesso livello di protezione ambientale, indicando i tempi di adeguamento degli scarichi a detti sistemi.

ART. 101
(criteri generali della disciplina degli scarichi)

1. Tutti gli scarichi sono disciplinati in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e devono comunque rispettare i valori limite previsti nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. L’autorizzazione può in ogni caso stabilire specifiche deroghe ai suddetti limiti e idonee prescrizioni per i periodi di avviamento e di arresto e per l’eventualità di guasti nonche’ per gli ulteriori periodi transitori necessari per il ritorno alle condizioni di regime.

2. Ai fini di cui al comma 1, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili e delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, sia in concentrazione massima ammissibile sia in quantità massima per unità di tempo in ordine ad ogni sostanza inquinante e per gruppi o famiglie di sostanze affini. Le regioni non possono stabilire valori limite meno restrittivi di quelli fissati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto:

a) nella Tabella 1, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali;

b) nella Tabella 2, relativamente allo scarico di acque reflue urbane in corpi idrici superficiali ricadenti in aree sensibili;

c) nella Tabella 3/A, per i cicli produttivi ivi indicati;

d) nelle Tabelle 3 e 4, per quelle sostanze indicate nella Tabella 5 del medesimo Allegato.

3. Tutti gli scarichi, ad eccezione di quelli domestici e di quelli ad essi assimilati ai sensi del comma 7, lettera e), devono essere resi accessibili per il campionamento da parte dell’autorità competente per il controllo nel punto assunto a riferimento per il campionamento, che, salvo quanto previsto dall’articolo 108, comma 4, va effettuato immediatamente a monte della immissione nel recapito in tutti gli impluvi naturali, le acque superficiali e sotterranee, interne e marine, le fognature, sul suolo e nel sottosuolo.

4. L’autorità competente per il controllo e’ autorizzata ad effettuare tutte le ispezioni che ritenga necessarie per l’accertamento delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Essa può richiedere che scarichi parziali contenenti le sostanze di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 12, 15, 16, 17 e 18 della tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto subiscano un trattamento particolare prima della loro confluenza nello scarico generale.

5. I valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione con acque prelevate esclusivamente allo scopo. Non e’ comunque consentito diluire con acque di raffreddamento, di lavaggio o prelevate esclusivamente allo scopo gli scarichi parziali di cui al comma 4, prima del trattamento degli stessi per adeguarli ai limiti previsti dalla parte terza dal presente decreto. L’autorità competente, in sede di autorizzazione, può prescrivere che lo scarico delle acque di raffreddamento, di lavaggio, ovvero impiegate per la produzione di energia sia separato dallo scarico terminale di ciascuno stabilimento.

6. Qualora le acque prelevate da un corpo idrico superficiale presentino parametri con valori superiori ai valori-limite di emissione, la disciplina dello scarico e’ fissata in base alla natura delle alterazioni e agli obiettivi di qualità del corpo idrico ricettore. In ogni caso le acque devono essere restituite con caratteristiche qualitative non peggiori di quelle prelevate e senza maggiorazioni di portata allo stesso corpo idrico dal quale sono state prelevate.

7. Salvo quanto previsto dall’articolo 112, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:

a) provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del terreno e/o alla silvicoltura;

b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

c) provenienti da imprese dedite alle attività di cui alle lettere a) e b) che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;

d) provenienti da impianti di acquacoltura e di piscicoltura che diano luogo a scarico e che si caratterizzino per una densità di allevamento pari o inferiore a 1 Kg per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo;

e) aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;

f) provenienti da attività termali, fatte salve le discipline regionali di settore.

8. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, e successivamente ogni due anni, le regioni trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, al Servizio geologico d’Italia – Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti le informazioni relative alla funzionalità dei depuratori, nonche’ allo smaltimento dei relativi fanghi, secondo le modalità di cui all’articolo 75, comma 5.

9. Al fine di assicurare la più ampia divulgazione delle informazioni sullo stato dell’ambiente le regioni pubblicano ogni due anni, sui propri Bollettini Ufficiali e siti internet istituzionali, una relazione sulle attività di smaltimento delle acque reflue urbane nelle aree di loro competenza, secondo le modalità indicate nel decreto di cui all’articolo 75, comma 5.

10. Le Autorità competenti possono promuovere e stipulare accordi e contratti di programma con soggetti economici interessati, al fine di favorire il risparmio idrico, il riutilizzo delle acque di scarico e il recupero come materia prima dei fanghi di depurazione, con la possibilità di ricorrere a strumenti economici, di stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi e di fissare, per le sostanze ritenute utili, limiti agli scarichi in deroga alla disciplina generale, nel rispetto comunque delle norme comunitarie e delle misure necessarie al conseguimento degli obiettivi di qualità.

ART. 102
(scarichi di acque termali)

1. Per le acque termali che presentano all’origine parametri chimici con valori superiori a quelli limite di emissione, e’ ammessa la deroga ai valori stessi a condizione che le acque siano restituite con caratteristiche qualitative non superiori rispetto a quelle prelevate ovvero che le stesse, nell’ambito massimo del 10 per cento, rispettino i parametri batteriologici e non siano presenti le sostanze pericolose di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

2. Gli scarichi termali sono ammessi, fatta salva la disciplina delle autorizzazioni adottata dalle regioni ai sensi dell’articolo 124, comma 5:

a) in corpi idrici superficiali, purche’ la loro immissione nel corpo ricettore non comprometta gli usi delle risorse idriche e non causi danni alla salute ed all’ambiente;

b) sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, previa verifica delle situazioni geologiche;

c) in reti fognarie, purche’ vengano osservati i regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato e vengano autorizzati dalle Autorità di ambito;

d) in reti fognarie di tipo separato previste per le acque meteoriche.

ART. 103
(scarichi sul suolo)

1. E’ vietato lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, fatta eccezione:

a) per i casi previsti dall’articolo 100, comma 3;

b) per gli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie;

c) per gli scarichi di acque reflue urbane e industriali per i quali sia accertata l’impossibilità tecnica o l’eccessiva onerosità, a fronte dei benefici ambientali conseguibili, a recapitare in corpi idrici superficiali, purche’ gli stessi siano conformi ai criteri ed ai valori-limite di emissione fissati a tal fine dalle regioni ai sensi dell’articolo 101, comma 2. Sino all’emanazione di nuove norme regionali si applicano i valori limite di emissione della Tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto;

d) per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonche’ dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purche’ i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli;

e) per gli scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate;

f) per le acque derivanti dallo sfioro dei serbatoi idrici, dalle operazioni di manutenzione delle reti idropotabili e dalla manutenzione dei pozzi di acquedotto.

2. Al di fuori delle ipotesi previste al comma 1, gli scarichi sul suolo esistenti devono essere convogliati in corpi idrici superficiali, in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo in conformità alle prescrizioni fissate con il decreto di cui all’articolo 99, comma 1. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico si considera a tutti gli effetti revocata.

3. Gli scarichi di cui alla lettera c) del comma 1 devono essere conformi ai limiti della Tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto. Resta comunque fermo il divieto di scarico sul suolo delle sostanze indicate al punto 2.1 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

ART. 104
(scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee)

1. E’ vietato lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo.

2. In deroga a quanto previsto al comma 1, l’autorità competente, dopo indagine preventiva, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di miniere o cave o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di ingegneria civile, ivi comprese quelle degli impianti di scambio termico.

3. In deroga a quanto previsto dal comma 1, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con il Ministro delle attività produttive per i giacimenti a mare ed anche con le regioni per i giacimenti a terra, può altresì autorizzare lo scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti, oppure in unità dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi, indicando le modalità dello scarico. Lo scarico non deve contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle derivanti dalla separazione degli idrocarburi. Le relative autorizzazioni sono rilasciate con la prescrizione delle precauzioni tecniche necessarie a garantire che le acque di scarico non possano raggiungere altri sistemi idrici o nuocere ad altri ecosistemi.

4. In deroga a quanto previsto al comma 1, l’autorità competente, dopo indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell’assenza di sostanze estranee, può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purche’ i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non comporti danneggiamento alla falda acquifera. A tal fine, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) competente per territorio, a spese del soggetto richiedente l’autorizzazione, accerta le caratteristiche quantitative e qualitative dei fanghi e l’assenza di possibili danni per la falda, esprimendosi con parere vincolante sulla richiesta di autorizzazione allo scarico.

5. Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, lo scarico delle acque diretto in mare avviene secondo le modalità previste dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto, purche’ la concentrazione di olii minerali sia inferiore a 40 mg/l. Lo scarico diretto a mare e’ progressivamente sostituito dalla iniezione o reiniezione in unità geologiche profonde, non appena disponibili pozzi non più produttivi ed idonei all’iniezione o reiniezione, e deve avvenire comunque nel rispetto di quanto previsto dai commi 2 e 3.

6. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, in sede di autorizzazione allo scarico in unità geologiche profonde di cui al comma 3, autorizza anche lo scarico diretto a mare, secondo le modalità previste dai commi 5 e 7, per i seguenti casi:

a) per la frazione di acqua eccedente, qualora la capacità del pozzo iniettore o reiniettore non sia sufficiente a garantire la ricezione di tutta l’acqua risultante dall’estrazione di idrocarburi;

b) per il tempo necessario allo svolgimento della manutenzione, ordinaria e straordinaria, volta a garantire la corretta funzionalità e sicurezza del sistema costituito dal pozzo e dall’impianto di iniezione o di reiniezione.

7. Lo scarico diretto in mare delle acque di cui ai commi 5 e 6 e’ autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio volto a verificare l’assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi acquatici.

8. Al di fuori delle ipotesi previste dai commi 2, 3, 5 e 7, gli scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, esistenti e debitamente autorizzati, devono essere convogliati in corpi idrici superficiali ovvero destinati, ove possibile, al riciclo, al riutilizzo o all’utilizzazione agronomica. In caso di mancata ottemperanza agli obblighi indicati, l’autorizzazione allo scarico e’ revocata.

ART. 105
(scarichi in acque superficiali)

1. Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali devono rispettare i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell’articolo 101, commi 1 e 2, in funzione del perseguimento degli obiettivi di qualità.

2. Gli scarichi di acque reflue urbane che confluiscono nelle reti fognarie, provenienti da agglomerati con meno di 2.000 abitanti equivalenti e recapitanti in acque dolci ed in acque di transizione, e gli scarichi provenienti da agglomerati con meno di 10.000 abitanti equivalenti, recapitanti in acque marino-costiere, sono sottoposti ad un trattamento appropriato, in conformità con le indicazioni dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

3. Le acque reflue urbane devono essere sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente in conformità con le indicazioni dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

4. Gli scarichi previsti al comma 3 devono rispettare, altresì, i valori-limite di emissione fissati ai sensi dell’articolo 101, commi 1 e 2.

5. Le regioni dettano specifica disciplina per gli scarichi di reti fognarie provenienti da agglomerati a forte fluttuazione stagionale degli abitanti, tenuto conto di quanto disposto ai commi 2 e 3 e fermo restando il conseguimento degli obiettivi di qualità.

6. Gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in zone d’alta montagna, ossia al di sopra dei 1500 metri sul livello del mare, dove, a causa delle basse temperature, e’ difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quello previsto al comma 3, purche’ appositi studi comprovino che i suddetti scarichi non avranno ripercussioni negative sull’ambiente.

ART. 106
(scarichi di acque reflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili)

1. Ferme restando le disposizioni dell’articolo 101, commi 1 e 2, le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10.000 abitanti equivalenti, che scaricano in acque recipienti individuate quali aree sensibili, devono essere sottoposte ad un trattamento più spinto di quello previsto dall’articolo 105, comma 3, secondo i requisiti specifici indicati nell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane e’ pari almeno al settantacinque per cento per il fosforo totale oppure per almeno il settantacinque per cento per l’azoto totale.

3. Le regioni individuano, tra gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all’interno dei bacini drenanti afferenti alle aree sensibili, quelli che, contribuendo all’inquinamento di tali aree, sono da assoggettare al trattamento di cui ai commi 1 e 2 in funzione del raggiungimento dell’obiettivo di qualità dei corpi idrici ricettori.

ART. 107
(scarichi in reti fognarie)

1. Ferma restando l’inderogabilità dei valori-limite di emissione di cui alla tabella 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto e, limitatamente ai parametri di cui alla nota 2 della Tabella 5 del medesimo Allegato 5, alla Tabella 3, gli scarichi di acque reflue industriali che recapitano in reti fognarie sono sottoposti alle norme tecniche, alle prescrizioni regolamentari e ai valori-limite adottati dall’Autorità d’ambito competente in base alle caratteristiche dell’impianto, e in modo che sia assicurata la tutela del corpo idrico ricettore nonche’ il rispetto della disciplina degli scarichi di acque reflue urbane definita ai sensi dell’articolo 101, commi 1 e 2.

2. Gli scarichi di acque reflue domestiche che recapitano in reti fognarie sono sempre ammessi purche’ osservino i regolamenti emanati dal soggetto gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’Autorità d’ambito competente.

3. Non e’ ammesso lo smaltimento dei rifiuti, anche se triturati, in fognatura, ad eccezione di quelli organici provenienti dagli scarti dell’alimentazione, misti ad acque provenienti da usi civili, trattati mediante l’installazione, preventivamente comunicata all’ente gestore del servizio idrico integrato, di apparecchi dissipatori di rifiuti alimentari che ne riducano la massa in particelle sottili, previa verifica tecnica degli impianti e delle reti da parte del gestore del servizio idrico integrato che e’ responsabile del corretto funzionamento del sistema.

4. Le regioni, sentite le province, possono stabilire norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni.

ART. 108
(scarichi di sostanze pericolose)

1. Le disposizioni relative agli scarichi di sostanze pericolose si applicano agli stabilimenti nei quali si svolgono attività che comportano la produzione, la trasformazione o l’utilizzazione delle sostanze di cui alle Tabelle 3/A e 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, e nei cui scarichi sia accertata la presenza di tali sostanze in quantità o concentrazioni superiori ai limiti di rilevabilità consentiti dalle metodiche di rilevamento in essere alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, o, successivamente, superiori ai limiti di rilevabilità consentiti dagli aggiornamenti a tali metodiche messi a punto ai sensi del punto 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

2. Tenendo conto della tossicità, della persistenza e della bioaccumulazione della sostanza considerata nell’ambiente in cui e’ effettuato lo scarico, l’autorità competente in sede di rilascio dell’autorizzazione può fissare, nei casi in cui risulti accertato che i valori limite definiti ai sensi dell’articolo 101, commi 1 e 2, impediscano o pregiudichino il conseguimento degli obiettivi di qualità previsti nel Piano di tutela di cui all’articolo 121, anche per la compre senza di altri scarichi di sostanze pericolose, valori-limite di emissione più restrittivi di quelli fissati ai sensi dell’articolo 101, commi 1 e 2.

3. Ai fini dell’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 107 e del comma 2 del presente articolo, entro il 30 ottobre 2007 devono essere attuate le prescrizioni concernenti gli scarichi delle imprese assoggettate alle disposizioni del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59. Dette prescrizioni, concernenti valori limite di emissione, parametri e misure tecniche, si basano sulle migliori tecniche disponibili, senza obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell’ambiente.

4. Per le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella, le autorizzazioni stabiliscono altresì la quantità massima della sostanza espressa in unità di peso per unità di elemento caratteristico dell’attività inquinante e cioe’ per materia prima o per unità di prodotto, in conformità con quanto indicato nella stessa Tabella. Gli scarichi contenenti le sostanze pericolose di cui al comma 1 sono assoggettati alle prescrizioni di cui al punto 1.2.3. dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto.

5. Per le acque reflue industriali contenenti le sostanze della Tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, il punto di misurazione dello scarico e’ fissato secondo quanto previsto dall’autorizzazione integrata ambientale di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e, nel caso di attività non rientranti nel campo di applicazione del suddetto decreto, subito dopo l’uscita dallo stabilimento o dall’impianto di trattamento che serve lo stabilimento medesimo. L’autorità competente può richiedere che gli scarichi parziali contenenti le sostanze della tabella 5 del medesimo Allegato 5 siano tenuti separati dallo scarico generale e disciplinati come rifiuti. Qualora l’impianto di trattamento di acque reflue industriali che tratta le sostanze pericolose, di cui alla tabella 5 del medesimo Allegato 5, riceva acque reflue contenenti sostanze pericolose non sensibili al tipo di trattamento adottato, in sede di autorizzazione l’autorità competente ridurrà opportunamente i valori limite di e missione indicati nella tabella 3 del medesimo Allegato 5 per ciascuna delle predette sostanze pericolose indicate in Tabella 5, tenendo conto della diluizione operata dalla miscelazione delle diverse acque reflue.

6. L’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione per le sostanze di cui alla Tabella 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella tabella medesima, redige un elenco delle autorizzazioni rilasciate, degli scarichi esistenti e dei controlli effettuati, ai fini del successivo inoltro alla Commissione europea.

CAPO IV

ULTERIORI MISURE PER LA TUTELA DEI CORPI IDRICI

ART. 109
(immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte)

1. Al fine della tutela dell’ambiente marino e in conformità alle disposizioni delle convenzioni internazionali vigenti in materia, e’ consentita l’immersione deliberata in mare da navi ovvero aeromobili e da strutture ubicate nelle acque del mare o in ambiti ad esso contigui, quali spiagge, lagune e stagni salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti:

a) materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

b) inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale;

c) materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri.

2. L’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), e’ rilasciata dall’autorità competente solo quando e’ dimostrata, nell’ambito della relativa istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero oppure del loro smaltimento alternativo in conformità alle modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e forestali, delle attività produttive previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

3. L’immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), e’ soggetta ad autorizzazione, con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale. Per le opere di ripristino, che non comportino aumento della cubatura delle opere preesistenti, e’ dovuta la sola comunicazione all’autorità competente.

4. L’immersione in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera c), non e’ soggetta ad autorizzazione.

5. La movimentazione dei fondali marini derivante dall’attività di posa in mare di cavi e condotte e’ soggetta ad autorizzazione regionale rilasciata, in conformità alle modalità tecniche stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, delle infrastrutture e dei trasporti e delle politiche agricole e forestali, per quanto di competenza, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto. Nel caso di condotte o cavi facenti parte di reti energetiche di interesse nazionale, o di connessione con reti energetiche di altri stati, l’autorizzazione e’ rilasciata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentite le regioni interessate, nell’ambito del procedimento unico di autorizzazione delle stesse reti.

ART. 110
(trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane)

1. Salvo quanto previsto ai commi 2 e 3, e’ vietato l’utilizzo degli impianti di trattamento di acque reflue urbane per lo smaltimento di rifiuti.

2. In deroga al comma 1, l’autorità competente, d’intesa con l’Autorità d’ambito, in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento, autorizza il gestore del servizio idrico integrato a smaltire nell’impianto di trattamento di acque reflue urbane rifiuti liquidi, limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di depurazione.

3. Il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all’autorità competente ai sensi dell’articolo 124, e’ comunque autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, che rispettino i valori limite di cui all’articolo 101, commi 1 e 2, i seguenti rifiuti e materiali, purche’ provenienti dal proprio Ambito territoriale ottimale oppure da altro Ambito territoriale ottimale sprovvisto di impianti adeguati:

a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;

b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3;

c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonche’ quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente.

4. L’attività di cui ai commi 2 e 3 può essere consentita purche’ non sia compromesso il possibile riutilizzo delle acque reflue e dei fanghi.

5. Nella comunicazione prevista al comma 3 il gestore del servizio idrico integrato deve indicare la capacità residua dell’impianto e le caratteristiche e quantità dei rifiuti che intende trattare. L’autorità competente può indicare quantità diverse o vietare il trattamento di specifiche categorie di rifiuti. L’autorità competente provvede altresì all’iscrizione in appositi elenchi dei gestori di impianti di trattamento che hanno effettuato la comunicazione di cui al comma 3.

6. Allo smaltimento dei rifiuti di cui ai commi 2 e 3 si applica l’apposita tariffa determinata dall’Autorità d’ambito.

7. Il produttore ed il trasportatore dei rifiuti sono tenuti al rispetto della normativa in materia di rifiuti, fatta eccezione per il produttore dei rifiuti di cui al comma 3, lettera b), che e’ tenuto al rispetto dei soli obblighi previsti per i produttori dalla vigente normativa in materia di rifiuti. Il gestore del servizio idrico integrato che, ai sensi dei commi 3 e 5, tratta rifiuti e’ soggetto all’obbligo di tenuta del registro di carico e scarico secondo quanto previsto dalla vigente normativa in materia di rifiuti.

ART. 111
(impianti di acquacoltura e piscicoltura)

1. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle politiche agricole e forestali, delle infrastrutture e dei trasporti e delle attività produttive, e previa intesa con Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati i criteri relativi al contenimento dell’impatto sull’ambiente derivante dalle attività di acquacoltura e di piscicoltura.

ART. 112
(utilizzazione agronomica)

1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 92 per le zone vulnerabili e dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, per gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell’Allegato 1 al predetto decreto, l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, sulla base di quanto previsto dalla legge 11 novembre 1996, n. 574, nonche’ dalle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all’articolo 101, comma 7, lettere a), b) e c), e da piccole aziende agroalimentari, così come individuate in base al decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali di cui al comma 2, e’ soggetta a comunicazione all’autorità competente ai sensi all’articolo 75 del presente decreto.

2. Le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1 sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio, delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del predetto decreto ministeriale, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati ed in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del presente decreto.

3. Nell’ambito della normativa di cui al comma 2, sono disciplinati in particolare:

a) le modalità di attuazione degli articoli 3, 5, 6 e 9 della legge 11 novembre 1996, n. 574;

b) i tempi e le modalità di effettuazione della comunicazione, prevedendo procedure semplificate nonche’ specifici casi di esonero dall’obbligo di comunicazione per le attività di minor impatto ambientale;

c) le norme tecniche di effettuazione delle operazioni di utilizzo agronomico;

d) i criteri e le procedure di controllo, ivi comprese quelle inerenti l’imposizione di prescrizioni da parte dell’autorità competente, il divieto di esercizio ovvero la sospensione a tempo determinato dell’attività di cui al comma 1 nel caso di mancata comunicazione o mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni impartite;

e) le sanzioni amministrative pecuniarie fermo restando quanto disposto dall’articolo 137, comma 15.

ART. 113
(acque meteoriche di dilavamento e acque di prima pioggia)

1. Ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, disciplinano e attuano:

a) le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate;

b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione.

2. Le acque meteoriche non disciplinate ai sensi del comma 1 non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto.

3. Le regioni disciplinano altresì i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione per particolari condizioni nelle quali, in relazione alle attività svolte, vi sia il rischio di dilavamento da superfici impermeabili scoperte di sostanze pericolose o di sostanze che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici.

4. E’ comunque vietato lo scarico o l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee.

ART. 114
(dighe)

1. Le regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione, nonche’ delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al titolo II della parte terza del presente decreto.

2. Al fine di assicurare il mantenimento della capacità di invaso e la salvaguardia sia della qualità dell’acqua invasata sia del corpo ricettore, le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento delle dighe sono effettuate sulla base di un progetto di gestione di ciascun invaso. Il progetto di gestione e’ finalizzato a definire sia il quadro previsionale di dette operazioni connesse con le attività di manutenzione da eseguire sull’impianto, sia le misure di prevenzione e tutela del corpo ricettore, dell’ecosistema acquatico, delle attività di pesca e delle risorse idriche invasate e rilasciate a valle dell’invaso durante le operazioni stesse.

3. Il progetto di gestione individua altresì eventuali modalità di manovra degli organi di scarico, anche al fine di assicurare la tutela del corpo ricettore. Restano valide in ogni caso le disposizioni fissate dal decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, volte a garantire la sicurezza di persone e cose.

4. Il progetto di gestione e’ predisposto dal gestore sulla base dei criteri fissati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive e con quello delle politiche agricole e forestali, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

5. Il progetto di gestione e’ approvato dalle regioni, con eventuali prescrizioni, entro sei mesi dalla sua presentazione, previo parere dell’amministrazione competente alla vigilanza sulla sicurezza dell’invaso e dello sbarramento, ai sensi degli articoli 89 e 91 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e sentiti, ove necessario, gli enti gestori delle aree protette direttamente interessate; per le dighe di cui al citato articolo 91 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, il progetto approvato e’ trasmesso al Registro italiano dighe (RID) per l’inserimento, anche in forma sintetica, come parte integrante del foglio condizioni per l’esercizio e la manutenzione di cui all’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, e relative disposizioni di attuazione. Il progetto di gestione si intende approvato e diviene operativo trascorsi sei mesi dalla data di presentazione senza che sia intervenuta alcuna pronuncia da parte della regione competente, fermo restando il pote re di tali Enti di dettare eventuali prescrizioni, anche trascorso tale termine.

6. Con l’approvazione del progetto il gestore e’ autorizzato ad eseguire le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento in conformità ai limiti indicati nel progetto stesso e alle relative prescrizioni.

7. Nella definizione dei canoni di concessione di inerti le amministrazioni determinano specifiche modalità ed importi per favorire lo sghiaiamento e sfangamento degli invasi per asporto meccanico.

8. I gestori degli invasi esistenti, che ancora non abbiano ottemperato agli obblighi previsti dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 30 giugno 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 16 novembre 2004, sono tenuti a presentare il progetto di cui al comma 2 entro sei mesi dall’emanazione del decreto di cui al comma 4. Fino all’approvazione o alla operatività del progetto di gestione, e comunque non oltre dodici mesi dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, le operazioni periodiche di manovre prescritte ai sensi dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1959, n. 1363, volte a controllare la funzionalità degli organi di scarico, sono svolte in conformità ai fogli di condizione per l’esercizio e la manutenzione.

9. Le operazioni di svaso, sghiaiamento e sfangamento degli invasi non devono pregiudicare gli usi in atto a valle dell’invaso, ne’ il rispetto degli obiettivi di qualità ambientale e degli obiettivi di qualità per specifica destinazione.

ART. 115
(tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici)

1. Al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino della vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, con funzioni di filtro per i solidi sospesi e gli inquinanti di origine diffusa, di stabilizzazione delle sponde e di conservazione della biodiversità da contemperarsi con le esigenze di funzionalità dell’alveo, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto le regioni disciplinano gli interventi di trasformazione e di gestione del suolo e del soprassuolo previsti nella fascia di almeno 10 metri dalla sponda di fiumi, laghi, stagni e lagune, comunque vietando la copertura dei corsi d’acqua che non sia imposta da ragioni di tutela della pubblica incolumità e la realizzazione di impianti di smaltimento dei rifiuti.

2. Gli interventi di cui al comma 1 sono comunque soggetti all’autorizzazione prevista dal regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, salvo quanto previsto per gli interventi a salvaguardia della pubblica incolumità.

3. Per garantire le finalità di cui al comma 1, le aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque possono essere date in concessione allo scopo di destinarle a riserve naturali, a parchi fluviali o lacuali o comunque a interventi di ripristino e recupero ambientale. Qualora le aree demaniali siano già comprese in aree naturali protette statali o regionali inserite nell’elenco ufficiale previsto dalla vigente normativa, la concessione e’ gratuita.

4. Le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della legge 5 gennaio 1994, n. 37, non possono essere oggetto di sdemanializzazione.

ART. 116
(programmi di misure)

1. Le regioni, nell’ambito delle risorse disponibili, integrano i Piani di tutela di cui all’articolo 121 con i programmi di misure costituiti dalle misure di base di cui all’Allegato 11 alla parte terza del presente decreto e, ove necessarie, dalle misure supplementari di cui al medesimo Allegato; tali programmi di misure sono sottoposti per l’approvazione all’Autorità di bacino. Qualora le misure non risultino sufficienti a garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti, l’Autorità di bacino ne individua le cause e indica alle regioni le modalità per il riesame dei programmi, invitandole ad apportare le necessarie modifiche, fermo restando il limite costituito dalle risorse disponibili. Le misure di base e supplementari devono essere comunque tali da evitare qualsiasi aumento di inquinamento delle acque marine e di quelle superficiali. I programmi sono approvati entro il 2009 ed attuati dalle regioni entro il 2012; il successivo riesame deve avvenire entro il 2015 e dev’essere aggiornato ogni sei anni .

TITOLO IV

STRUMENTI DI TUTELA

CAPO I

PIANI DI GESTIONE E PIANI DI TUTELA DELLE ACQUE

ART. 117
(piani di gestione e registro delle aree protette)

1. Per ciascun distretto idrografico e’ adottato un Piano di gestione, che rappresenta articolazione interna del Piano di bacino distrettuale di cui all’articolo 65. Il Piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del Piano di bacino e viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per quest’ultimo dall’articolo 66. Le Autorità di bacino, ai fini della predisposizione dei Piani di gestione, devono garantire la partecipazione di tutti i soggetti istituzionali competenti nello specifico settore.

2. Il Piano di gestione e’ composto dagli elementi indicati nella parte A dell’Allegato 4 alla parte terza del presente decreto.

3. L’Autorità di bacino, sentite le Autorità d’ambito del servizio idrico integrato, istituisce entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente norma, sulla base delle informazioni trasmesse dalle regioni, un registro delle aree protette di cui all’Allegato 9 alla parte terza del presente decreto, designate dalle autorità competenti ai sensi della normativa vigente.

ART. 118
(rilevamento delle caratteristiche del bacino idrografico ed analisi dell’impatto esercitato dall’attività antropica)

1. Al fine di aggiornare le informazioni necessarie alla redazione del Piano di tutela di cui all’articolo 121, le regioni attuano appositi programmi di rilevamento dei dati utili a descrivere le caratteristiche del bacino idrografico e a valutare l’impatto antropico esercitato sul medesimo, nonche’ alla raccolta dei dati necessari all’analisi economica dell’utilizzo delle acque, secondo quanto previsto dall’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto. Le risultanze delle attività di cui sopra sono trasmesse al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all’Allegato 3 alla parte terza del presente decreto e di cui alle disposizioni adottate con apposito decreto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e sono aggiornati ogni sei anni.

3. Nell’espletamento dell’attività conoscitiva di cui al comma 1, le regioni sono tenute ad utilizzare i dati e le informazioni già acquisite.

ART. 119
(principio del recupero dei costi relativi ai servizi idrici)

1. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui al Capo I del titolo II della parte terza del presente decreto, le Autorità competenti tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e relativi alla risorsa, prendendo in considerazione l’analisi economica effettuata in base all’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e, in particolare, secondo il principio “chi inquina paga”.

2. Entro il 2010 le Autorità competenti provvedono ad attuare politiche dei prezzi dell’acqua idonee ad incentivare adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente ed a contribuire al raggiungimento ed al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientali di cui alla direttiva 2000/60/CE nonche’ di cui agli articoli 76 e seguenti del presente decreto, anche mediante un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell’acqua, suddivisi almeno in industria, famiglie e agricoltura. Al riguardo dovranno comunque essere tenute in conto le ripercussioni sociali, ambientali ed economiche del recupero dei suddetti costi, nonche’ delle condizioni geografiche e climatiche della regione o delle regioni in questione. In particolare:

a) i canoni di concessione per le derivazioni delle acque pubbliche tengono conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa connessi all’utilizzo dell’acqua;

b) le tariffe dei servizi idrici a carico dei vari settori di impiego dell’acqua, quali quelli civile, industriale e agricolo, contribuiscono adeguatamente al recupero dei costi sulla base dell’analisi economica effettuata secondo l’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto.

3. Nei Piani di tutela di cui all’articolo 121 sono riportate le fasi previste per l’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 necessarie al raggiungimento degli obiettivi di qualità di cui alla parte terza del presente decreto.

ART. 120
(rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici)

1. Le regioni elaborano ed attuano programmi per la conoscenza e la verifica dello stato qualitativo e quantitativo delle acque superficiali e sotterranee all’interno di ciascun bacino idrografico.

2. I programmi di cui al comma 1 sono adottati in conformità alle indicazioni di cui all’Allegato 1 alla parte terza del presente decreto. Tali programmi devono essere integrati con quelli già esistenti per gli obiettivi a specifica destinazione stabiliti in conformità all’Allegato 2 alla parte terza del presente decreto, nonche’ con quelli delle acque inserite nel registro delle aree protette. Le risultanze delle attività di cui al comma 1 sono trasmesse al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT).

3. Al fine di evitare sovrapposizioni e di garantire il flusso delle informazioni raccolte e la loro compatibilità con il Sistema informativo nazionale dell’ambiente (SINA), le regioni possono promuovere, nell’esercizio delle rispettive competenze, accordi di programma con l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente di cui al decreto-legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, le province, le Autorità d’ambito, i consorzi di bonifica e di irrigazione e gli altri enti pubblici interessati. Nei programmi devono essere definite altresì le modalità di standardizzazione dei dati e di interscambio delle informazioni.

ART. 121
(piani di tutela delle acque)

1. Il Piano di tutela delle acque costituisce uno specifico piano di settore ed e’ articolato secondo i contenuti elencati nel presente articolo, nonche’ secondo le specifiche indicate nella parte B dell’Allegato 4 alla parte terza del presente decreto.

2. Entro il 31 dicembre 2006 le Autorità di bacino, nel contesto delle attività di pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento, sentite le province e le Autorità d’ambito, definiscono gli obiettivi su scala di distretto cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonche’ le priorità degli interventi. Entro il 31 dicembre 2007, le regioni, sentite le province e previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle acque e lo trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio nonche’ alle competenti Autorità di bacino, per le verifiche di competenza.

3. Il Piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui alla parte terza del presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico.

4. Per le finalità di cui al comma 1 il Piano di tutela contiene in particolare:

a) i risultati dell’attività conoscitiva;

b) l’individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione;

c) l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento;

d) le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico;

e) l’indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità;

f) il programma di verifica dell’efficacia degli interventi previsti;

g) gli interventi di bonifica dei corpi idrici;

h) l’analisi economica di cui all’Allegato 10 alla parte terza del presente decreto e le misure previste al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui all’articolo 119 concernenti il recupero dei costi dei servizi idrici;

i) le risorse finanziarie previste a legislazione vigente.

5. Entro centoventi giorni dalla trasmissione del Piano di tutela le Autorità di bacino verificano la conformità del piano agli atti di pianificazione o agli atti di indirizzo e coordinamento di cui al comma 2, esprimendo parere vincolante. Il Piano di tutela e’ approvato dalle regioni entro i successivi sei mesi e comunque non oltre il 31 dicembre 2008. Le successive revisioni e gli aggiornamenti devono essere effettuati ogni sei anni.

ART. 122
(informazione e consultazione pubblica)

1. Le regioni promuovono la partecipazione attiva di tutte le parti interessate all’attuazione della parte terza del presente decreto, in particolare all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei Piani di tutela. Su richiesta motivata, le regioni autorizzano l’accesso ai documenti di riferimento e alle informazioni in base ai quali e’ stato elaborato il progetto del Piano di tutela. Le regioni provvedono affinche’, per il territorio di competenza ricadente nel distretto idrografico di appartenenza, siano pubblicati e resi disponibili per eventuali osservazioni da parte del pubblico:

a) il calendario e il programma di lavoro per la presentazione del Piano, inclusa una dichiarazione delle misure consultive che devono essere prese almeno tre anni prima dell’inizio del periodo cui il Piano si riferisce;

b) una valutazione globale provvisoria dei problemi prioritari per la gestione delle acque nell’ambito del bacino idrografico di appartenenza, almeno due anni prima dell’inizio del periodo cui il Piano si riferisce;

c) copia del progetto del Piano di tutela, almeno un anno prima dell’inizio del periodo cui il piano si riferisce.

2. Per garantire l’attiva partecipazione e la consultazione, le regioni concedono un periodo minimo di sei mesi per la presentazione di osservazioni scritte sui documenti di cui al comma 1.

3. I commi 1 e 2 si applicano anche agli aggiornamenti dei Piani di tutela.

Art. 123
(trasmissione delle informazioni e delle relazioni)

1. Contestualmente alla pubblicazione dei Piani di tutela le regioni trasmettono copia di detti piani e di tutti gli aggiornamenti successivi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio al fine del successivo inoltro alla Commissione europea.

2. Le regioni trasmettono al medesimo Ministero per il successivo inoltro alla Commissione europea, anche sulla base delle informazioni dettate, in materia di modalità di trasmissione delle informazioni sullo stato di qualità dei corpi idrici e sulla classificazione delle acque, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito decreto, relazioni sintetiche concernenti:

a) l’attività conoscitiva di cui all’articolo 118 entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto. I successivi aggiornamenti sono trasmessi ogni sei anni a partire dal febbraio 2010;

b) i programmi di monitoraggio secondo quanto previsto all’articolo 120 entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto e successivamente con cadenza annuale.

3. Entro tre anni dalla pubblicazione di ciascun Piano di tutela o dall’aggiornamento di cui all’articolo 121, le regioni trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio una relazione sui progressi realizzati nell’attuazione delle misure di base o supplementari di cui all’articolo 116.

CAPO II

AUTORIZZAZIONE AGLI SCARICHI

ART. 124
(criteri generali)

1. Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati.

2. L’autorizzazione e’ rilasciata al titolare dell’attività da cui origina lo scarico. Ove uno o più stabilimenti conferiscano ad un terzo soggetto, titolare dello scarico finale, le acque reflue provenienti dalle loro attività, oppure qualora tra più stabilimenti sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attività dei consorziati, l’autorizzazione e’ rilasciata in capo al titolare dello scarico finale o al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilità dei singoli titolari delle attività suddette e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni della parte terza del presente decreto. Ove uno o più stabilimenti effettuino scarichi in comune senza essersi costituiti in consorzio, l’autorizzazione allo scarico e’ rilasciata al titolare dello scarico finale, fermo restando che il rilascio del provvedimento di autorizzazione o il relativo rinnovo sono subordinati all’approvazione di idoneo progetto comp rovante la possibilità tecnica di parzializzazione dei singoli scarichi.

3. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, e’ definito dalle regioni nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 101, commi 1 e 2.

4. In deroga al comma 1, gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed approvati dall’Autorità d’ambito.

5. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue termali e’ definito dalle regioni; tali scarichi sono ammessi in reti fognarie nell’osservanza dei regolamenti emanati dal gestore del servizio idrico integrato ed in conformità all’autorizzazione rilasciata dall’Autorità di ambito.

6. Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio.

7. Salvo diversa disciplina regionale, la domanda di autorizzazione e’ presentata alla provincia ovvero all’Autorità d’ambito se lo scarico e’ in pubblica fognatura. L’autorità competente provvede entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda. Qualora detta autorità risulti inadempiente nei termini sopra indicati, l’autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi sessanta giorni, salvo revoca.

8. Salvo quanto previsto dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, l’autorizzazione e’ valida per quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve essere chiesto il rinnovo. Lo scarico può essere provvisoriamente mantenuto in funzione nel rispetto delle prescrizioni contenute nella precedente autorizzazione, fino all’adozione di un nuovo provvedimento, se la domanda di rinnovo e’ stata tempestivamente presentata. Per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all’articolo 108, il rinnovo deve essere concesso in modo espresso entro e non oltre sei mesi dalla data di scadenza; trascorso inutilmente tale termine, lo scarico dovrà cessare immediatamente. La disciplina regionale di cui al comma 3 può prevedere per specifiche tipologie di scarichi di acque reflue domestiche, ove soggetti ad autorizzazione, forme di rinnovo tacito della medesima.

9. Per gli scarichi in un corso d’acqua nel quale sia accertata una portata naturale nulla per oltre centoventi giorni annui, oppure in un corpo idrico non significativo, l’autorizzazione tiene conto del periodo di portata nulla e della capacità di diluizione del corpo idrico negli altri periodi, e stabilisce prescrizioni e limiti al fine di garantire le capacità autodepurative del corpo ricettore e la difesa delle acque sotterranee.

10. In relazione alle caratteristiche tecniche dello scarico, alla sua localizzazione e alle condizioni locali dell’ambiente interessato, l’autorizzazione contiene le ulteriori prescrizioni tecniche volte a garantire che lo scarico, ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, avvenga in conformità alle disposizioni della parte terza del presente decreto e senza che consegua alcun pregiudizio per il corpo ricettore, per la salute pubblica e l’ambiente.

11. Le spese occorrenti per l’effettuazione di rilievi, accertamenti, controlli e sopralluoghi necessari per l’istruttoria delle domande di autorizzazione allo scarico previste dalla parte terza del presente decreto sono a carico del richiedente. L’autorità competente determina, preliminarmente all’istruttoria e in via provvisoria, la somma che il richiedente e’ tenuto a versare, a titolo di deposito, quale condizione di procedibilità della domanda. La medesima Autorità, completata l’istruttoria, provvede alla liquidazione definitiva delle spese sostenute sulla base di un tariffario dalla stessa approntato.

12. Per insediamenti, edifici o stabilimenti la cui attività sia trasferita in altro luogo, ovvero per quelli soggetti a diversa destinazione d’uso, ad ampliamento o a ristrutturazione da cui derivi uno scarico avente caratteristiche qualitativamente e/o quantitativamente diverse da quelle dello scarico preesistente, deve essere richiesta una nuova autorizzazione allo scarico, ove quest’ultimo ne risulti soggetto. Nelle ipotesi in cui lo scarico non abbia caratteristiche qualitative o quantitative diverse, deve essere data comunicazione all’autorità competente, la quale, verificata la compatibilità dello scarico con il corpo recettore, adotta i provvedimenti che si rendano eventualmente necessari.

ART. 125
(domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali)

1. La domanda di autorizzazione agli scarichi di acque reflue industriali deve essere corredata dall’indicazione delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico e del volume annuo di acqua da scaricare, dalla tipologia del ricettore, dalla individuazione del punto previsto per effettuare i prelievi di controllo, dalla descrizione del sistema complessivo dello scarico ivi comprese le operazioni ad esso funzionalmente connesse, dall’eventuale sistema di misurazione del flusso degli scarichi, ove richiesto, e dalla indicazione delle apparecchiature impiegate nel processo produttivo e nei sistemi di scarico nonche’ dei sistemi di depurazione utilizzati per conseguire il rispetto dei valori limite di emissione.

2. Nel caso di scarichi di sostanze di cui alla tabella 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, derivanti dai cicli produttivi indicati nella medesima tabella 3/A, la domanda di cui al comma 1 deve altresì indicare:

a) la capacità di produzione del singolo stabilimento industriale che comporta la produzione o la trasformazione o l’utilizzazione delle sostanze di cui alla medesima tabella, oppure la presenza di tali sostanze nello scarico. La capacità di produzione dev’essere indicata con riferimento alla massima capacità oraria moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi;

b) il fabbisogno orario di acque per ogni specifico processo produttivo.

ART. 126
(approvazione dei progetti degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane)

1. Le regioni disciplinano le modalità di approvazione dei progetti degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane. Tale disciplina deve tenere conto dei criteri di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto e della corrispondenza tra la capacità di trattamento dell’impianto e le esigenze delle aree asservite, nonche’ delle modalità della gestione che deve assicurare il rispetto dei valori limite degli scarichi. Le regioni disciplinano altresì le modalità di autorizzazione provvisoria necessaria all’avvio dell’impianto anche in caso di realizzazione per lotti funzionali.

ART. 127
(fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue)

1. Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato.

2. E’ vietato lo smaltimento dei fanghi nelle acque superficiali dolci e salmastre.

CAPO III

CONTROLLO DEGLI SCARICHI

ART. 128
(soggetti tenuti al controllo)

1. L’autorità competente effettua il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli.

2. Fermo restando quanto stabilito al comma 1, per gli scarichi in pubblica fognatura il gestore del servizio idrico integrato organizza un adeguato servizio di controllo secondo le modalità previste nella convenzione di gestione.

ART. 129
(accessi ed ispezioni)

1. L’autorità competente al controllo e’ autorizzata a effettuare le ispezioni, i controlli e i prelievi necessari all’accertamento del rispetto dei valori limite di emissione, delle prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e delle condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Il titolare dello scarico e’ tenuto a fornire le informazioni richieste e a consentire l’accesso ai luoghi dai quali origina lo scarico.

ART. 130
(inosservanza delle prescrizioni della autorizzazione allo scarico)

1. Ferma restando l’applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo V della parte terza del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione allo scarico l’autorità competente procede, secondo la gravità dell’infrazione:

a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze;

b) alla diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente;

c) alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente.

ART. 131
(controllo degli scarichi di sostanze pericolose)

1. Per gli scarichi contenenti le sostanze di cui alla Tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione può prescrivere, a carico del titolare dello scarico, l’installazione di strumenti di controllo in automatico, nonche’ le modalità di gestione degli stessi e di conservazione dei relativi risultati, che devono rimanere a disposizione dell’autorità competente al controllo per un periodo non inferiore a tre anni dalla data di effettuazione dei singoli controlli.

ART. 132
(interventi sostitutivi)

1. Nel caso di mancata effettuazione dei controlli previsti dalla parte terza del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio diffida la regione a provvedere entro il termine massimo di centottanta giorni ovvero entro il minor termine imposto dalle esigenze di tutela ambientale. In caso di persistente inadempienza provvede, in via sostitutiva, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, previa delibera del Consiglio dei Ministri, con oneri a carico dell’Ente inadempiente.

2. Nell’esercizio dei poteri sostitutivi di cui al comma 1, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nomina un commissario “ad acta” che pone in essere gli atti necessari agli adempimenti previsti dalla normativa vigente a carico delle regioni al fine dell’organizzazione del sistema dei controlli.

TITOLO V

SANZIONI

CAPO I

SANZIONI AMMINISTRATIVE

ART. 133
(sanzioni amministrative)

1. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 101, comma 2, o quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, o dell’articolo 108, comma 1, e’ punito con la sanzione amministrativa da tremila euro a trentamila euro. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a ventimila euro.

2. Chiunque apra o comunque effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno da impianti pubblici di depurazione, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 124, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, e’ punito con la sanzione amministrativa da seimila euro a sessantamila euro. Nell’ipotesi di scarichi relativi ad edifici isolati adibiti ad uso abitativo la sanzione e’ da seicento euro a tremila euro.

3. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1, effettui o mantenga uno scarico senza osservare le prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione o fissate ai sensi dell’articolo 107, comma 1, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro.

4. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, effettui l’immersione in mare dei materiali indicati all’articolo 109, comma 1, lettere a) e b), ovvero svolga l’attività di posa in mare cui al comma 5 dello stesso articolo, senza autorizzazione, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro.

5. Salvo che il fatto costituisca reato, fino all’emanazione della disciplina regionale di cui all’articolo 112, comma 2, chiunque non osservi le disposizioni di cui all’articolo 170, comma 7, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da seicento euro a seimila euro.

6. Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, non osservi il divieto di smaltimento dei fanghi previsto dall’articolo 127, comma 2, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da seimila euro a sessantamila euro.

7. Salvo che il fatto costituisca reato, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da tremila euro a trentamila euro chiunque:

a) nell’effettuazione delle operazioni di svaso, sghiaiamento o sfangamento delle dighe, superi i limiti o non osservi le altre prescrizioni contenute nello specifico progetto di gestione dell’impianto di cui all’articolo 114, comma 2;

b) effettui le medesime operazioni prima dell’approvazione del progetto di gestione.

8. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l’installazione e la manutenzione dei dispositivi per la misurazione delle portate e dei volumi, oppure l’obbligo di trasmissione dei risultati delle misurazioni di cui all’articolo 95, comma 3, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a seimila euro. Nei casi di particolare tenuità la sanzione e’ ridotta ad un quinto.

9. Chiunque non ottemperi alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 1, lettera b), e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro.

ART. 134
(sanzioni in materia di aree di salvaguardia)

1. L’inosservanza delle disposizioni relative alle attività e destinazioni vietate nelle aree di salvaguardia di cui all’articolo 94 e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da seicento euro a seimila euro.

ART. 135
(competenza e giurisdizione)

1. In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi degli articoli 18 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio e’ stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 133, comma 8, per le quali e’ competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità.

2. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall’inquinamento provvede il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.); può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato. Il Corpo delle capitanerie di porto, Guardia costiera, provvede alla sorveglianza e all’accertamento delle violazioni di cui alla parte terza del presente decreto quando dalle stesse possano derivare danni o situazioni di pericolo per l’ambiente marino e costiero.

3. Per i procedimenti penali pendenti alla entrata di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, l’autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative.

4. Alle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla parte terza del presente decreto non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

ART. 136
(proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie)

1. Le somme derivanti dai proventi delle sanzioni amministrative previste dalla parte terza del presente decreto sono versate all’entrata del bilancio regionale per essere riassegnate alle unità previsionali di base destinate alle opere di risanamento e di riduzione dell’inquinamento dei corpi idrici. Le regioni provvedono alla ripartizione delle somme riscosse fra gli interventi di prevenzione e di risanamento.

CAPO II

SANZIONI PENALI

ART. 137
(sanzioni penali)

1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, e’ punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro.

2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena e’ dell’arresto da tre mesi a tre anni.

3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, e’ punito con l’arresto fino a due anni.

4. Chiunque violi le prescrizioni concernenti l’installazione e la gestione dei controlli in automatico o l’obbligo di conservazione dei risultati degli stessi di cui all’articolo 131 e’ punito con la pena di cui al comma 3.

5. Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, e’ punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro.

6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano altresì al gestore di impianti di trattamento delle acque reflue urbane che nell’effettuazione dello scarico supera i valori-limite previsti dallo stesso comma.

7. Al gestore del servizio idrico integrato che non ottempera all’obbligo di comunicazione di cui all’articolo 110, comma 3, o non osserva le prescrizioni o i divieti di cui all’articolo 110, comma 5, si applica la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

8. Il titolare di uno scarico che non consente l’accesso agli insediamenti da parte del soggetto incaricato del controllo ai fini di cui all’articolo 101, commi 3 e 4, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, e’ punito con la pena dell’arresto fino a due anni. Restano fermi i poteri-doveri di interventi dei soggetti incaricati del controllo anche ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 689 del 1981 e degli articoli 55 e 354 del codice di procedura penale.

9. Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 3, e’ punito con le sanzioni di cui all’articolo 137, comma 1.

10. Chiunque non ottempera al provvedimento adottato dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 84, comma 4, ovvero dell’articolo 85, comma 2, e’ punito con l’ammenda da millecinquecento euro a quindicimila euro.

11. Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 e 104 e’ punito con l’arresto sino a tre anni.

12. Chiunque non osservi le prescrizioni regionali assunte a norma dell’articolo 88, commi 1 e 2, dirette ad assicurare il raggiungimento o il ripristino degli obiettivi di qualità delle acque designate ai sensi dell’articolo 87, oppure non ottemperi ai provvedimenti adottati dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 87, comma 3, e’ punito con l’arresto sino a due anni o con l’ammenda da quattromila euro a quarantamila euro.

13. Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali e’ imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purche’ in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente.

14. Chiunque effettui l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonche’ di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all’articolo 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, oppure non ottemperi al divieto o all’ordine di sospensione dell’attività impartito a norma di detto articolo, e’ punito con l’ammenda da euro millecinquecento a euro diecimila o con l’arresto fino ad un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettui l’utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente.

ART. 138
(ulteriori provvedimenti sanzionatori per l’attività di molluschicoltura)

1. Nei casi previsti dal comma 12 dell’articolo 137, il Ministro della salute, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, nonche’ la regione e la provincia autonoma competente, ai quali e’ inviata copia delle notizie di reato, possono disporre, per quanto di competenza e indipendentemente dall’esito del giudizio penale, la sospensione in via cautelare dell’attività di molluschicoltura; a seguito di sentenza di condanna o di decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale divenute definitive, possono inoltre disporre, valutata la gravità dei fatti, la chiusura degli impianti.

ART. 139
(obblighi del condannato)

1. Con la sentenza di condanna per i reati previsti nella parte terza del presente decreto, o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato al risarcimento del danno e all’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino.

ART. 140
(circostanza attenuante)

1. Nei confronti di chi, prima del giudizio penale o dell’ordinanza-ingiunzione, ha riparato interamente il danno, le sanzioni penali e amministrative previste nel presente titolo sono diminuite dalla metà a due terzi.

SEZIONE III

GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE

TITOLO I

PRINCIPI GENERALI E COMPETENZE

ART. 141
(ambito di applicazione)

1. Oggetto delle disposizioni contenute nella presente sezione e’ la disciplina della gestione delle risorse idriche e del servizio idrico integrato per i profili che concernono la tutela dell’ambiente e della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni del servizio idrico integrato e delle relative funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

2. Il servizio idrico integrato e’ costituito dall’insieme dei servizi pubblici +di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie. Le presenti disposizioni si applicano anche agli usi industriali delle acque gestite nell’ambito del servizio idrico integrato.

ART. 142
(competenze)

1. Nel quadro delle competenze definite dalle norme costituzionali, e fatte salve le competenze dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato nelle materie disciplinate dalla presente sezione.

2. Le regioni esercitano le funzioni e i compiti ad esse spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali di cui al comma 1, ed in particolare provvedono a disciplinare il governo del rispettivo territorio.

3. Gli enti locali, attraverso l’Autorità d’ambito di cui all’articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto.

ART. 143
(proprietà delle infrastrutture)

1. Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.

2. Spetta anche all’Autorità d’ambito la tutela dei beni di cui al comma 1, ai sensi dell’articolo 823, secondo comma, del codice civile.

ART. 144
(tutela e uso delle risorse idriche)

1. Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorche’ non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.

2. Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso e’ effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.

3. La disciplina degli usi delle acque e’ finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. br;

4. Gli usi diversi dal consumo umano sono consentiti nei limiti nei quali le risorse idriche siano sufficienti e a condizione che non ne pregiudichino la qualità.

5. Le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato.

ART. 145
(equilibrio del bilancio idrico)

1. L’Autorità di bacino competente definisce ed aggiorna periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l’equilibrio fra le disponibilità di risorse reperibili o attivabili nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi, nel rispetto dei criteri e degli obiettivi di cui all’articolo 144.

2. Per assicurare l’equilibrio tra risorse e fabbisogni, l’Autorità di bacino competente adotta, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione dell’economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.

3. Nei bacini idrografici caratterizzati da consistenti prelievi o da trasferimenti, sia a valle che oltre la linea di displuvio, le derivazioni sono regolate in modo da garantire il livello di deflusso necessario alla vita negli alvei sottesi e tale da non danneggiare gli equilibri degli ecosistemi interessati.

ART. 146
(risparmio idrico)

1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, le regioni, sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, nel rispetto dei principi della legislazione statale, adottano norme e misure volte a razionalizzare i consumi e eliminare gli sprechi ed in particolare a:

a) migliorare la manutenzione delle reti di adduzione e di distribuzione di acque a qualsiasi uso destinate al fine di ridurre le perdite;

b) prevedere, nella costruzione o sostituzione di nuovi impianti di trasporto e distribuzione dell’acqua sia interni che esterni, l’obbligo di utilizzo di sistemi anticorrosivi di protezione delle condotte di materiale metallico;

c) realizzare, in particolare nei nuovi insediamenti abitativi, commerciali e produttivi di rilevanti dimensioni, reti duali di adduzione al fine dell’utilizzo di acque meno pregiate per usi compatibili;

d) promuovere l’informazione e la diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo;

e) adottare sistemi di irrigazione ad alta efficienza accompagnati da una loro corretta gestione e dalla sostituzione, ove opportuno, delle reti di canali a pelo libero con reti in pressione;

f) installare contatori per il consumo dell’acqua in ogni singola unità abitativa nonche’ contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;

g) realizzare nei nuovi insediamenti, quando economicamente e tecnicamente conveniente anche in relazione ai recapiti finali, sistemi di collegamento differenziati per le acque piovane e per le acque reflue e di prima pioggia;

h) individuare aree di ricarica delle falde ed adottare misure di protezione e gestione atte a garantire un processo di ricarica quantitativamente e qualitativamente idoneo.

2. Gli strumenti urbanistici, compatibilmente con l’assetto urbanistico e territoriale e con le risorse finanziarie disponibili, devono prevedere reti duali al fine di rendere possibili appropriate utilizzazioni di acque anche non potabili. Il rilascio del permesso di costruire e’ subordinato alla previsione, nel progetto, dell’installazione di contatori per ogni singola unità abitativa, nonche’ del collegamento a reti duali, ove già disponibili.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e il Dipartimento tutela delle acque interne e marine dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature. Entro il mese di febbraio di ciascun anno, i soggetti gestori dei servizi idrici trasmettono all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed all’Autorità d’ambito competente i risultati delle rilevazioni eseguite con i predetti metodi. br;

TITOLO II

SERVIZIO IDRICO INTEGRATO

ART. 147
(organizzazione territoriale del servizio idrico integrato)

1. I servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

2. Le regioni possono modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto, in particolare, dei seguenti principi:

a) unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonche’ della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudine, in favore dei centri abitati interessati;

b) unicità della gestione e, comunque, superamento della frammentazione verticale delle gestioni;

c) adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici.

3. Le regioni, sentite le province, stabiliscono norme integrative per il controllo degli scarichi degli insediamenti civili e produttivi allacciati alle pubbliche fognature, per la funzionalità degli impianti di pretrattamento e per il rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni.

ART. 148
(autorità d’ambito territoriale ottimale)

1. L’Autorità d’ambito e’ una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e’ trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1.

2. Le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d’ambito di cui al comma 1, cui e’ demandata l’organizzazione, l’affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato.

3. I bilanci preventivi e consuntivi dell’Autorità d’ambito e loro variazioni sono pubblicati mediante affissione ad apposito albo, istituito presso la sede dell’ente, e sono trasmessi all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio entro quindici giorni dall’adozione delle relative delibere.

4. I costi di funzionamento della struttura operativa dell’Autorità d’ambito, determinati annualmente, fanno carico agli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, in base alle quote di partecipazione di ciascuno di essi all’Autorità d’ambito.

5. Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’Autorità d’ambito di tutti gli enti locali ai sensi del comma 1, l’adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato e’ facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che la gestione del servizio idrico sia operata direttamente dall’amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune. Sulle gestioni di cui al presente comma l’Autorità d’ambito esercita funzioni di regolazione generale e di controllo. Con apposito contratto di servizio stipulato con l’Autorità d’ambito, previo accordo di programma, sono definiti criteri e modalità per l’eventuale partecipazione ad iniziative promosse dall’Autorità d’ambito medesima.

ART. 149
(piano d’ambito)

1. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, l’Autorità d’ambito provvede alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d’ambito. Il piano d’ambito e’ costituito dai seguenti atti:

a) ricognizione delle infrastrutture;

b) programma degli interventi;

c) modello gestionale ed organizzativo;

d) piano economico finanziario.

2. La ricognizione, anche sulla base di informazioni asseverate dagli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, individua lo stato di consistenza delle infrastrutture da affidare al gestore del servizio idrico integrato, precisandone lo stato di funzionamento.

3. Il programma degli interventi individua le opere di manutenzione straordinaria e le nuove opere da realizzare, compresi gli interventi di adeguamento di infrastrutture già esistenti, necessarie al raggiungimento almeno dei livelli minimi di servizio, nonche’ al soddisfacimento della complessiva domanda dell’utenza. Il programma degli interventi, commisurato all’intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le infrastrutture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione.

4. Il piano economico finanziario, articolato nello stato patrimoniale, nel conto economico e nel rendiconto finanziario, prevede, con cadenza annuale, l’andamento dei costi di gestione e di investimento al netto di eventuali finanziamenti pubblici a fondo perduto. Esso e’ integrato dalla previsione annuale dei proventi da tariffa, estesa a tutto il periodo di affidamento. Il piano, così come redatto, dovrà garantire il raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario e, in ogni caso, il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati.

5. Il modello gestionale ed organizzativo definisce la struttura operativa mediante la quale il gestore assicura il servizio all’utenza e la realizzazione del programma degli interventi.

6. Il piano d’ambito e’ trasmesso entro dieci giorni dalla delibera di approvazione alla regione competente, all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. L’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti può notificare all’Autorità d’ambito, entro novanta giorni decorrenti dal ricevimento del piano, i propri rilievi od osservazioni, dettando, ove necessario, prescrizioni concernenti: il programma degli interventi, con particolare riferimento all’adeguatezza degli investimenti programmati in relazione ai livelli minimi di servizio individuati quali obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare riferimento alla capacità dell’evoluzione tariffaria di garantire l’equilibrio economico finanziario della gestione, anche in relazione agli investimenti programmati.

ART. 150
(scelta della forma di gestione e procedure di affidamento)

1. L’Autorità d’ambito, nel rispetto del piano d’ambito e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. L’Autorità d’ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.

3. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purche’ il socio privato sia stato scelto, prima dell’affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2.

4. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, salvo quanto previsto dall’articolo 148, comma 5.

ART. 151
(rapporti tra autorità d’ambito e soggetti gestori del servizio idrico integrato)

1. I rapporti fra Autorità d’ambito e gestori del servizio idrico integrato sono regolati da convenzioni predisposte dall’Autorità d’ambito.

2. A tal fine, le regioni e le province autonome adottano convenzioni tipo, con relativi disciplinari, che devono prevedere in particolare:

a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio;

b) la durata dell’affidamento, non superiore comunque a trenta anni;

c) l’obbligo del raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario della gestione;

d) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all’utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti;

e) i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dall’Autorità d’ambito e del loro aggiornamento annuale, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze;

f) l’obbligo di adottare la carta di servizio sulla base degli atti d’indirizzo vigenti;

g) l’obbligo di provvedere alla realizzazione del Programma degli interventi;

h) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio e l’obbligo di predisporre un sistema tecnico adeguato a tal fine, come previsto dall’articolo 165;

i) il dovere di prestare ogni collaborazione per l’organizzazione e l’attivazione dei sistemi di controllo integrativi che l’Autorità d’ambito ha facoltà di disporre durante tutto il periodo di affidamento;

l) l’obbligo di dare tempestiva comunicazione all’Autorità d’ambito del verificarsi di eventi che comportino o che facciano prevedere irregolarità nell’erogazione del servizio, nonche’ l’obbligo di assumere ogni iniziativa per l’eliminazione delle irregolarità, in conformità con le prescrizioni dell’Autorità medesima;

m) l’obbligo di restituzione, alla scadenza dell’affidamento, delle opere, degli impianti e delle canalizzazioni del servizio idrico integrato in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione;

n) l’obbligo di prestare idonee garanzie finanziarie e assicurative;

o) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile;

p) le modalità di rendicontazione delle attività del gestore.

3. Sulla base della convenzione di cui al comma 2, l’Autorità d’ambito predispone uno schema di convenzione con relativo disciplinare, da allegare ai capitolati di gara. Ove la regione o la provincia autonoma non abbiano provveduto all’adozione delle convenzioni e dei disciplinari tipo di cui al comma 2, l’Autorità predispone lo schema sulla base della normativa vigente. Le convenzioni esistenti devono essere integrate in conformità alle previsioni di cui al comma 2.

4. Nel Disciplinare allegato alla Convenzione di gestione devono essere anche definiti, sulla base del programma degli interventi, le opere e le manutenzioni straordinarie, nonche’ il programma temporale e finanziario di esecuzione.

5. L’affidamento del servizio e’ subordinato alla prestazione da parte del gestore di idonea garanzia fideiussoria. Tale garanzia deve coprire gli interventi da realizzare nei primi cinque anni di gestione e deve essere annualmente aggiornata in modo da coprire gli interventi da realizzare nel successivo quinquennio.

6. Il gestore cura l’aggiornamento dell’atto di Ricognizione entro i termini stabiliti dalla convenzione.

7. L’affidatario del servizio idrico integrato, previo consenso dell’Autorità d’ambito, può gestire altri servizi pubblici, oltre a quello idrico, ma con questo compatibili, anche se non estesi all’intero ambito territoriale ottimale.

8. Le società concessionarie del servizio idrico integrato, nonche’ le società miste costituite a seguito dell’individuazione del socio privato mediante gara europea affidatarie del servizio medesimo, possono emettere prestiti obbligazionari sottoscrivibili esclusivamente dagli utenti con facoltà di conversione in azioni semplici o di risparmio. Nel caso di aumento del capitale sociale, una quota non inferiore al dieci per cento e’ offerta in sottoscrizione agli utenti del servizio.

ART. 152
(poteri di controllo e sostitutivi)

1. L’Autorità d’ambito ha facoltà di accesso e verifica alle infrastrutture idriche, anche nelle fase di costruzione.

2. Nell’ipotesi di inadempienze del gestore agli obblighi che derivano dalla legge o dalla convenzione, e che compromettano la risorsa o l’ambiente ovvero che non consentano il raggiungimento dei livelli minimi di servizio, l’Autorità d’ambito interviene tempestivamente per garantire l’adempimento da parte del gestore, esercitando tutti i poteri ad essa conferiti dalle disposizioni di legge e dalla convenzione. Perdurando l’inadempienza del gestore, e ferme restando le conseguenti penalità a suo carico, nonche’ il potere di risoluzione e di revoca, l’Autorità d’ambito, previa diffida, può sostituirsi ad esso provvedendo a far eseguire a terzi le opere, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di appalti pubblici.

3. Qualora l’Autorità d’ambito non intervenga, o comunque ritardi il proprio intervento, la regione, previa diffida e sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, esercita i necessari poteri sostitutivi, mediante nomina di un commissario “ad acta”. Qualora la regione non adempia entro quarantacinque giorni, i predetti poteri sostitutivi sono esercitati, previa diffida ad adempiere nel termine di venti giorni, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, mediante nomina di un commissario “ad acta”.

4. L’Autorità d’ambito con cadenza annuale comunica al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti i risultati dei controlli della gestione.

ART. 153
(dotazioni dei soggetti gestori del servizio idrico integrato)

1. Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare.

2. Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato, ivi compresi gli oneri connessi all’ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale e/o in conto interessi, sono trasferite al soggetto gestore, che subentra nei relativi obblighi. Di tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica.

ART. 154
(tariffa del servizio idrico integrato)

1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed e’ determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonche’ di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua.

3. Al fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi ambientali e dei costi della risorsa e prevedendo altresì riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, restituisca le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. L’aggiornamento dei canoni ha cadenza triennale.

4. L’Autorità d’ambito, al fine della predisposizione del Piano finanziario di cui all’articolo 149, comma 1, lettera c), determina la tariffa di base, nell’osservanza delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 2, comunicandola all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

5. La tariffa e’ applicata dai soggetti gestori, nel rispetto della Convenzione e del relativo disciplinare.

6. Nella modulazione della tariffa sono assicurate, anche mediante compensazioni per altri tipi di consumi, agevolazioni per quelli domestici essenziali, nonche’ per i consumi di determinate categorie, secondo prefissati scaglioni di reddito. Per conseguire obiettivi di equa redistribuzione dei costi sono ammesse maggiorazioni di tariffa per le residenze secondarie, per gli impianti ricettivi stagionali, nonche’ per le aziende artigianali, commerciali e industriali.

7. L’eventuale modulazione della tariffa tra i comuni tiene conto degli investimenti pro capite per residente effettuati dai comuni medesimi che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio idrico integrato.

ART. 155
(tariffa del servizio di fognatura e depurazione)

1. Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore e’ tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell’articolo 154, a un fondo vincolato intestato all’Autorità d’ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l’attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d’ambito. La tariffa non e’ dovuta se l’utente e’ dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’Autorità d’ambito.

2. In pendenza dell’affidamento della gestione dei servizi idrici locali al gestore del servizio idrico integrato, i comuni già provvisti di impianti di depurazione funzionanti, che non si trovino in condizione di dissesto, destinano i proventi derivanti dal canone di depurazione e fognatura prioritariamente alla manutenzione degli impianti medesimi.

3. Gli utenti tenuti al versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al comma 1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti pubblici.

4. Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente articolo, il volume dell’acqua scaricata e’ determinato in misura pari al cento per cento del volume di acqua fornita.

5. Per le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente articolo e’ determinata sulla base della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate e sulla base del principio “chi inquina paga”. E’ fatta salva la possibilità di determinare una quota tariffaria ridotta per le utenze che provvedono direttamente alla depurazione e che utilizzano la pubblica fognatura, sempre che i relativi sistemi di depurazione abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’Autorità d’ambito.

6. Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze industriali e’ ridotta in funzione dell’utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando alla tariffa un correttivo, che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate.

ART. 156
(riscossione della tariffa)

1. La tariffa e’ riscossa dal gestore del servizio idrico integrato. Qualora il servizio idrico sia gestito separatamente, per effetto di particolari convenzioni e concessioni, la relativa tariffa e’ riscossa dal gestore del servizio di acquedotto, il quale provvede al successivo riparto tra i diversi gestori interessati entro trenta giorni dalla riscossione.

2. Con apposita convenzione, sottoposta al controllo della regione, sono definiti i rapporti tra i diversi gestori per il riparto delle spese di riscossione.

3. La riscossione volontaria e coattiva della tariffa può essere effettuata secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, mediante convenzione con l’Agenzia delle entrate.

ART. 157
(opere di adeguamento del servizio idrico)

1. Gli enti locali hanno facoltà di realizzare le opere necessarie per provvedere all’adeguamento del servizio idrico in relazione ai piani urbanistici ed a concessioni per nuovi edifici in zone già urbanizzate, previo parere di compatibilità con il piano d’ambito reso dall’Autorità d’ambito e a seguito di convenzione con il soggetto gestore del servizio medesimo, al quale le opere, una volta realizzate, sono affidate in concessione.

ART. 158
(opere e interventi per il trasferimento di acqua)

1. Ai fini di pianificare l’utilizzo delle risorse idriche, laddove il fabbisogno comporti o possa comportare il trasferimento di acqua tra regioni diverse e ciò travalichi i comprensori di riferimento dei distretti idrografici, le Autorità di bacino, sentite le regioni interessate, promuovono accordi di programma tra le regioni medesime, ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, salvaguardando in ogni caso le finalità di cui all’articolo 144 del presente decreto. A tal fine il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ciascuno per la parte di propria competenza, assumono di concerto le opportune iniziative anche su richiesta di una Autorità di bacino o di una regione interessata od anche in presenza di istanza presentata da altri soggetti pubblici o da soggetti privati interessati, fissando un termine per definire gli accordi.

2. In caso di inerzia, di mancato accordo in ordine all’utilizzo delle risorse idriche, o di mancata attuazione dell’accordo stesso, provvede in via sostitutiva, previa diffida ad adempiere entro un congruo termine, il Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

3. Le opere e gli impianti necessari per le finalità di cui al presente articolo sono dichiarati di interesse nazionale. La loro realizzazione e gestione, se di iniziativa pubblica, possono essere poste anche a totale carico dello Stato mediante quantificazione dell’onere e relativa copertura finanziaria, previa deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta dei Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e delle infrastrutture e dei trasporti, ciascuno per la parte di rispettiva competenza. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio esperisce le procedure per la concessione d’uso delle acque ai soggetti utilizzatori e definisce la relativa convenzione tipo; al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti compete la determinazione dei criteri e delle modalità per l’esecuzione e la gestione degli interventi, nonche’ l’affidamento per la realizzazione e la gestione degli impianti.

TITOLO III

VIGILANZA, CONTROLLI E PARTECIPAZIONE

ART. 159
(Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti)

1. Alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche istituito dalla legge 5 gennaio 1994, n. 36, assume la denominazione di Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, di seguito denominata “Autorità”, con il compito di assicurare l’osservanza, da parte di qualsiasi soggetto pubblico e privato, dei principi e delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto.

2. Sono organi dell’Autorità il presidente, il comitato esecutivo ed il consiglio, che si articola in due sezioni denominate “Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”; ciascuna sezione e’ composta dal presidente dell’Autorità, dal coordinatore di sezione e da cinque componenti per la “Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche” e da sei componenti per la “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”. Il comitato esecutivo e’ composto dal presidente dell’Autorità e dai coordinatori di sezione. Il consiglio dell’Autorità e’ composto da tredici membri e dal presidente, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il presidente dell’Autorità e quattro componenti del consiglio, dei quali due con funzioni di coordinatore di sezione, sono nominati su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, due su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, due su proposta del Ministro per la funzione pu bblica, uno su proposta del Ministro delle attività produttive relativamente alla “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”, quattro su designazione della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Le proposte sono previamente sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari.

3. Il Presidente dell’Autorità e’ il legale rappresentante, presiede il comitato esecutivo, il consiglio e le sezioni nelle quali esso si articola. Il comitato esecutivo e’ l’organo deliberante dell’Autorità e provvede ad assumere le relative decisioni sulla base dell’istruttoria e delle proposte formulate dal consiglio o dalle sue sezioni.

4. L’organizzazione e il funzionamento, anche contabile, dell’Autorità sono disciplinati, in conformità alle disposizioni di cui alla parte terza e quarta del presente decreto, da un regolamento deliberato dal Consiglio dell’Autorità ed emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri secondo il procedimento di cui al comma 3 dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

5. I componenti dell’Autorità sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta competenza nel settore, durano in carica sette anni e non possono essere confermati. A pena di decadenza essi non possono esercitare, direttamente o indirettamente, alcuna attività professionale o di consulenza attinente al settore di competenza dell’Autorità; essi non possono essere dipendenti di soggetti privati, ne’ ricoprire incarichi elettivi o di rappresentanza nei partiti politici, ne’ avere interessi diretti o indiretti nelle imprese operanti nel settore di competenza della Autorità. I dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati fuori ruolo per l’intera durata dell’incarico o, se professori universitari, in aspettativa, senza assegni, per l’intera durata del mandato. Per almeno due anni dalla cessazione dell’incarico i componenti dell’Autorità non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con le imprese operanti nel settore di competenza.

6. In fase di prima attuazione, e nel rispetto del principio dell’invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica di cui all’articolo 1, comma 8, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, il Presidente ed i componenti del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche rimangono in carica fino al compimento del primo mandato settennale dell’Autorità ed assumono rispettivamente le funzioni di Presidente dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e di componenti della “Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche”, tra i quali il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nomina il coordinatore. Analogamente, il Presidente ed i componenti dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti istituito dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, rimangono in carica fino al compimento del primo mandato settennale dell’Autorità ed assumono rispettivamente le funzioni di coordinatore e di componenti della “Sezione per la vigilanza sui rifiuti”.

7. L’Autorità si avvale di una segreteria tecnica, composta da esperti di elevata qualificazione, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta dell’Autorità. Per essi valgono le incompatibilità di cui al comma 5 con le relative conseguenze previste. L’Autorità può richiedere ad altre amministrazioni pubbliche di avvalersi di loro prestazioni per funzioni di ispezione e di verifica. La dotazione organica della segreteria tecnica, cui e’ preposto un dirigente, e le spese di funzionamento sono determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica.

8. I componenti dell’Autorità e della segreteria tecnica, nell’esercizio delle funzioni, sono pubblici ufficiali e sono tenuti al segreto d’ufficio. Si applicano le norme in materia di pubblicità, partecipazione e accesso.

9. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e’ determinato il trattamento economico spettante ai membri dell’Autorità e ai componenti della segreteria tecnica.

10. Il bilancio preventivo e il rendiconto della gestione sono soggetti al controllo della Corte dei conti ed alle forme di pubblicità indicate nel regolamento di cui al comma 6; della loro pubblicazione e’ dato avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

11. L’Autorità definisce annualmente e con proiezione triennale i programmi di attività e le iniziative che intende porre in essere per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1, ed a garanzia degli interessi degli utenti, dandone comunicazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

12. L’Autorità e’ rappresentata in giudizio dall’Avvocatura dello Stato.

ART. 160
(compiti e funzioni dell’Autorità di vigilanza)

1. Nell’esercizio delle funzioni e dei compiti indicati al comma 1 dell’articolo 159, l’Autorità vigila sulle risorse idriche e sui rifiuti e controlla il rispetto della disciplina vigente a tutela delle risorse e della salvaguardia ambientale esercitando i relativi poteri ad essa attribuiti dalla legge.

2. L’Autorità in particolare:

a) assicura l’osservanza dei principi e delle regole della concorrenza e della trasparenza nelle procedure di affidamento dei servizi;

b) tutela e garantisce i diritti degli utenti e vigila sull’integrità delle reti e degli impianti;

c) esercita i poteri ordinatori ed inibitori di cui al comma 3;

d) promuove e svolge studi e ricerche sull’evoluzione dei settori e dei rispettivi servizi, avvalendosi dell’Osservatorio di cui all’articolo 161;

e) propone gli adeguamenti degli atti tipo, delle concessioni e delle convenzioni in base all’andamento del mercato e laddove siano resi necessari dalle esigenze degli utenti o dalle finalità di tutela e salvaguardia dell’ambiente;

f) specifica i livelli generali di qualità riferiti ai servizi da prestare nel rispetto dei regolamenti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che disciplinano la materia;

g) controlla che i gestori adottino una carta di servizio pubblico con indicazione di standard dei singoli servizi e ne verifica il rispetto;

h) propone davanti al giudice amministrativo i ricorsi contro gli atti e provvedimenti ed eventualmente i comportamenti posti in essere in violazione delle norme di cui alle parti terza e quarta del presente decreto; esercita l’azione in sede civile avverso gli stessi comportamenti, richiedendo anche il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente; denuncia all’autorità giudiziaria le violazioni perseguibili in sede penale delle norme di cui alle parti terza e quarta del presente decreto; sollecita l’esercizio dell’azione di responsabilità per i danni erariali derivanti dalla violazione delle norme medesime;

i) formula al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio proposte di revisione della disciplina vigente, segnalandone i casi di grave inosservanza e di non corretta applicazione;

l) predispone ed invia al Governo e al Parlamento una relazione annuale sull’attività svolta, con particolare riferimento allo stato e all’uso delle risorse idriche, all’andamento dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, nonche’ all’utilizzo dei medesimi nella produzione di energia;

m) definisce, d’intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, i programmi di attività e le iniziative da porre in essere a garanzia degli interessi degli utenti, anche mediante la cooperazione con analoghi organi di garanzia eventualmente istituiti dalle regioni e dalle province autonome competenti;

n) esercita le funzioni già di competenza dell’Osservatorio nazionale sui rifiuti istituito dall’articolo 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;

o) può svolgere attività di consultazione nelle materie di propria competenza a favore delle Autorità d’ambito e delle pubbliche amministrazioni, previa adozione di apposito decreto da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, per la disciplina delle modalità, anche contabili, e delle tariffe relative a tali attività.

3. Nell’esercizio delle proprie competenze, l’Autorità:

a) richiede informazioni e documentazioni ai gestori operanti nei settori idrico e dei rifiuti e a tutti i soggetti pubblici e privati tenuti all’applicazione delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto; esercita poteri di acquisizione, accesso ed ispezione alle documentazioni in conformità ad apposito regolamento emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi del comma 3 dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

b) irroga la sanzione amministrativa del pagamento di una somma fino a trentamila euro, ai soggetti che, senza giustificato motivo, rifiutano od omettono di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti ai sensi della lettera a) o intralciano l’accesso o le ispezioni; irroga la sanzione amministrativa del pagamento di una somma fino a sessantamila euro ai soggetti che forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri; le stesse sanzioni sono irrogate nel caso di violazione degli obblighi di informazione all’Osservatorio di cui all’articolo 161;

c) comunica, alle autorità competenti ad adottare i relativi provvedimenti, le violazioni, da parte dei gestori, delle Autorità d’ambito e dei consorzi di bonifica e di irrigazione, dei principi e delle disposizioni di cui alle parti terza e quarta del presente decreto, in particolare quelle lesive della concorrenza, della tutela dell’ambiente, dei diritti degli utenti e dei legittimi usi delle acque; adotta i necessari provvedimenti temporanei ed urgenti, ordinatori ed inibitori, assicurando tuttavia la continuità dei servizi;

d) può intervenire, su istanza dei gestori, in caso di omissioni o inadempimenti delle Autorità d’ambito.

4. Il ricorso contro gli atti e i provvedimenti dell’Autorità spetta alla giurisdizione amministrativa esclusiva e alla competenza del TAR del Lazio.

ART. 161
(osservatorio sulle risorse idriche e sui rifiuti)

1. L’Autorità, per lo svolgimento dei propri compiti, si avvale di un Osservatorio sui settori di propria competenza. L’Osservatorio svolge funzioni di raccolta, elaborazione e restituzione di dati statistici e conoscitivi formando una banca dati connessa con i sistemi informativi del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, delle Autorità di bacino e dei soggetti pubblici che detengono informazioni nel settore. In particolare, l’Osservatorio raccoglie ed elabora dati inerenti:

a) al censimento dei partecipanti alle gare per l’affidamento dei servizi, nonche’ dei soggetti gestori relativamente ai dati dimensionali, tecnici e finanziari di esercizio;

b) alle condizioni generali di contratto e convenzioni per l’esercizio dei servizi;

c) ai modelli adottati di organizzazione, di gestione, di controllo e di programmazione dei servizi e degli impianti;

d) ai livelli di qualità dei servizi erogati;

e) alle tariffe applicate;

f) ai piani di investimento per l’ammodernamento degli impianti e lo sviluppo dei servizi.

2. I gestori dei servizi idrici e di raccolta e smaltimento dei rifiuti trasmettono ogni dodici mesi all’Osservatorio i dati e le informazioni di cui al comma 1 e comunque tutti i dati che l’Osservatorio richieda loro in qualsiasi momento.

3. Sulla base dei dati acquisiti, l’Osservatorio effettua, su richiesta dell’Autorità, elaborazioni al fine, tra l’altro, di:

a) definire indici di produttività per la valutazione della economicità delle gestioni a fronte dei servizi resi;

b) individuare livelli tecnologici e modelli organizzativi ottimali dei servizi;

c) definire parametri di valutazione per il controllo delle politiche tariffarie praticate, anche a supporto degli organi decisionali in materia di fissazione di tariffe e dei loro adeguamenti, verificando il rispetto dei criteri fissati in materia dai competenti organi statali;

d) individuare situazioni di criticità e di irregolarità funzionale dei servizi o di inosservanza delle prescrizioni normative vigenti in materia;

e) promuovere la sperimentazione e l’adozione di tecnologie innovative;

f) verificare la fattibilità e la congruità dei programmi di investimento in relazione alle risorse finanziarie e alla politica tariffaria;

g) realizzare quadri conoscitivi di sintesi.

4. L’Osservatorio assicura l’accesso generalizzato, anche per via informatica, ai dati raccolti e alle elaborazioni effettuate secondo deliberazione dell’Autorità e nel rispetto delle disposizioni generali.

5. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la funzione pubblica, sono determinate, nel rispetto del principio dell’invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica, la dotazione organica dell’Osservatorio, cui e’ preposto un dirigente, e le spese di funzionamento. Per l’espletamento dei propri compiti, l’Osservatorio, su indicazione dell’Autorità, può avvalersi della consulenza di esperti nel settore e stipulare convenzioni con enti pubblici di ricerca e con società specializzate.

ART. 162
(partecipazione, garanzia e informazione degli utenti)

1. Il gestore del servizio idrico integrato assicura l’informazione agli utenti, promuove iniziative per la diffusione della cultura dell’acqua e garantisce l’accesso dei cittadini alle informazioni inerenti ai servizi gestiti nell’ambito territoriale ottimale di propria competenza, alle tecnologie impiegate, al funzionamento degli impianti, alla quantità e qualità delle acque fornite e trattate.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, le regioni e le province autonome, nell’ambito delle rispettive competenze, assicurano la pubblicità dei progetti concernenti opere idrauliche che comportano o presuppongono grandi e piccole derivazioni, opere di sbarramento o di canalizzazione, nonche’ la perforazione di pozzi. A tal fine, le amministrazioni competenti curano la pubblicazione delle domande di concessione, contestualmente all’avvio del procedimento, oltre che nelle forme previste dall’articolo 7 del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, su almeno un quotidiano a diffusione nazionale e su un quotidiano a diffusione locale per le grandi derivazioni di acqua da fiumi transnazionali e di confine.

3. Chiunque può prendere visione presso i competenti uffici del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, delle regioni e delle province autonome di tutti i documenti, atti, studi e progetti inerenti alle domande di concessione di cui al comma 2 del presente articolo, ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di pubblicità degli atti delle amministrazioni pubbliche.

ART. 163
(gestione delle aree di salvaguardia)

1. Per assicurare la tutela delle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano, il gestore del servizio idrico integrato può stipulare convenzioni con lo Stato, le regioni, gli enti locali, le associazioni e le università agrarie titolari di demani collettivi, per la gestione diretta dei demani pubblici o collettivi ricadenti nel perimetro delle predette aree, nel rispetto della protezione della natura e tenuto conto dei diritti di uso civico esercitati.

2. La quota di tariffa riferita ai costi per la gestione delle aree di salvaguardia, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale ottimale all’altro, e’ versata alla comunità montana, ove costituita, o agli enti locali nel cui territorio ricadono le derivazioni; i relativi proventi sono utilizzati ai fini della tutela e del recupero delle risorse ambientali.

ART. 164
(disciplina delle acque nelle aree protette)

1. Nell’ambito delle aree naturali protette nazionali e regionali, l’ente gestore dell’area protetta, sentita l’Autorità di bacino, definisce le acque sorgive, fluenti e sotterranee necessarie alla conservazione degli ecosistemi, che non possono essere captate.

2. Il riconoscimento e la concessione preferenziale delle acque superficiali o sorgentizie che hanno assunto natura pubblica per effetto dell’articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nonche’ le concessioni in sanatoria, sono rilasciati su parere dell’ente gestore dell’area naturale protetta. Gli enti gestori di aree protette verificano le captazioni e le derivazioni già assentite all’interno delle aree medesime e richiedono all’autorità competente la modifica delle quantità di rilascio qualora riconoscano alterazioni degli equilibri biologici dei corsi d’acqua oggetto di captazione, senza che ciò possa dare luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione.

ART. 165
(controlli)

1. Per assicurare la fornitura di acqua di buona qualità e per il controllo degli scarichi nei corpi ricettori, ciascun gestore di servizio idrico si dota di un adeguato servizio di controllo territoriale e di un laboratorio di analisi per i controlli di qualità delle acque alla presa, nelle reti di adduzione e di distribuzione, nei potabilizzatori e nei depuratori, ovvero stipula apposita convenzione con altri soggetti gestori di servizi idrici. Restano ferme le competenze amministrative e le funzioni di controllo sulla qualità delle acque e sugli scarichi nei corpi idrici stabilite dalla normativa vigente e quelle degli organismi tecnici preposti a tali funzioni.

2. Coloro che si approvvigionano in tutto o in parte di acqua da fonti diverse dal pubblico acquedotto sono tenuti a denunciare annualmente al soggetto gestore del servizio idrico il quantitativo prelevato nei termini e secondo le modalità previste dalla normativa per la tutela delle acque dall’inquinamento.

3. Le sanzioni previste dall’articolo 19 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, si applicano al responsabile della gestione dell’acquedotto soltanto nel caso in cui, dopo la comunicazione dell’esito delle analisi, egli non abbia tempestivamente adottato le misure idonee ad adeguare la qualità dell’acqua o a prevenire il consumo o l’erogazione di acqua non idonea.

TITOLO IV

USI PRODUTTIVI DELLE RISORSE IDRICHE

ART. 166
(usi delle acque irrigue e di bonifica)

1. I consorzi di bonifica ed irrigazione, nell’ambito delle loro competenze, hanno facoltà di realizzare e gestire le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue, gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica e, previa domanda alle competenti autorità corredata dal progetto delle opere da realizzare, hanno facoltà di utilizzare le acque fluenti nei canali e nei cavi consortili per usi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le successive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’approvvigionamento di imprese produttive. L’Autorità di bacino esprime entro centoventi giorni la propria determinazione. Trascorso tale termine, la domanda si intende accettata. Per tali usi i consorzi sono obbligati al pagamento dei relativi canoni per le quantità di acqua corrispondenti, applicandosi anche in tali ipotesi le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 36 del te sto unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.

2. I rapporti tra i consorzi di bonifica ed irrigazione ed i soggetti che praticano gli usi di cui al comma 1 sono regolati dalle disposizioni di cui al capo I del titolo VI del regio decreto 8 maggio 1904, n. 368.

3. Fermo restando il rispetto della disciplina sulla qualità delle acque e degli scarichi stabilita dalla parte terza del presente decreto, chiunque, non associato ai consorzi di bonifica ed irrigazione, utilizza canali consortili o acque irrigue come recapito di scarichi, anche se depurati e compatibili con l’uso irriguo, provenienti da insediamenti di qualsiasi natura, deve contribuire alle spese sostenute dal consorzio tenendo conto della portata di acqua scaricata.

4. Il contributo di cui al comma 3 e’ determinato dal consorzio interessato e comunicato al soggetto utilizzatore, unitamente alle modalità di versamento.

ART. 167
(usi agricoli delle acque)

1. Nei periodi di siccità e comunque nei casi di scarsità di risorse idriche, durante i quali si procede alla regolazione delle derivazioni in atto, deve essere assicurata, dopo il consumo umano, la priorità dell’uso agricolo ivi compresa l’attività di acquacoltura di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 102.

2. Nell’ipotesi in cui, ai sensi dell’articolo 145, comma 3, si proceda alla regolazione delle derivazioni, l’amministrazione competente, sentiti i soggetti titolari delle concessioni di derivazione, assume i relativi provvedimenti.

3. La raccolta di acque piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di singoli edifici e’ libera.

4. La raccolta di cui al comma 3 non richiede licenza o concessione di derivazione di acque; la realizzazione dei relativi manufatti e’ regolata dalle leggi in materia di edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e sbarramenti e dalle altre leggi speciali.

5. L’utilizzazione delle acque sotterranee per gli usi domestici, come definiti dall’articolo 93, secondo comma, del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, resta disciplinata dalla medesima disposizione, purche’ non comprometta l’equilibrio del bilancio idrico di cui all’articolo 145 del presente decreto.

ART. 168
(utilizzazione delle acque destinate ad uso idroelettrico)

1. Tenuto conto dei principi di cui alla parte terza del presente decreto e del piano energetico nazionale, nonche’ degli indirizzi per gli usi plurimi delle risorse idriche, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentite le Autorità di bacino, nonche’ le regioni e le province autonome, disciplina, senza che ciò possa dare luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la corrispondente riduzione del canone di concessione:

a) la produzione al fine della cessione di acqua dissalata conseguita nei cicli di produzione delle centrali elettriche costiere;

b) l’utilizzazione dell’acqua invasata a scopi idroelettrici per fronteggiare situazioni di emergenza idrica;

c) la difesa e la bonifica per la salvaguardia della quantità e della qualità delle acque dei serbatoi ad uso idroelettrico.

ART. 169
(piani, studi e ricerche)

1. I piani, gli studi e le ricerche realizzati dalle Amministrazioni dello Stato e da enti pubblici aventi competenza nelle materie disciplinate dalla parte terza del presente decreto sono comunicati alle Autorità di bacino competenti per territorio ai fini della predisposizione dei piani ad esse affidati.

SEZIONE IV

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

ART. 170
(norme transitorie)

1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 65, limitatamente alle procedure di adozione ed approvazione dei piani di bacino, fino alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, continuano ad applicarsi le procedure di adozione ed approvazione dei piani di bacino previste dalla legge 18 maggio 1989, n. 183.

2. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 1 del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 dicembre 2000, n. 365, i riferimenti in esso contenuti all’articolo 1 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267, devono intendersi riferiti all’articolo 66 del presente decreto; i riferimenti alla legge 18 maggio 1989, n. 183, devono intendersi riferiti alla sezione prima della parte terza del presente decreto, ove compatibili.

3. Ai fini dell’applicazione della parte terza del presente decreto:

a) fino all’emanazione dei decreti di cui all’articolo 95, commi 4 e 5, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 28 luglio 2004;

b) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 99, comma 1, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 12 giugno 2003, n. 185;

c) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 104, comma 4, si applica il decreto ministeriale 28 luglio 1994;

d) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 112, comma 2, si applica il decreto ministeriale 6 luglio 2005;

e) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 114, comma 4, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 30 giugno 2004;

f) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 118, comma 2, continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 18 settembre 2002 e il decreto ministeriale 19 agosto 2003;

g) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 123, comma 2, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 19 agosto 2003;

h) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 146, comma 3, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 8 gennaio 1997, n. 99;

i) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 150, comma 2, all’affidamento della concessione di gestione del servizio idrico integrato nonche’ all’affidamento a società miste continuano ad applicarsi il decreto ministeriale 22 novembre 2001, nonche’ le circolari del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 6 dicembre 2004;

l) fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 154, comma 2, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 1° agosto 1996.

4. La parte terza del presente decreto contiene le norme di recepimento delle seguenti direttive comunitarie:

a) direttiva 75/440/CEE relativa alla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

b) direttiva 76/464/CEE concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico;

c) direttiva 78/659/CEE relativa alla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci;

d) direttiva 79/869/CEE relativa ai metodi di misura, alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile;

e) direttiva 79/923/CEE relativa ai requisiti di qualità delle acque destinate alla molluschicoltura;

f) direttiva 80/68/CEE relativa alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose;

g) direttiva 82/176/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio del settore dell’elettrolisi dei cloruri alcalini;

h) direttiva 83/513/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di cadmio;

i) direttiva 84/ 156/CEE relativa ai valori limite ed obiettivi di qualità per gli scarichi di mercurio provenienti da settori diversi da quello dell’elettrolisi dei cloruri alcalini;

l) direttiva 84/491/CEE relativa ai valori limite e obiettivi di qualità per gli scarichi di esaclorocicloesano;

m) direttiva 88/347/CEE relativa alla modifica dell’Allegato 11 della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell’elenco 1 dell’Allegato della direttiva 76/464/CEE;

n) direttiva 90/415/CEE relativa alla modifica della direttiva 86/280/CEE concernente i valori limite e gli obiettivi di qualità per gli scarichi di talune sostanze pericolose che figurano nell’elenco 1 della direttiva 76/464/CEE;

o) direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane;

p) direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque da inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole;

q) direttiva 98/15/CE recante modifica della direttiva 91/271/CEE per quanto riguarda alcuni requisiti dell’Allegato 1;

r) direttiva 2000/60/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.

5. Le regioni definiscono, in termini non inferiori a due anni, i tempi di adeguamento alle prescrizioni, ivi comprese quelle adottate ai sensi dell’articolo 101, comma 2, contenute nella legislazione regionale attuativa della parte terza del presente decreto e nei piani di tutela di cui all’articolo 121.

6. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 36 della legge 24 aprile 1998, n. 128, e dai decreti legislativi di attuazione della direttiva 96/92/CE.

7. Fino all’emanazione della disciplina regionale di cui all’articolo 112, le attività di utilizzazione agronomica sono effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

8. Dall’attuazione della parte terza del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate a carico della finanza pubblica.

9. Una quota non inferiore al dieci per cento e non superiore al quindici per cento degli stanziamenti previsti da disposizioni statali di finanziamento e’ riservata alle attività di monitoraggio e studio destinati all’attuazione della parte terza del presente decreto. 10. Restano ferme le disposizioni in materia di difesa del mare.

11. Fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’articolo 175.

12. All’onere derivante dalla costituzione e dal funzionamento della Sezione per la vigilanza sulle risorse idriche si provvede mediante utilizzo delle risorse di cui all’articolo 22, comma 6, della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

13. All’onere derivante dalla costituzione e dal funzionamento della Sezione per la vigilanza sui rifiuti, pari ad unmilioneduecentoquarantamila euro, aggiornato annualmente in relazione al tasso d’inflazione, provvede il Consorzio nazionale imballaggi di cui all’articolo 224 con un contributo di pari importo a carico dei consorziati. Dette somme sono versate dal Consorzio nazionale imballaggi all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

14. In sede di prima applicazione, il termine di centottanta giorni di cui all’articolo 112, comma 2, decorre dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto.

ART. 171
(canoni per le utenze di acqua pubblica)

1. Nelle more del trasferimento alla regione Sicilia del demanio idrico, per le grandi derivazioni in corso di sanatoria di cui all’articolo 96, comma 6, ricadenti nel territorio di tale regione, si applicano retroattivamente, a decorrere dal 1 gennaio 2002, i seguenti canoni annui:

a) per ogni modulo di acqua assentito ad uso irrigazione, 40,00 euro, ridotte alla metà se le colature ed i residui di acqua sono restituiti anche in falda;

b) per ogni ettaro del comprensorio irriguo assentito, con derivazione non suscettibile di essere fatta a bocca tassata, 0,40 euro;

c) per ogni modulo di acqua assentito per il consumo umano, 1.750,00 euro, minimo 300,00 euro;

d) per ogni modulo di acqua assentito ad uso industriale, 12.600,00 euro, minimo 1.750,00 euro. Il canone e’ ridotto del cinquanta per cento se il concessionario attua un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso o, ancora, se restituisce le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate. Le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12 del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 1990, n. 1651, non si applicano per l’uso industriale;

e) per ogni modulo di acqua assentito per la piscicoltura, l’irrigazione di attrezzature sportive e di aree destinate a verde pubblico, 300,00 euro, minimo 100,00 euro;

f) per ogni kilowatt di potenza nominale assentita, per le concessioni di derivazione ad uso idroelettrico 12,00 euro, minimo 100,00 euro;

g) per ogni modulo di acqua assentita ad uso igienico ed assimilati, concernente l’utilizzo dell’acqua per servizi igienici e servizi antincendio, ivi compreso quello relativo ad impianti sportivi, industrie e strutture varie qualora la concessione riguardi solo tale utilizzo, per impianti di autolavaggio e lavaggio strade e comunque per tutti gli usi non previsti dalle lettere da a) ad f), 900,00 euro.

2. Gli importi dei canoni di cui al comma 1 non possono essere inferiori a 250,00 euro per derivazioni per il consumo umano e a 1.500,00 euro per derivazioni per uso industriale.

ART. 172
(gestioni esistenti)

1. Le Autorità d’ambito che alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto abbiano già provveduto alla redazione del piano d’ambito, senza aver scelto la forma di gestione ed avviato la procedura di affidamento, sono tenute, nei sei mesi decorrenti da tale data, a deliberare i predetti provvedimenti.

2. In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto della parte terza del presente decreto, entro i sessanta giorni antecedenti tale scadenza.

3. Qualora l’Autorità d’ambito non provveda agli adempimenti di cui ai commi 1 e 2 nei termini ivi stabiliti, la regione, entro trenta giorni, esercita, dandone comunicazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, i poteri sostitutivi, nominando un commissario “ad acta”, le cui spese sono a carico dell’ente inadempiente, che avvia entro trenta giorni le procedure di affidamento, determinando le scadenze dei singoli adempimenti procedimentali. Qualora il commissario regionale non provveda nei termini così stabiliti, spettano al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, i poteri sostitutivi preordinati al completamento della procedura di affidamento.

4. Qualora gli enti locali non aderiscano alle Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 148 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, la regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni e dandone comunicazione all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, i poteri sostitutivi, nominando un commissario “ad acta”, le cui spese sono a carico dell’ente inadempiente.

5. Alla scadenza, ovvero alla anticipata risoluzione, delle gestioni in essere ai sensi del comma 2, i beni e gli impianti delle imprese già concessionarie sono trasferiti direttamente all’ente locale concedente nei limiti e secondo le modalità previsti dalla convenzione.

6. Gli impianti di acquedotto, fognatura e depurazione gestiti dai consorzi per le aree ed i nuclei di sviluppo industriale di cui all’articolo 50 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, da altri consorzi o enti pubblici, nel rispetto dell’unità di gestione, entro il 31 dicembre 2006 sono trasferiti in concessione d’uso al gestore del servizio idrico integrato dell’Ambito territoriale ottimale nel quale ricadono in tutto o per la maggior parte i territori serviti, secondo un piano adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentite le regioni, le province e gli enti interessati.

ART. 173
(personale)

1. Fatta salva la legislazione regionale adottata ai sensi dell’articolo 12, comma 3, della legge 5 gennaio 1994, n. 36, il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto mesi prima dell’affidamento del servizio, appartenga alle amministrazioni comunali, alle aziende ex municipalizzate o consortili e alle imprese private, anche cooperative, che operano nel settore dei servizi idrici sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio idrico integrato, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto. Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio idrico integrato, si applica, ai sensi dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all’articolo 2112 del codice civile.

ART. 174
(disposizioni di attuazione e di esecuzione)

1. Sino all’adozione da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di nuove disposizioni attuative della sezione terza della parte terza del presente decreto, si applica il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 14 marzo 1994.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita l’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, nell’ambito di apposite intese istituzionali, predispone uno specifico programma per il raggiungimento, senza ulteriori oneri a carico del Ministero, dei livelli di depurazione, così come definiti dalla direttiva 91/271/CEE, attivando i poteri sostitutivi di cui all’articolo 152 negli ambiti territoriali ottimali in cui vi siano agglomerati a carico dei quali pendono procedure di infrazione per violazione della citata direttiva.

ART. 175
(abrogazione di norme)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono o restano abrogate le norme contrarie o incompatibili con il medesimo, ed in particolare:

a) l’articolo 42, comma terzo, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dall’articolo 8 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275;

b) la legge 10 maggio 1976, n. 319;

c) la legge 8 ottobre 1976, n. 690, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 1976, n. 544;

d) la legge 24 dicembre 1979, n. 650;

e) la legge 5 marzo 1982, n. 62, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 1981, n. 801;

f) il decreto del Presidente della Repubblica 3 luglio 1982, n. 515;

g) la legge 25 luglio 1984, n. 381, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 1984, n. 176;

h) gli articoli 5, 6 e 7 della legge 24 gennaio 1986, n. 7, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 25 novembre 1985, n. 667;

i) gli articoli 4, 5, 6 e 7 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236;

l) la legge 18 maggio 1989, n. 183;

m) gli articoli 4 e 5 della legge 5 aprile 1990, n. 71, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 5 febbraio 1990, n. 16;

n) l’articolo 32 della legge 9 gennaio 1991, n. 9;

o) il decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 130;

p) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 131;

q) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 132;

r) il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133;

s) l’articolo 12 del decreto legislativo 12 luglio 1993, n. 275;

t) l’articolo 2, comma 1, della legge 6 dicembre 1993, n. 502, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 9 ottobre 1993, n. 408;

u) la legge 5 gennaio 1994, n. 36, ad esclusione dell’articolo 22, comma 6;

v) l’articolo 9-bis della legge 20 dicembre 1996, n. 642, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 552;

z) la legge 17 maggio 1995, n. 172, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 1995, n. 79;

aa) l’articolo 1 del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, n. 267;

bb) il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, così come modificato dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258;

cc) l’articolo 1-bis del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 ottobre 2000, n. 365.

ART. 176
(norma finale)

1. Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto che concernono materie di legislazione concorrente costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione.

2. Le disposizioni di cui alla parte terza del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti.

3. Per le acque appartenenti al demanio idrico delle province autonome di Trento e di Bolzano restano ferme le competenze in materia di utilizzazione delle acque pubbliche ed in materia di opere idrauliche previste dallo statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige e dalle relative norme di attuazione.

PARTE QUARTA

NORME IN MATERIA DI GESTIONE DEI RIFIUTI E DI BONIFICA DEI SITI INQUINATI

TITOLO I

GESTIONE DEI RIFIUTI

CAPO I

DISPOSIZIONI GENERALI

ART. 177
(campo di applicazione)

1. La parte quarta del presente decreto disciplina la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati anche in attuazione delle direttive comunitarie sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi, sugli oli usati, sulle batterie esauste, sui rifiuti di imballaggio, sui policlorobifenili (PCB), sulle discariche, sugli inceneritoti, sui rifiuti elettrici ed elettronici, sui rifiuti portuali, sui veicoli fuori uso, sui rifiuti sanitari e sui rifiuti contenenti amianto. Sono fatte salve disposizioni specifiche, particolari o complementari, conformi ai principi di cui alla parte quarta del presente decreto, adottate in attuazione di direttive comunitarie che disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti.

2. Le regioni e le province autonome adeguano i rispettivi ordinamenti alle disposizioni di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema contenute nella parte quarta del presente decreto entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso.

ART. 178
(finalità)

1. La gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse ed e’ disciplinata dalla parte quarta del presente decreto al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi.

2. I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare:

a) senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonche’ per la fauna e la flora;

b) senza causare inconvenienti da rumori o odori;

c) senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.

3. La gestione dei rifiuti e’ effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario “chi inquina paga”. A tal fine la gestione dei rifiuti e’ effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza.

4. Per conseguire le finalità e gli obiettivi della parte quarta del presente decreto, lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali esercitano i poteri e le funzioni di rispettiva competenza in materia di gestione dei rifiuti in conformità alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto, adottando ogni opportuna azione ed avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli d’intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati.

5. I soggetti di cui al comma 4 costituiscono, altresì, un sistema compiuto e sinergico che armonizza, in un contesto unitario, relativamente agli obiettivi da perseguire, la redazione delle norme tecniche, i sistemi di accreditamento e i sistemi di certificazione attinenti direttamente o indirettamente le materie ambientali, con particolare riferimento alla gestione dei rifiuti, secondo i criteri e con le modalità di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), e nel rispetto delle procedure di informazione nel settore delle norme e delle regolazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, previste dalle direttive comunitarie e relative norme di attuazione, con particolare riferimento alla legge 21 giugno 1986, n. 317.

ART. 179
(criteri di priorità nella gestione dei rifiuti)

1. Le pubbliche amministrazioni perseguono, nell’esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire prioritariamente la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, in particolare mediante:

a) lo sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali;

b) la messa a punto tecnica e l’immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;

c) lo sviluppo di tecniche appropriate per l’eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero.

2. Nel rispetto delle misure prioritarie di cui al comma 1, le pubbliche amministrazioni adottano, inoltre, misure dirette al recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie, nonche’ all’uso di rifiuti come fonte di energia.

ART. 180
(prevenzione della produzione di rifiuti)

1. Al fine di promuovere in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti, le iniziative di cui all’articolo 179 riguardano in particolare:

a) la promozione di strumenti economici, eco-bilanci, sistemi di certificazione ambientale, analisi del ciclo di vita dei prodotti, azioni di informazione e di sensibilizzazione dei consumatori, l’uso di sistemi di qualità, nonche’ lo sviluppo del sistema di marchio ecologico ai fini della corretta valutazione dell’impatto di uno specifico prodotto sull’ambiente durante l’intero ciclo di vita del prodotto medesimo;

b) la previsione di clausole di gare d’appalto che valorizzino le capacità e le competenze tecniche in materia di prevenzione della produzione di rifiuti;

c) la promozione di accordi e contratti di programma o protocolli d’intesa anche sperimentali finalizzati, con effetti migliorativi, alla prevenzione ed alla riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti;

d) l’attuazione del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, e degli altri decreti di recepimento della direttiva 96/61/CE in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.

ART. 181
(recupero dei rifiuti)

1. Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le pubbliche amministrazioni favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti attraverso:

a) il riutilizzo, il reimpiego ed il riciclaggio;

b) le altre forme di recupero per ottenere materia prima secondaria dai rifiuti;

c) l’adozione di misure economiche e la previsione di condizioni di appalto che prescrivano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato di tali materiali;

d) l’utilizzazione dei rifiuti come mezzo per produrre energia.

2. Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di reimpiego e di riciclaggio e l’adozione delle altre forme di recupero dei rifiuti, le pubbliche amministrazioni ed i produttori promuovono analisi dei cicli di vita dei prodotti, ecobilanci, campagne di informazione e tutte le altre iniziative utili.

3. Alle imprese che intendono modificare i propri cicli produttivi al fine di ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti prodotti ovvero di favorire il recupero di materiali sono concesse in via prioritaria le agevolazioni gravanti sul Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica, previste dagli articoli 14 e seguenti della legge 17 febbraio 1982, n. 46. Le modalità, i tempi e le procedure per la concessione e l’erogazione delle agevolazioni predette sono stabilite con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio, dell’economia e delle finanze e della salute.

4. Le pubbliche amministrazioni promuovono e stipulano accordi e contratti di programma con i soggetti economici interessati o con le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, al fine di favorire il riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti, nonche’ l’utilizzo di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. Nel rispetto dei principi e dei criteri previsti dalle norme comunitarie e delle norme nazionali di recepimento, detti accordi e contratti di programma attuano le disposizioni previste dalla parte quarta del presente decreto, oltre a stabilire semplificazioni in materia di adempimenti amministrativi nel rispetto delle norme comunitarie e con l’eventuale ricorso a strumenti economici.

5. Gli accordi e i contratti di programma di cui al comma 4 sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale e sono aperti all’adesione dei soggetti interessati, in conformità alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle regioni, Com (2002) 412 definitivo del 17 luglio 2002, in base alla quale la Commissione potrà anche utilizzarli nell’ambito della autoregolamentazione, intesa come incoraggiamento o riconoscimento degli accordi medesimi, o coregolamentazione, intesa come proposizione al legislatore di utilizzare gli accordi, quando opportuno.

6. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materia prima secondaria, combustibili o prodotti devono garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale 5 febbraio 1998 ed al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161. Le predette caratteristiche possono essere altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del presente decreto.

7. Nel rispetto di quanto previsto ai commi 4, 5 e 6 del presente articolo, i soggetti economici interessati o le associazioni di categoria rappresentative dei settori interessati, anche con riferimento ad interi settori economici e produttivi, possono stipulare con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e sentito il parere del Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA), appositi accordi di programma ai sensi del comma 4 e dell’articolo 206 per definire i metodi di recupero dei rifiuti destinati all’ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti. Gli accordi fissano le modalità e gli adempimenti amministrativi per la raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, con particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere di commercio, e per i controlli delle caratteristiche e i relativi meto di di prova; i medesimi accordi fissano altresì le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti ottenuti, nonche’ le modalità per assicurare in ogni caso la loro tracciabilità fino all’ingresso nell’impianto di effettivo impiego.

8. La proposta di accordo di programma, con indicazione anche delle modalità usate per il trasporto e per l’impiego delle materie prime secondarie, o la domanda di adesione ad un accordo già in vigore deve essere presentata al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che si avvale per l’istruttoria del Comitato nazionale dell’Albo di cui all’articolo 212 e dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), che si avvale delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA). Sulla proposta di accordo e’ acquisito altresì il parere dell’Autorità di cui all’articolo 207.

9. Gli accordi di cui al comma 7 devono contenere inoltre, per ciascun tipo di attività, le norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l’attività di recupero dei rifiuti e’ dispensata dall’autorizzazione, nel rispetto delle condizioni fissate dall’articolo 178, comma 2.

10. I soggetti firmatari degli accordi previsti dal presente articolo sono iscritti presso un’apposita sezione da costituire presso l’Albo di cui all’articolo 212, a seguito di semplice richiesta scritta, e senza essere sottoposti alle garanzie finanziarie di cui ai commi 7 e 9 del citato articolo 212.

11. Gli accordi di programma di cui al comma 7 sono approvati, ai fini della loro efficacia, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro della salute, e sono successivamente pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. Tali accordi sono aperti all’adesione di tutti i soggetti interessati.

12. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perche’ le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l’obbligo, di disfarsene.

13. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti individuati ai sensi del presente articolo, a meno che il detentore se ne disfi o abbia deciso, o abbia l’obbligo, di disfarsene.

14. I soggetti che trasportano o utilizzano materie prime secondarie, combustibili o prodotti, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo, non sono sottoposti alla normativa sui rifiuti, a meno che se ne disfino o abbiano deciso, o abbiano l’obbligo, di disfarsene.

ART. 182
(smaltimento dei rifiuti)

1. Lo smaltimento dei rifiuti e’ effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, previa verifica, da parte della competente autorità, della impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero di cui all’articolo 181. A tal fine, la predetta verifica concerne la disponibilità di tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purche’ vi si possa accedere a condizioni ragionevoli.

2. I rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti sia in massa che in volume, potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero.

3. Lo smaltimento dei rifiuti e’ attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, attraverso le migliori tecniche disponibili e tenuto conto del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di:

a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali ottimali;

b) permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti;

c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica.

4. Nel rispetto delle prescrizioni contenute nel decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, la realizzazione e la gestione di nuovi impianti possono essere autorizzate solo se il relativo processo di combustione e’ accompagnato da recupero energetico con una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile, calcolata su base annuale, stabilita con apposite norme tecniche approvate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, tenendo conto di eventuali norme tecniche di settore esistenti, anche a livello comunitario.

5. E’ vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico-economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano. Sono esclusi dal divieto le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinate al recupero per le quali e’ sempre permessa la libera circolazione sul territorio nazionale al fine di favorire quanto più possibile il loro recupero, privilegiando il concetto di prossimità agli impianti di recupero.

6. Lo smaltimento dei rifiuti in fognatura e’ disciplinato dall’articolo 107, comma 3.

7. Le attività di smaltimento in discarica dei rifiuti sono disciplinate secondo le disposizioni del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, di attuazione della direttiva 1999/31/CE.

8. E’ ammesso lo smaltimento della frazione biodegradabile ottenuta da trattamento di separazione fisica della frazione residua dei rifiuti solidi urbani nell’ambito degli impianti di depurazione delle acque reflue previa verifica tecnica degli impianti da parte dell’ente gestore.

ART. 183
(definizioni)

1. Ai fini della parte quarta del presente decreto e fatte salve le ulteriori definizioni contenute nelle disposizioni speciali, si intende per:

a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’Allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi;

b) produttore: la persona la cui attività ha prodotto rifiuti cioe’ il produttore iniziale e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento, di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione di detti rifiuti;

c) detentore: il produttore dei rifiuti o il soggetto che li detiene;

d) gestione: la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonche’ il controllo delle discariche dopo la chiusura;

e) raccolta: l’operazione di prelievo, di cernita o di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto;

f) raccolta differenziata: la raccolta idonea, secondo criteri di economicità, efficacia, trasparenza ed efficienza, a raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee, al momento della raccolta o, per la frazione organica umida, anche al momento del trattamento, nonche’ a raggruppare i rifiuti di imballaggio separatamente dagli altri rifiuti urbani, a condizione che tutti i rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati al recupero;

g) smaltimento: ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta e, in particolare, le operazioni previste nell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto;

h) recupero: le operazioni che utilizzano rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita o la selezione, e, in particolare, le operazioni previste nell’Allegato C alla parte quarta del presente decreto;

i) luogo di produzione dei rifiuti: uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali sono originati i rifiuti;

l) stoccaggio: le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonche’ le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell’Allegato C alla medesima parte quarta;

m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni:

1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 parti per milione (ppm), ne’ policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione (ppm);

2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo le seguenti modalità alternative, a scelta del produttore:

oppure

2.1) con cadenza almeno bimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;

oppure

2.2) quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunga i 10 metri cubi. In ogni caso, allorche’ il quantitativo di rifiuti non superi i 10 metri cubi l’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

oppure

2.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno, indipendentemente dalle quantità;

3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo le seguenti modalità alternative, a scelta del produttore:

3.1) con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;

oppure

3.2) quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunga i 20 metri cubi. In ogni caso, allorche’ il quantitativo di rifiuti non superi i 20 metri cubi l’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

oppure

3.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di un anno, indipendentemente dalle quantità;

4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonche’, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti pericolosi;

n) sottoprodotto: i prodotti dell’attività dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo. Non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto i sottoprodotti di cui l’impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall’impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per il consumo o per l’impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; a quest’ultimo fine, per trasformazione preliminare s’intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in u n processo produttivo o per il consumo. L’utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale. Rientrano altresì tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto le ceneri di pirite, polveri di ossido di ferro, provenienti dal processo di arrostimento del minerale noto come pirite o solfuro di ferro per la produzione di acido solforico e ossido di ferro, depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino ambientale. Al fine di garantire un impiego certo del sottoprodotto, deve essere verificata la rispondenza agli standard merceologici, nonche’ alle norme tecniche, di sicurezza e di settore e deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell’impianto dove avviene l’effettivo utilizzo. L’utilizzo del sottoprodotto non deve comportare per l’ambiente o la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle delle normali attività produttive;

o) frazione umida: rifiuto organico putrescibile ad alto tenore di umidità, proveniente da raccolta differenziata o selezione o trattamento dei rifiuti urbani;

p) frazione secca: rifiuto a bassa putrescibilità e a basso tenore di umidità proveniente da raccolta differenziata o selezione o trattamento dei rifiuti urbani, avente un rilevante contenuto energetico;

q) materia prima secondaria: sostanza o materia avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell’articolo 181;

r) combustibile da rifiuti (CDR): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità normale, che e’ recuperato dai rifiuti urbani e speciali non pericolosi mediante trattamenti finalizzati a garantire un potere calorifico adeguato al suo utilizzo, nonche’ a ridurre e controllare:

1) il rischio ambientale e sanitario;

2) la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile e il contenuto di umidità;

3) la presenza di sostanze pericolose, in particolare ai fini della combustione;

s) combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q): il combustibile classificabile, sulla base delle norme tecniche UNI 9903-1 e successive modifiche ed integrazioni, come RDF di qualità elevata, cui si applica l’articolo 229;

t) compost da rifiuti: prodotto ottenuto dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani nel rispetto di apposite norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale e sanitaria e, in particolare, a definirne i gradi di qualità;

u) materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche la cui utilizzazione e’ certa e non eventuale:

1) rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero completo e rispondenti a specifiche Ceca, Aisi, Caef, Uni, Euro o ad altre specifiche nazionali e internazionali, individuate entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, non avente natura regolamentare;

2) i rottami o scarti di lavorazioni industriali o artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate nelle specifiche di cui al numero 1). I fornitori e produttori di materia prima secondaria per attività siderurgiche appartenenti a Paesi esteri presentano domanda di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali, ai sensi dell’articolo 212, comma 12, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al numero 1);

v) gestore del servizio di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti: l’impresa che effettua il servizio di gestione dei rifiuti, prodotti anche da terzi, e di bonifica dei siti inquinati ricorrendo, coordinandole, anche ad altre imprese, in possesso dei requisiti di legge, per lo svolgimento di singole parti del servizio medesimo. L’impresa che intende svolgere l’attività di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti deve essere iscritta nelle categorie di intermediazione dei rifiuti e bonifica dei siti dell’Albo di cui all’articolo 212 nonche’ nella categoria delle opere generali di bonifica e protezione ambientale stabilite dall’Allegato A annesso al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34;

z) emissioni: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico;

aa) scarichi idrici: qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione;

bb) inquinamento atmosferico: ogni modifica atmosferica dovuta all’introduzione nell’aria di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente;

cc) gestione integrata dei rifiuti: il complesso delle attività volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti, ivi compresa l’attività di spazzamento delle strade, come definita alla lettera d);

dd) spazzamento delle strade: modalità di raccolta dei rifiuti su strada.

ART. 184
(classificazione)

1. Ai fini dell’attuazione della parte quarta del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

2. Sono rifiuti urbani:

a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;

b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g);

c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;

d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;

e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;

f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonche’ gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).

3. Sono rifiuti speciali:

a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;

b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonche’ i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall’articolo 186;

c) i rifiuti da lavorazioni industriali, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 185, comma 1, lettera i);

d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;

e) i rifiuti da attività commerciali;

f) i rifiuti da attività di servizio;

g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;

h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie;

i) i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;

l) i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti;

m) il combustibile derivato da rifiuti;

n) i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani.

4. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive si provvede ad istituire l’elenco dei rifiuti, conformemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), della direttiva 75/442/CE ed all’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CE, di cui alla Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla direttiva del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio del 9 aprile 2002, pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 108 del 10 maggio 2002 e riportata nell’Allegato D alla parte quarta del presente decreto.

5. Sono pericolosi i rifiuti non domestici indicati espressamente come tali, con apposito asterisco, nell’elenco di cui all’Allegato D alla parte quarta del presente decreto, sulla base degli Allegati G, H e I alla medesima parte quarta.

ART. 185
(limiti al campo di applicazione)

1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell’atmosfera di cui all’articolo 183, comma 1, lettera z);

b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue;

c) i rifiuti radioattivi;

d) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;

e) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza;

f) le eccedenze derivanti dalle preparazioni nelle cucine di qualsiasi tipo di cibi solidi, cotti e crudi, non entrati nel circuito distributivo di somministrazione, destinati alle strutture di ricovero di animali di affezione di cui alla legge 14 agosto 1991, n. 281, nel rispetto della vigente normativa;

g) i materiali esplosivi in disuso;

h) i materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto, in misura superiore ai limiti stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i limiti di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471;

i) il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo;

l) materiale litoide estratto da corsi d’acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità competenti;

m) i sistemi d’arma, i mezzi, i materiali e le infrastrutture direttamente destinati alla difesa militare ed alla sicurezza nazionale individuati con decreto del Ministro della difesa, nonche’ la gestione dei materiali e dei rifiuti e la bonifica dei siti ove vengono immagazzinati i citati materiali, che rimangono disciplinati dalle speciali norme di settore nel rispetto dei principi di tutela dell’ambiente previsti dalla parte quarta del presente decreto. I magazzini, i depositi e i siti di stoccaggio nei quali vengono custoditi i medesimi materiali e rifiuti costituiscono opere destinate alla difesa militare non soggette alle autorizzazioni e nulla osta previsti dalla parte quarta del presente decreto;

n) i materiali e le infrastrutture non ricompresi nel decreto ministeriale di cui alla lettera m), finche’ non e’ emanato il provvedimento di dichiarazione di rifiuto ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1976, n. 1076, recante il regolamento per l’amministrazione e la contabilità degli organismi dell’esercito, della marina e dell’areonautica.

2. Resta ferma la disciplina di cui al regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002, recante norme sanitarie relative a sottoprodotti di origine animale non destinate al consumo umano, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell’ambito del campo di applicazione ivi indicato.

ART. 186
(terre e rocce da scavo)

1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero, qualora il progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente, ove ciò sia espressamente previsto, previo parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente, sempreche’ la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limi ti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3.

2. Ai fini del presente articolo, le opere il cui progetto e’ sottoposto a valutazione di impatto ambientale costituiscono unico ciclo produttivo, anche qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti utilizzi, a condizione che tali utilizzi siano tutti progettualmente previsti.

3. Il rispetto dei limiti di cui al comma 1 può essere verificato, in alternativa agli accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui siti di deposito, in caso di impossibilità di immediato utilizzo. I limiti massimi accettabili nonche’ le modalità di analisi dei materiali ai fini della loro caratterizzazione, da eseguire secondo i criteri di cui all’Allegato 2 del titolo V della parte quarta del presente decreto, sono determinati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, salvo limiti inferiori previsti da disposizioni speciali. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi i valori di concentrazione limite accettabili di cui all’Allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471.

4. Il rispetto dei limiti massimi di concentrazione di inquinanti di cui al comma 3 deve essere verificato mediante attività di caratterizzazione dei materiali di cui al comma 1, da ripetersi ogni qual volta si verifichino variazioni del processo di produzione che origina tali materiali.

5. Per i materiali di cui al comma 1 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione progettualmente prevista a differenti cicli di produzione industriale, nonche’ il riempimento delle cave coltivate, oppure la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente, qualora ciò sia espressamente previsto, previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale, parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 3 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità progettuali di rimodellazione ambientale del territorio interessato.

6. Qualora i materiali di cui al comma 1 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l’effettuazione di controlli periodici, l’effettiva destinazione all’uso autorizzato dei materiali; a tal fine l’utilizzatore e’ tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione.

7. Ai fini del parere delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente, di cui ai commi 1 e 5, per i progetti non sottoposti a valutazione di impatto ambientale, alla richiesta di riutilizzo ai sensi dei commi da 1 a 6 e’ allegata una dichiarazione del soggetto che esegue i lavori ovvero del committente, resa ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella quale si attesta che nell’esecuzione dei lavori non sono state utilizzate sostanze inquinanti, che il riutilizzo avviene senza trasformazioni preliminari, che il riutilizzo avviene per una delle opere di cui ai commi 1 e 5 del presente articolo, come autorizzata dall’autorità competente, ove ciò sia espressamente previsto, e che nel materiale da scavo la concentrazione di inquinanti non e’ superiore ai limiti vigenti con riferimento anche al sito di destinazione.

8. Nel caso in cui non sia possibile l’immediato riutilizzo del materiale di scavo, dovrà anche essere indicato il sito di deposito del materiale, il quantitativo, la tipologia del materiale ed all’atto del riutilizzo la richiesta dovrà essere integrata con quanto previsto ai commi 6 e 7. Il riutilizzo dovrà avvenire entro sei mesi dall’avvenuto deposito, salvo proroga su istanza motivata dell’interessato.

9. Il parere di cui al comma 5 deve essere reso nel termine perentorio di trenta giorni, decorsi i quali provvede in via sostitutiva la regione su istanza dell’interessato.

10. Non sono in ogni caso assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti derivanti dalle lavorazioni di minerali e di materiali da cava.

ART. 187
(divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi)

1. E’ vietato miscelare categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all’Allegato G alla parte quarta del presente decreto ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi.

2. In deroga al divieto di cui al comma 1, la miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209, 210 e 211 qualora siano rispettate le condizioni di cui all’articolo 178, comma 2, e al fine di rendere più sicuro il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.

3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni specifiche ed in particolare di quelle di cui all’articolo 256, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 e’ tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e per soddisfare le condizioni di cui all’articolo 178, comma 2.

ART. 188
(oneri dei produttori e dei detentori)

1. Gli oneri relativi alle attività di smaltimento sono a carico del detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore autorizzato o ad un soggetto che effettua le operazioni di smaltimento, nonche’ dei precedenti detentori o del produttore dei rifiuti.

2. Il produttore o detentore dei rifiuti speciali assolve i propri obblighi con le seguenti priorità:

a) autosmaltimento dei rifiuti;

b) conferimento dei rifiuti a terzi autorizzati ai sensi delle disposizioni vigenti;

c) conferimento dei rifiuti ai soggetti che gestiscono il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, con i quali sia stata stipulata apposita convenzione;

d) utilizzazione del trasporto ferroviario di rifiuti pericolosi per distanze superiori a trecentocinquanta chilometri e quantità eccedenti le venticinque tonnellate;

e) esportazione dei rifiuti con le modalità previste dall’articolo 194.

3. La responsabilità del detentore per il corretto recupero o smaltimento dei rifiuti e’ esclusa:

a) in caso di conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;

b) in caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all’articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario. Per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti tale termine e’ elevato a sei mesi e la comunicazione e’ effettuata alla regione.

4. Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare, indicate rispettivamente ai punti D 13, D 14, D 15 dell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento e’ esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di trasporto di cui al comma 3, lettera b), abbiano ricevuto il certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che effettua le operazioni di cui ai punti da D 1 a D 12 del citato Allegato B. Le relative modalità di attuazione sono definite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che dovrà anche determinare le responsabilità da attribuire all’intermediario dei rifiuti.

ART. 189
(catasto dei rifiuti)

1. Il Catasto dei rifiuti, istituito dall’articolo 3 del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e’ articolato in una Sezione nazionale, che ha sede in Roma presso l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e in Sezioni regionali o delle province autonome di Trento e di Bolzano presso le corrispondenti Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente e, ove tali Agenzie non siano ancora costituite, presso la regione. Le norme di organizzazione del Catasto sono emanate ed aggiornate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 4 agosto 1998, n. 372. Dall’attuazione del presente articolo non devono der ivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

2. Il Catasto assicura un quadro conoscitivo completo e costantemente aggiornato, anche ai fini della pianificazione delle attività di gestione dei rifiuti, dei dati raccolti ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, utilizzando la nomenclatura prevista nel Catalogo europeo dei rifiuti, di cui alla decisione 20 dicembre 1993, 94/3/CE.

3. Chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione, ovvero svolge le operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti, nonche’ le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi ed i consorzi istituiti con le finalità di recuperare particolari tipologie di rifiuto comunicano annualmente alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti, con le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle predette attività. Sono esonerati da tale obbligo gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile con un volume di affari annuo non superiore a euro ottomila.

4. Nel caso in cui i produttori di rifiuti pericolosi conferiscano i medesimi al servizio pubblico di raccolta competente per territorio e previa apposita convenzione, la comunicazione e’ effettuata dal gestore del servizio limitatamente alla quantità conferita.

5. I soggetti istituzionali responsabili del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati comunicano annualmente, secondo le modalità previste dalla legge 25 gennaio 1994 n. 70, le seguenti informazioni relative all’anno precedente:

a) la quantità dei rifiuti urbani raccolti nel proprio territorio;

b) la quantità dei rifiuti speciali raccolti nel proprio territorio a seguito di apposita convenzione con soggetti pubblici o privati;

c) i soggetti che hanno provveduto alla gestione dei rifiuti, specificando le operazioni svolte, le tipologie e la quantità dei rifiuti gestiti da ciascuno;

d) i costi di gestione e di ammortamento tecnico e finanziario degli investimenti per le attività di gestione dei rifiuti, nonche’ i proventi della tariffa di cui all’articolo 238 ed i proventi provenienti dai consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti;

e) i dati relativi alla raccolta differenziata;

f) le quantità raccolte, suddivise per materiali, in attuazione degli accordi con i consorzi finalizzati al recupero dei rifiuti.

6. Le Sezioni regionali e provinciali e delle province autonome del Catasto, sulla base dei dati trasmessi dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, provvedono all’elaborazione dei dati ed alla successiva trasmissione alla Sezione nazionale entro trenta giorni dal ricevimento, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della legge 25 gennaio 1994, n. 70, delle informazioni di cui ai commi 3 e 4. L’ Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) elabora i dati, evidenziando le tipologie e le quantità dei rifiuti prodotti, raccolti, trasportati, recuperati e smaltiti, nonche’ gli impianti di smaltimento e di recupero in esercizio e ne assicura la pubblicità.

7. Per le comunicazioni relative ai rifiuti di imballaggio si applica quanto previsto dall’articolo 220, comma 2.

ART. 190
(registri di carico e scarico)

1. I soggetti di cui all’articolo 189, comma 3 hanno l’obbligo di tenere un registro di carico e scarico su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti, da utilizzare ai fini della comunicazione annuale al Catasto. I soggetti che producono rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g), hanno l’obbligo di tenere un registro di carico e scarico su cui devono annotare le informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti. Le annotazioni devono essere effettuate:

a) per i produttori, almeno entro dieci giorni lavorativi dalla produzione del rifiuto e dallo scarico del medesimo;

b) per i soggetti che effettuano la raccolta e il trasporto, almeno entro dieci giorni lavorativi dalla effettuazione del trasporto;

c) per i commercianti, gli intermediari e i consorzi, almeno entro dieci giorni lavorativi dalla effettuazione della transazione relativa;

d) per i soggetti che effettuano le operazioni di recupero e di smaltimento, entro due giorni lavorativi dalla presa in carico dei rifiuti.

2. Il registro tenuto dagli stabilimenti e dalle imprese che svolgono attività di smaltimento e di recupero di rifiuti deve, inoltre, contenere:

a) l’origine, la quantità, le caratteristiche e la destinazione specifica dei rifiuti;

b) la data del carico e dello scarico dei rifiuti ed il mezzo di trasporto utilizzato;

c) il metodo di trattamento impiegato.

3. I registri sono tenuti presso ogni impianto di produzione, di stoccaggio, di recupero e di smaltimento di rifiuti, nonche’ presso la sede delle imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto, nonche’ presso la sede dei commercianti e degli intermediari. I registri integrati con i formulari di cui all’articolo 193 relativi al trasporto dei rifiuti sono conservati per cinque anni dalla data dell’ultima registrazione, ad eccezione dei registri relativi alle operazioni di smaltimento dei rifiuti in discarica, che devono essere conservati a tempo indeterminato ed al termine dell’attività devono essere consegnati all’autorità che ha rilasciato l’autorizzazione.

4. I soggetti la cui produzione annua di rifiuti non eccede le dieci tonnellate di rifiuti non pericolosi e le due tonnellate di rifiuti pericolosi possono adempiere all’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti anche tramite le organizzazioni di categoria interessate o loro società di servizi che provvedono ad annotare i dati previsti con cadenza mensile, mantenendo presso la sede dell’impresa copia dei dati trasmessi.

5. Le informazioni contenute nel registro sono rese disponibili in qualunque momento all’autorità di controllo che ne faccia richiesta.

6. I registri sono numerati, vidimati e gestiti con le procedure e le modalità fissate dalla normativa sui registri IVA. Gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4, regolarmente numerata.

7. La disciplina di carattere nazionale relativa al presente articolo e’ definita con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 148, come modificato dal comma 9, e di cui alla circolare del Ministro dell’ambiente del 4 agosto 1998.

8. Sono esonerati dall’obbligo di cui al comma 1 le organizzazioni di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a) e c), 223, 224, 228, 233, 234, 235 e 236, a condizione che dispongano di evidenze documentali o contabili con analoghe funzioni e fermi restando gli adempimenti documentali e contabili previsti a carico dei predetti soggetti dalle vigenti normative.

9. Nell’Allegato 6.C1, sezione III, lettera c), del decreto del Ministro dll’ambiente 1° aprile 1998, n. 148, dopo le parole: “in litri” la congiunzione: “e” e’ sostituita dalla disgiunzione: “o”.

ART. 191
(ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi)

1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui all’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell’ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all’autorità d’ambito di cui all’articolo 201 entro tre giorni dall’emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi.

2. Entro centoventi giorni dall’adozione delle ordinanze di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale promuove ed adotta le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. In caso di inutile decorso del termine e di accertata inattività, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio diffida il Presidente della Giunta regionale a provvedere entro un congruo termine e, in caso di protrazione dell’inerzia, può adottare in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini.

3. Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che si esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali.

4. Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d’intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini.

5. Le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio alla Commissione dell’Unione europea.

ART. 192
(divieto di abbandono)

1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.

2. à altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.

3. Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 e’ tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.

4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.

ART. 193
(trasporto dei rifiuti)

1. Durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati:

a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;

b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;

c) impianto di destinazione;

d) data e percorso dell’istradamento;

e) nome ed indirizzo del destinatario.

2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore o dal detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.

3. Durante la raccolta ed il trasporto i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformità alle norme vigenti in materia.

4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico ne’ ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi o di trenta litri.

5. La disciplina di carattere nazionale relativa al presente articolo e’ definita con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145.

6. La definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione e le modalità di numerazione, di vidimazione e di gestione dei formulari di identificazione, nonche’ la disciplina delle specifiche responsabilità del produttore o detentore, del trasportatore e del destinatario sono fissati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio tenendo conto delle specifiche modalità delle singole tipologie di trasporto, con particolare riferimento ai trasporti intermodali, ai trasporti per ferrovia e alla microraccolta. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le seguenti disposizioni:

a) relativamente alla definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione, si applica il decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145;

b) relativamente alla numerazione e vidimazione, i formulari di identificazione devono essere numerati e vidimati dagli uffici dell’Agenzia delle entrate o dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura o dagli uffici regionali e provinciali competenti in materia di rifiuti e devono essere annotati sul registro IVA acquisti. La vidimazione dei predetti formulari di identificazione e’ gratuita e non e’ soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria.

7. Il formulario di cui al presente articolo e’ validamente sostituito, per i rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla normativa comunitaria di cui all’articolo 194, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio nazionale.

8. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle fattispecie disciplinate dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, relativo ai fanghi in agricoltura, compatibilmente con la disciplina di cui al regolamento (CEE) n. 259/1993 del 1° febbraio 1993.

9. La movimentazione dei rifiuti esclusivamente all’interno di aree private non e’ considerata trasporto ai fini della parte quarta del presente decreto.

10. Il documento commerciale, di cui all’articolo 7 del regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, per gli operatori soggetti all’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico di cui all’articolo 190, sostituisce a tutti gli effetti il formulario di identificazione di cui al comma 1.

11. La microraccolta dei rifiuti, intesa come la raccolta di rifiuti da parte di un unico raccoglitore o trasportatore presso più produttori o detentori svolta con lo stesso automezzo, dev’essere effettuata nel più breve tempo tecnicamente possibile. Nei formulari di identificazione dei rifiuti devono essere indicate, nello spazio relativo al percorso, tutte le tappe intermedie previste. Nel caso in cui il percorso dovesse subire delle variazioni, nello spazio relativo alle annotazioni dev’essere indicato a cura del trasportatore il percorso realmente effettuato.

12. La sosta durante il trasporto dei rifiuti caricati per la spedizione all’interno dei porti e degli scali ferroviari, delle stazioni di partenza, di smistamento e di arrivo, gli stazionamenti dei veicoli in configurazione di trasporto, nonche’ le soste tecniche per le operazioni di trasbordo non rientrano nelle attività di stoccaggio di cui all’articolo 183, comma 1, lettera l), purche’ le stesse siano dettate da esigenze di trasporto e non superino le quarantotto ore, escludendo dal computo i giorni interdetti alla circolazione.

13. Il formulario di identificazione dei rifiuti di cui al comma 1 sostituisce a tutti gli effetti il modello F di cui al decreto ministeriale 16 maggio 1996, n. 392.

ART. 194
(spedizioni transfrontaliere)

1. Le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti sono disciplinate dai regolamenti comunitari che regolano la materia, dagli accordi bilaterali di cui all’articolo 19 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, e dal decreto di cui al comma 3.

2. Sono fatti salvi, ai sensi dell’articolo 19 del predetto regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, gli accordi in vigore tra lo Stato della Città del Vaticano, la Repubblica di San Marino e la Repubblica italiana. Alle importazioni di rifiuti solidi urbani e assimilati provenienti dallo Stato della città del Vaticano e dalla Repubblica di San Marino non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 20 del predetto regolamento.

3. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute, dell’economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti, nel rispetto delle norme del regolamento (CEE) n. 259 del 1° febbraio 1993 sono disciplinati:

a) i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni dei rifiuti, di cui all’articolo 27 del predetto regolamento; tali garanzie sono ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (Emas), e del quaranta per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001;

b) le spese amministrative poste a carico dei notificatori ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, del regolamento;

c) le specifiche modalità per il trasporto dei rifiuti negli Stati di cui al comma 2;

d) le modalità di verifica dell’applicazione del principio di prossimità per i rifiuti destinati a smaltimento.

4. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto interministeriale 3 settembre 1998, n. 370.

5. Ai sensi e per gli effetti del regolamento (CEE) n. 259 del 1° febbraio 1993:

a) le autorità competenti di spedizione e di destinazione sono le regioni e le province autonome;

b) l’autorità di transito e’ il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio;

c) corrispondente e’ il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

6. Le regioni e le province autonome comunicano le informazioni di cui all’articolo 38 del regolamento (CEE) n. 259 del 1° febbraio 1993 al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio per il successivo inoltro alla Commissione dell’Unione europea, nonche’, entro il 30 settembre di ogni anno, i dati, riferiti all’anno precedente, previsti dall’articolo 13, comma 3, della Convenzione di Basilea, ratificata con legge 18 agosto 1993, n. 340.

7. Ai rottami ferrosi e non ferrosi di cui all’articolo 183, comma 1, lettera u), si applicano le disposizioni di cui all’articolo 212, comma 12.

CAPO II

COMPETENZE

ART. 195
(competenze dello Stato)

1. Ferme restando le ulteriori competenze statali previste da speciali disposizioni, anche contenute nella parte quarta del presente decreto, spettano allo Stato:

a) le funzioni di indirizzo e coordinamento necessarie all’attuazione della parte quarta del presente decreto, da esercitare ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, nei limiti di quanto stabilito dall’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131;

b) la definizione dei criteri generali e delle metodologie per la gestione integrata dei rifiuti, nonche’ l’individuazione dei fabbisogni per lo smaltimento dei rifiuti sanitari, anche al fine di ridurne la movimentazione;

c) l’individuazione delle iniziative e delle misure per prevenire e limitare, anche mediante il ricorso a forme di deposito cauzionale sui beni immessi al consumo, la produzione dei rifiuti, nonche’ per ridurne la pericolosità;

d) l’individuazione dei flussi omogenei di produzione dei rifiuti con più elevato impatto ambientale, che presentano le maggiori difficoltà di smaltimento o particolari possibilità di recupero sia per le sostanze impiegate nei prodotti base sia per la quantità complessiva dei rifiuti medesimi;

e) l’adozione di criteri generali per la redazione di piani di settore per la riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione dei flussi di rifiuti;

f) l’individuazione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese; l’individuazione e’ operata, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma, adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, e inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria, con indicazione degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione. Nell’individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici di cui al presente comma il Governo procede secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale. Il Governo indica nel disegno di legge finanziaria ai sensi dell’articolo 11, comma 3, lettera i-ter), della legge 5 agosto 1978, n. 468, le risorse necessarie, anche ai fini del l’erogazione dei contributi compensativi a favore degli enti locali, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili;

g) la definizione, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, di un piano nazionale di comunicazione e di conoscenza ambientale. La definizione e’ operata, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un Programma, formulato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, inserito nel Documento di programmazione economico-finanziaria, con indicazione degli stanziamenti necessari per la realizzazione;

h) l’indicazione delle tipologie delle misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del riciclaggio dei rifiuti;

i) l’individuazione delle iniziative e delle azioni, anche economiche, per favorire il riciclaggio e il recupero di materia prima secondaria dai rifiuti, nonche’ per promuovere il mercato dei materiali recuperati dai rifiuti ed il loro impiego da parte delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti economici, anche ai sensi dell’articolo 52, comma 56, lettera a), della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 8 maggio 2003, n. 203;

l) l’individuazione di obiettivi di qualità dei servizi di gestione dei rifiuti;

m) la determinazione di criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini della elaborazione dei piani regionali di cui all’articolo 199 con particolare riferimento alla determinazione, d’intesa con la Conferenza Stato regioni, delle linee guida per la individuazione degli Ambiti territoriali ottimali, da costituirsi ai sensi dell’articolo 200, e per il coordinamento dei piani stessi;

n) la determinazione, relativamente all’assegnazione della concessione del servizio per la gestione integrata dei rifiuti, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida per la definizione delle gare d’appalto, ed in particolare dei requisiti di ammissione delle imprese, e dei relativi capitolati, anche con riferimento agli elementi economici relativi agli impianti esistenti;

o) la determinazione, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida inerenti le forme ed i modi della cooperazione fra gli enti locali, anche con riferimento alla riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti nel medesimo ambito territoriale ottimale, secondo criteri di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità;

p) l’indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti;

q) l’indicazione dei criteri generali per l’organizzazione e l’attuazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani;

r) la determinazione, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, delle linee guida, dei criteri generali e degli standard di bonifica dei siti inquinati, nonche’ la determinazione dei criteri per individuare gli interventi di bonifica che, in relazione al rilievo dell’impatto sull’ambiente connesso all’estensione dell’area interessata, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, rivestono interesse nazionale;

s) la determinazione delle metodologie di calcolo e la definizione di materiale riciclato per l’attuazione dell’articolo 196, comma 1, lettera p);

t) l’adeguamento della parte quarta del presente decreto alle direttive, alle decisioni ed ai regolamenti dell’Unione europea.

2. Sono inoltre di competenza dello Stato:

a) l’indicazione dei criteri e delle modalità di adozione, secondo principi di unitarietà, compiutezza e coordinamento, delle norme tecniche per la gestione dei rifiuti, dei rifiuti pericolosi e di specifiche tipologie di rifiuti, con riferimento anche ai relativi sistemi di accreditamento e di certificazione ai sensi dell’articolo 178, comma 5;

b) l’adozione delle norme e delle condizioni per l’applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli 214, 215 e 216, ivi comprese le linee guida contenenti la specificazione della relazione da allegare alla comunicazione prevista da tali articoli;

c) la determinazione dei limiti di accettabilità e delle caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche di talune sostanze contenute nei rifiuti in relazione a specifiche utilizzazioni degli stessi;

d) la determinazione e la disciplina delle attività di recupero dei prodotti di amianto e dei beni e dei prodotti contenenti amianto, mediante decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle attività produttive;

e) la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, derivanti da enti e imprese esercitate su aree con superficie non superiore ai 150 metri quadri nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, o superficie non superiore a 250 metri quadri nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti. Non possono essere di norma assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico;

f) l’adozione di un modello uniforme del certificato di avvenuto smaltimento rilasciato dal titolare dell’impianto che dovrà indicare per ogni carico e/o conferimento la quota smaltita in relazione alla capacità autorizzata annuale dello stesso impianto;

g) la definizione dei metodi, delle procedure e degli standard per il campionamento e l’analisi dei rifiuti;

h) la determinazione dei requisiti e delle capacità tecniche e finanziarie per l’esercizio delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresi i criteri generali per la determinazione delle garanzie finanziarie a favore delle regioni, con particolare riferimento a quelle dei soggetti sottoposti all’iscrizione all’Albo di cui all’articolo 212, secondo la modalità di cui al comma 9 dello stesso articolo;

i) la riorganizzazione e la tenuta del Catasto nazionale dei rifiuti;

l) la definizione del modello e dei contenuti del formulario di cui all’articolo 193 e la regolamentazione del trasporto dei rifiuti, ivi inclusa l’individuazione delle tipologie di rifiuti che per comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche devono essere trasportati con modalità ferroviaria;

m) l’individuazione delle tipologie di rifiuti che per comprovate ragioni tecniche, ambientali ed economiche possono essere smaltiti direttamente in discarica;

n) l’adozione di un modello uniforme del registro di cui all’articolo 190 e la definizione delle modalità di tenuta dello stesso, nonche’ l’individuazione degli eventuali documenti sostitutivi del registro stesso;

o) l’individuazione dei rifiuti elettrici ed elettronici, di cui all’articolo 227, comma 1, lettera a);

p) l’aggiornamento degli Allegati alla parte quarta del presente decreto;

q) l’adozione delle norme tecniche, delle modalità e delle condizioni di utilizzo del prodotto ottenuto mediante compostaggio, con particolare riferimento all’utilizzo agronomico come fertilizzante, ai sensi della legge 19 ottobre 1984, n. 748, e del prodotto di qualità ottenuto mediante compostaggio da rifiuti organici selezionati alla fonte con raccolta differenziata;

r) l’autorizzazione allo smaltimento di rifiuti nelle acque marine, in conformità alle disposizioni stabilite dalle norme comunitarie e dalle convenzioni internazionali vigenti in materia, rilasciata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio su proposta dell’autorità marittima nella cui zona di competenza si trova il porto più vicino al luogo dove deve essere effettuato lo smaltimento ovvero si trova il porto da cui parte la nave con il carico di rifiuti da smaltire;

s) l’individuazione della misura delle sostanze assorbenti e neutralizzanti, previamente testate da Università o Istituti specializzati, di cui devono dotarsi gli impianti destinati allo stoccaggio, ricarica, manutenzione, deposito e sostituzione di accumulatori al fine di prevenire l’inquinamento del suolo, del sottosuolo e di evitare danni alla salute e all’ambiente derivanti dalla fuoriuscita di acido, tenuto conto della dimensione degli impianti, del numero degli accumulatoti e del rischio di sversamento connesso alla tipologia dell’attività esercitata.

3. Salvo che non sia diversamente disposto dalla parte quarta del presente decreto, le funzioni di cui al comma 1 sono esercitate ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell’interno, sentite la Conferenza Stato-regioni, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

4. Salvo che non sia diversamente disposto dalla parte quarta del presente decreto, le norme regolamentari e tecniche di cui al comma 2 sono adottate, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell’interno, nonche’, quando le predette norme riguardino i rifiuti agricoli ed il trasporto dei rifiuti, di concerto, rispettivamente, con i Ministri delle politiche agricole e forestali e delle infrastrutture e dei trasporti.

5. Fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ai fini della sorveglianza e dell’accertamento degli illeciti in violazione della normativa in materia di rifiuti nonche’ della repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti provvedono il Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) e il Corpo delle Capitanerie di porto; può altresì intervenire il Corpo forestale dello Stato e possono concorrere la Guardia di finanza e la Polizia di Stato.

ART. 196
(competenze delle regioni)

1. Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli di cui all’articolo 195:

a) la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 199;

b) la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi, secondo un criterio generale di separazione dei rifiuti di provenienza alimentare e degli scarti di prodotti vegetali e animali o comunque ad alto tasso di umidità dai restanti rifiuti;

c) l’elaborazione, l’approvazione e l’aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate di propria competenza;

d) l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all’articolo 195, comma 1, lettera f);

e) l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi;

f) le attività in materia di spedizioni transfrontaliere dei rifiuti che il regolamento (CEE) n. 259/93 del 1° febbraio 1993 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione;

g) la delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali di cui all’articolo 195, comma 1, lettera m), degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati;

h) la redazione di linee guida ed i criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di bonifica e di messa in sicurezza, nonche’ l’individuazione delle tipologie di progetti non soggetti ad autorizzazione, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 195, comma 1, lettera r);

i) la promozione della gestione integrata dei rifiuti;

l) l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti ed al recupero degli stessi;

m) la specificazione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione di cui agli articoli 214, 215, e 216, nel rispetto di linee guida elaborate ai sensi dell’articolo 195, comma 2, lettera b);

n) la definizione di criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali indicati nell’articolo 195, comma 1, lettera p);

o) la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento e la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare;

p) l’adozione, sulla base di metodologia di calcolo e di criteri stabiliti da apposito decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, delle disposizioni occorrenti affinche’ gli enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, coprano il proprio fabbisogno annuale di manufatti e beni, indicati nel medesimo decreto, con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato non inferiore al 30 per cento del fabbisogno medesimo. A tal fine i predetti soggetti inseriscono nei bandi di gara o di selezione per l’aggiudicazione apposite clausole di preferenza, a parità degli altri requisiti e condizioni. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tu tela del territorio 8 maggio 2003, n. 203, e successive circolari di attuazione. Restano ferme, nel frattempo, le disposizioni regionali esistenti.

2. Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 le regioni si avvalgono anche delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.

3. Le regioni privilegiano la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree industriali, compatibilmente con le caratteristiche delle aree medesime, incentivando le iniziative di autosmaltimento. Tale disposizione non si applica alle discariche.

ART. 197
(competenze delle province)

1. In attuazione dell’articolo 19 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alle province competono:

a) il controllo e la verifica degli interventi di bonifica ed il monitoraggio ad essi conseguenti;

b) il controllo periodico su tutte le attività di gestione, di intermediazione e di commercio dei rifiuti, ivi compreso l’accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto;

c) la verifica ed il controllo dei requisiti previsti per l’applicazione delle procedure semplificate, con le modalità di cui agli articoli 214, 215, e 216;

d) l’individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all’articolo 20, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all’articolo 199, comma 3, lettere d) e h), nonche’ sentiti l’Autorità d’ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonche’ delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.

2. Ai fini dell’esercizio delle proprie funzioni le province possono avvalersi, mediante apposite convenzioni, di organismi pubblici, ivi incluse le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA), con specifiche esperienze e competenze tecniche in materia, fermo restando quanto previsto dagli articoli 214, 215 e 216 in tema di procedure semplificate.

3. Gli addetti al controllo sono autorizzati ad effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti. Il segreto industriale non può essere opposto agli addetti al controllo, che sono, a loro volta, tenuti all’obbligo della riservatezza ai sensi della normativa vigente.

4. Il personale appartenente al Comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.) e’ autorizzato ad effettuare le ispezioni e le verifiche necessarie ai fini dell’espletamento delle funzioni di cui all’articolo 8 della legge 8 luglio 1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente.

5. Nell’ambito delle competenze di cui al comma 1, le province sottopongono ad adeguati controlli periodici gli stabilimenti e le imprese che smaltiscono o recuperano rifiuti, curando, in particolare, che vengano effettuati adeguati controlli periodici sulle attività sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 214, 215, e 216 e che i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti pericolosi riguardino, in primo luogo, l’origine e la destinazione dei rifiuti.

6. Restano ferme le altre disposizioni vigenti in materia di vigilanza e controllo previste da disposizioni speciali.

ART. 198
(competenze dei comuni)

1. I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all’inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui al l’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

2. I comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità e in coerenza con i piani d’ambito adottati ai sensi dell’articolo 201, comma 3, stabiliscono in particolare:

a) le misure per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani;

b) le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani;

c) le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani ed assimilati al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi;

d) le norme atte a garantire una distinta ed adeguata gestione dei rifiuti urbani pericolosi e dei rifiuti da esumazione ed estumulazione di cui all’articolo 184, comma 2, lettera f);

e) le misure necessarie ad ottimizzare le forme di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio in sinergia con altre frazioni merceologiche, fissando standard minimi da rispettare;

f) le modalità di esecuzione della pesata dei rifiuti urbani prima di inviarli al recupero e allo smaltimento;

g) l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), ferme restando le definizioni di cui all’articolo 184, comma 2, lettere c) e d).

3. I comuni sono tenuti a fornire alla regione, alla provincia ed alle Autorità d’ambito tutte le informazioni sulla gestione dei rifiuti urbani da esse richieste.

4. I comuni sono altresì tenuti ad esprimere il proprio parere in ordine all’approvazione dei progetti di bonifica dei siti inquinati rilasciata dalle regioni.

CAPO III

SERVIZIO DI GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI

ART. 199
(piani regionali)

1. Le regioni, sentite le province, i comuni e, per quanto riguarda i rifiuti urbani, le Autorità d’ambito di cui all’articolo 201, nel rispetto dei principi e delle finalità di cui agli articoli 177, 178, 179, 180, 181 e 182 ed in conformità ai criteri generali stabiliti dall’articolo 195, comma 1, lettera m) ed a quelli previsti dal presente articolo, predispongono piani regionali di gestione dei rifiuti assicurando adeguata pubblicità e la massima partecipazione dei cittadini, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241.

2. I piani regionali di gestione dei rifiuti prevedono misure tese alla riduzione delle quantità, dei volumi e della pericolosità dei rifiuti.

3. I piani regionali di gestione dei rifiuti prevedono inoltre:

a) le condizioni ed i criteri tecnici in base ai quali, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia, gli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione delle discariche, possono essere localizzati nelle aree destinate ad insediamenti produttivi;

b) la tipologia ed il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella regione, tenendo conto dell’obiettivo di assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200, nonche’ dell’offerta di smaltimento e di recupero da parte del sistema industriale;

c) la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 195, comma 1, lettera m);

d) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200, nonche’ ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti;

e) la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali attraverso una adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a tal fine le regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo;

f) le prescrizioni contro l’inquinamento del suolo ed il versamento nel terreno di discariche di rifiuti civili ed industriali che comunque possano incidere sulla qualità dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nel rispetto delle prescrizioni dettate ai sensi dell’articolo 65, comma 3, lettera f);

g) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani;

h) i criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonche’ per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali di cui all’articolo 195, comma 1, lettera p);

i) le iniziative dirette a limitare la produzione dei rifiuti ed a favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti;

l) le iniziative dirette a favorire il recupero dai rifiuti di materiali e di energia;

m) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani;

n) i tipi, le quantità e l’origine dei rifiuti da recuperare o da smaltire, suddivisi per singolo ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani;

o) la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare, comprese quelle di cui all’articolo 225, comma 6;

p) i requisiti tecnici generali relativi alle attività di gestione dei rifiuti nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria.

4. Il piano regionale di gestione dei rifiuti e’ coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente, ove adottati.

5. Costituiscono parte integrante del piano regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate che devono prevedere:

a) l’ordine di priorità degli interventi, basato su un criterio di valutazione del rischio elaborato dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT);

b) l’individuazione dei siti da bonificare e delle caratteristiche generali degli inquinamenti presenti;

c) le modalità degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, che privilegino prioritariamente l’impiego di materiali provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;

d) la stima degli oneri finanziari;

e) le modalità di smaltimento dei materiali da asportare.

6. L’approvazione del piano regionale o il suo adeguamento e’ requisito necessario per accedere ai finanziamenti nazionali.

7. La regione approva o adegua il piano entro due anni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto; nel frattempo, restano in vigore i piani regionali vigenti.

8. In caso di inutile decorso del termine di cui al comma 7 e di accertata inattività, il Ministro dell’ambiente e tutela del territorio diffida gli organi regionali competenti ad adempiere entro un congruo termine e, in caso di protrazione dell’inerzia, adotta, in via sostitutiva, i provvedimenti necessari alla elaborazione e approvazione del piano regionale.

9. Qualora le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo, il Ministro dell’ambiente e tutela del territorio diffida le autorità inadempienti a provvedere entro un termine non inferiore a centottanta giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Ministro può adottare, in via sostitutiva, tutti i provvedimenti necessari e idonei per l’attuazione degli interventi contenuti nel piano. A tal fine può avvalersi anche di commissari”ad acta”.

10. I provvedimenti di cui al comma 9 possono riguardare interventi finalizzati a:

a) attuare la raccolta differenziata dei rifiuti;

b) provvedere al reimpiego, al recupero e al riciclaggio degli imballaggi conferiti al servizio pubblico;

c) favorire operazioni di trattamento dei rifiuti urbani ai fini del riciclaggio e recupero degli stessi;

d) favorire la realizzazione e l’utilizzo di impianti per il recupero dei rifiuti solidi urbani.

11. Le regioni, sentite le province interessate, d’intesa tra loro o singolarmente, per le finalità di cui alla parte quarta del presente decreto provvedono all’aggiornamento del piano nonche’ alla programmazione degli interventi attuativi occorrenti in conformità alle procedure e nei limiti delle risorse previste dalla normativa vigente.

12. Sulla base di appositi accordi di programma stipulati con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, d’intesa con la regione interessata, possono essere autorizzati, ai sensi degli articoli 214 e 216, la costruzione e l’esercizio, oppure il solo esercizio, all’interno di insediamenti industriali esistenti, di impianti per il recupero di rifiuti urbani non previsti dal piano regionale, qualora ricorrano le seguenti condizioni:

a) siano riciclati e recuperati come materia prima rifiuti provenienti da raccolta differenziata, sia prodotto compost da rifiuti oppure sia utilizzato combustibile da rifiuti;

b) siano rispettate le norme tecniche di cui agli articoli 214 e 216;

c) siano utilizzate le migliori tecnologie di tutela dell’ambiente;

d) sia garantita una diminuzione delle emissioni inquinanti.

ART. 200
(organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani)

1. La gestione dei rifiuti urbani e’ organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all’articolo 199, nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o), e secondo i seguenti criteri:

a) superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti;

b) conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative;

c) adeguata valutazione del sistema stradale e ferroviario di comunicazione al fine di ottimizzare i trasporti all’interno dell’ATO;

d) valorizzazione di esigenze comuni e affinità nella produzione e gestione dei rifiuti;

e) ricognizione di impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti;

f) considerazione delle precedenti delimitazioni affinche’ i nuovi ATO si discostino dai precedenti solo sulla base di motivate esigenze di efficacia, efficienza ed economicità.

2. Le regioni, sentite le province ed i comuni interessati, nell’ambito delle attività di programmazione e di pianificazione di loro competenza, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, provvedono alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 195, comma 1, lettera m). Il provvedimento e’ comunicato alle province ed ai comuni interessati.

3. Le regioni interessate, d’intesa tra loro, delimitano gli ATO qualora essi siano ricompresi nel territorio di due o più regioni.

4. Le regioni disciplinano il controllo, anche in forma sostitutiva, delle operazioni di gestione dei rifiuti, della funzionalità dei relativi impianti e del rispetto dei limiti e delle prescrizioni previsti dalle relative autorizzazioni.

5. Le città o gli agglomerati di comuni, di dimensioni maggiori di quelle medie di un singolo ambito, possono essere suddivisi tenendo conto dei criteri di cui al comma 1.

6. I singoli comuni entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 2 possono presentare motivate e documentate richieste di modifica all’assegnazione ad uno specifico ambito territoriale e di spostamento in un ambito territoriale diverso, limitrofo a quello di assegnazione.

7. Le regioni possono adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali laddove predispongano un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente, con particolare riferimento ai criteri generali e alle linee guida riservati, in materia, allo Stato ai sensi dell’articolo 195.

ART. 201
(disciplina del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani)

1. Al fine dell’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, disciplinano le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d’ambito di cui al comma 2, alle quali e’ demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l’organizzazione, l’affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti.

2. L’Autorità d’ambito e’ una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e’ trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti.

3. L’Autorità d’ambito organizza il servizio e determina gli obiettivi da perseguire per garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia, di economicità e di trasparenza; a tal fine adotta un apposito piano d’ambito in conformità a quanto previsto dall’articolo 203, comma 3.

4. Per la gestione ed erogazione del servizio di gestione integrata e per il perseguimento degli obiettivi determinati dall’Autorità d’ambito, sono affidate, ai sensi dell’articolo 202 e nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale sull’evidenza pubblica, le seguenti attività:

a) la realizzazione, gestione ed erogazione dell’intero servizio, comprensivo delle attività di gestione e realizzazione degli impianti;

b) la raccolta, raccolta differenziata, commercializzazione e smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e assimilati prodotti all’interno dell’ATO.

5. In ogni ambito:

a) e’ raggiunta, nell’arco di cinque anni dalla sua costituzione, l’autosufficienza di smaltimento anche, ove opportuno, attraverso forme di cooperazione e collegamento con altri soggetti pubblici e privati;

b) e’ garantita la presenza di almeno un impianto di trattamento a tecnologia complessa, compresa una discarica di servizio.

6. La durata della gestione da parte dei soggetti affidatari, non inferiore a quindici anni, e’ disciplinata dalle regioni in modo da consentire il raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità.

ART. 202
(affidamento del servizio)

1. L’Autorità d’ambito aggiudica il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche’ con riferimento all’ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e delle precedenti esperienze specifiche dei concorrenti, secondo modalità e termini definiti con decreto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia.

2. I soggetti partecipanti alla gara devono formulare, con apposita relazione tecnico-illustrativa allegata all’offerta, proposte di miglioramento della gestione, di riduzione delle quantità di rifiuti da smaltire e di miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti.

3. Nella valutazione delle proposte si terrà conto, in particolare, del peso che graverà sull’utente sia in termini economici, sia di complessità delle operazioni a suo carico.

4. Gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali di proprietà degli enti locali già esistenti al momento dell’assegnazione del servizio sono conferiti in comodato ai soggetti affidatari del medesimo servizio.

5. I nuovi impianti vengono realizzati dal soggetto affidatario del servizio o direttamente, ai sensi dell’articolo 113, comma 5-ter, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove sia in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente, o mediante il ricorso alle procedure di cui alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ovvero secondo lo schema della finanza di progetto di cui agli articoli 37 bis e seguenti della predetta legge n. 109 del 1994.

6. Il personale che, alla data del 31 dicembre 2005 o comunque otto mesi prima dell’affidamento del servizio, appartenga alle amministrazioni comunali, alle aziende ex municipalizzate o consortili e alle imprese private, anche cooperative, che operano nel settore dei servizi comunali per la gestione dei rifiuti sarà soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro, al passaggio diretto ed immediato al nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti, con la salvaguardia delle condizioni contrattuali, collettive e individuali, in atto. Nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e di ex aziende municipalizzate o consortili e di imprese private, anche cooperative, al gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani, si applica, ai sensi dell’articolo 31 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la disciplina del trasferimento del ramo di azienda di cui all’articolo 2112 del codice civile.

ART. 203
(schema tipo di contratto di servizio)

1. I rapporti tra le Autorità d’ambito e i soggetti affidatari del servizio integrato sono regolati da contratti di servizio, da allegare ai capitolati di gara, conformi ad uno schema tipo adottato dalle regioni in conformità ai criteri ed agli indirizzi di cui all’articolo 195, comma 1, lettere m), n) ed o).

2. Lo schema tipo prevede:

a) il regime giuridico prescelto per la gestione del servizio;

b) l’obbligo del raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario della gestione;

c) la durata dell’affidamento, comunque non inferiore a quindici anni;

d) i criteri per definire il piano economico-finanziario per la gestione integrata del servizio;

e) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio;

f) i principi e le regole generali relativi alle attività ed alle tipologie di controllo, in relazione ai livelli del servizio ed al corrispettivo, le modalità, i termini e le procedure per lo svolgimento del controllo e le caratteristiche delle strutture organizzative all’uopo preposte;

g) gli obblighi di comunicazione e trasmissione di dati, informazioni e documenti del gestore e le relative sanzioni;

h) le penali, le sanzioni in caso di inadempimento e le condizioni di risoluzione secondo i principi del codice civile, diversificate a seconda della tipologia di controllo;

i) il livello di efficienza e di affidabilità del servizio da assicurare all’utenza, anche con riferimento alla manutenzione degli impianti;

l) la facoltà di riscatto secondo i principi di cui al titolo I, capo II, del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 1986, n. 902;

m) l’obbligo di riconsegna delle opere, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali strumentali all’erogazione del servizio in condizioni di efficienza ed in buono stato di conservazione;

n) idonee garanzie finanziarie e assicurative;

o) i criteri e le modalità di applicazione delle tariffe determinate dagli enti locali e del loro aggiornamento, anche con riferimento alle diverse categorie di utenze.

3. Ai fini della definizione dei contenuti dello schema tipo di cui al comma 2, le Autorità d’ambito operano la ricognizione delle opere ed impianti esistenti, trasmettendo alla regione i relativi dati. Le Autorità d’ambito inoltre, ai medesimi fini, definiscono le procedure e le modalità, anche su base pluriennale, per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla parte quarta del presente decreto ed elaborano, sulla base dei criteri e degli indirizzi fissati dalle regioni, un piano d’ambito comprensivo di un programma degli interventi necessari, accompagnato da un piano finanziario e dal connesso modello gestionale ed organizzativo. Il piano finanziario indica, in particolare, le risorse disponibili, quelle da reperire, nonche’ i proventi derivanti dall’applicazione della tariffa sui rifiuti per il periodo considerato.

ART. 204
(gestioni esistenti)

1. I soggetti che esercitano il servizio, anche in economia, alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, continuano a gestirlo fino alla istituzione e organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da parte delle Autorità d’ambito.

2. In relazione alla scadenza del termine di cui al comma 15-bis dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, l’Autorità d’ambito dispone i nuovi affidamenti, nel rispetto delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto, entro nove mesi dall’entrata in vigore della medesima parte quarta.

3. Qualora l’Autorità d’ambito non provveda agli adempimenti di cui ai commi 1 e 2 nei termini ivi stabiliti, il Presidente della Giunta regionale esercita, dandone comunicazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e all’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, i poteri sostitutivi, nominando un commissario “ad acta” che avvia entro quarantacinque giorni le procedure di affidamento, determinando le scadenze dei singoli adempimenti procedimentali. Qualora il commissario regionale non provveda nei termini così stabiliti, spettano al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio i poteri sostitutivi preordinati al completamento della procedura di affidamento.

4. Alla scadenza, ovvero alla anticipata risoluzione, delle gestioni di cui al comma 1, i beni e gli impianti delle imprese già concessionarie sono trasferiti direttamente all’ente locale concedente nei limiti e secondo le modalità previste dalle rispettive convenzioni di affidamento.

ART. 205
(misure per incrementare la raccolta differenziata)

1. In ogni ambito territoriale ottimale deve essere assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle seguenti percentuali minime di rifiuti prodotti:

a) almeno il trentacinque per cento entro il 31 dicembre 2006;

b) almeno il quarantacinque per cento entro il 31 dicembre 2008;

c) almeno il sessantacinque per cento entro il 31 dicembre 2012.

2. La frazione organica umida separata fisicamente dopo la raccolta e finalizzata al recupero complessivo tra materia ed energia, secondo i criteri dell’economicità, dell’efficacià dell’efficienza e della trasparenza del sistema, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1.

3. Nel caso in cui a livello di ambito territoriale ottimale non siano conseguiti gli obiettivi minimi previsti dal presente articolo, e’ applicata un’addizionale del venti per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dell’Autorità d’ambito, istituito dall’articolo 3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, che ne ripartisce l’onere tra quei comuni del proprio territorio che non abbiano raggiunto le percentuali previste dal comma 1 sulla base delle quote di raccolta differenziata raggiunte nei singoli comuni.

4. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, vengono stabilite la metodologia e i criteri di calcolo delle percentuali di cui ai commi 1 e 2, nonche’ la nuova determinazione del coefficiente di correzione di cui all’articolo 3, comma 29, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in relazione al conseguimento degli obiettivi di cui ai commi 1 e 2.

5. Sino all’emanazione del decreto di cui al comma 4 continua ad applicarsi la disciplina attuativa di cui all’articolo 3, commi da 24 a 40, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

6. Le regioni tramite apposita legge, e previa intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, possono indicare maggiori obiettivi di riciclo e recupero.

ART. 206
(accordi, contratti di programma, incentivi)

1. Ai fini dell’attuazione dei principi e degli obiettivi stabiliti dalle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto al fine di perseguire la razionalizzazione e la semplificazione delle procedure, con particolare riferimento alle piccole imprese, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, e d’intesa con le regioni, le province autonome e gli enti locali può stipulare appositi accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese di settore, soggetti pubblici o privati ed associazioni di categoria. Gli accordi ed i contratti di programma hanno ad oggetto:

a) l’attuazione di specifici piani di settore di riduzione, recupero e ottimizzazione dei flussi di rifiuti;

b) la sperimentazione, la promozione, l’attuazione e lo sviluppo di processi produttivi e di tecnologie pulite idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti e la loro pericolosità e ad ottimizzare il recupero dei rifiuti;

c) lo sviluppo di innovazioni nei sistemi produttivi per favorire metodi di produzione di beni con impiego di materiali meno inquinanti e comunque riciclabili;

d) le modifiche del ciclo produttivo e la riprogettazione di componenti, macchine e strumenti di controllo;

e) la sperimentazione, la promozione e la produzione di beni progettati, confezionati e messi in commercio in modo da ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti e i rischi di inquinamento;

f) la sperimentazione, la promozione e l’attuazione di attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero di rifiuti;

g) l’adozione di tecniche per il reimpiego ed il riciclaggio dei rifiuti nell’impianto di produzione;

h) lo sviluppo di tecniche appropriate e di sistemi di controllo per l’eliminazione dei rifiuti e delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti;

i) l’impiego da parte dei soggetti economici e dei soggetti pubblici dei materiali recuperati dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani;

l) l’impiego di sistemi di controllo del recupero e della riduzione di rifiuti.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, può altresì stipulare appositi accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e privati o con le associazioni di categoria per:

a) promuovere e favorire l’utilizzo dei sistemi di certificazione ambientale di cui al regolamento (CEE) n. 761/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 marzo 2001;

b) attuare programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo di utilità ai fini del riutilizzo, del riciclaggio e del recupero di materia prima secondaria, anche mediante procedure semplificate per la raccolta ed il trasporto dei rifiuti, le quali devono comunque garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente.

3. I predetti accordi sono stipulati di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali qualora riguardino attività collegate alla produzione agricola.

4. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle atività produttive, sono individuate le risorse finanziarie da destinarsi, sulla base di apposite disposizioni legislative di finanziamento, agli accordi ed ai contratti di programma di cui ai commi 1 e 2 e sono fissate le modalità di stipula dei medesimi.

5. Ai sensi della comunicazione 2002/412 del 17 luglio 2002 della Commissione delle Comunità europee e’ inoltre possibile concludere accordi ambientali che la Commissione può utilizzare nell’ambito della autoregolamentazione, intesa come incoraggiamento o riconoscimento dei medesimi accordi, oppure della coregolamentazione, intesa come proposizione al legislatore di utilizzare gli accordi, quando opportuno.

ART. 207
(Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti)

1. L’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti di cui all’articolo 159, di seguito denominata “Autorità”, garantisce e vigila in merito all’osservanza dei principi ed al perseguimento delle finalità di cui alla parte quarta del presente decreto, con particolare riferimento all’efficienza, all’efficacia, all’economicità ed alla trasparenza del servizio.

2. L’Autorità, oltre alle attribuzioni individuate dal presente articolo, subentra in tutte le altre competenze già assegnate dall’articolo 26 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, all’Osservatorio nazionale sui rifiuti, il quale continua ad operare sino all’entrata in vigore del regolamento di cui al comma 4 dell’articolo 159 del presente decreto.

3. La struttura e la composizione dell’Autorità sono disciplinate dall’articolo 159.

4. L’autorità svolge le funzioni previste dall’articolo 160.

5. Per l’espletamento dei propri compiti ed al fine di migliorare, incrementare ed adeguare agli standard europei, alle migliori tecnologie disponibili ed alle migliori pratiche ambientali gli interventi in materia di tutela delle acque interne, di rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, nonche’ di aumentare l’efficienza di detti interventi anche sotto il profilo della capacità di utilizzare le risorse derivanti da cofinanziamenti, l’Autorità si avvale della Segreteria tecnica di cui all’articolo 1, comma 42, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente. Essa può avvalersi, altresì, di organi ed uffici ispettivi e di verifica di altre amministrazioni pubbliche.

CAPO IV

AUTORIZZAZIONI E ISCRIZIONI

ART. 208
(autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti)

1. I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l’impianto debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda e’ altresì allegata la comunicazione del progetto all’autorità competente ai predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale ai sensi della parte seconda del presente decreto.

2. Resta ferma l’applicazione della normativa nazionale di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, per gli impianti rientranti nel campo di applicazione della medesima, con particolare riferimento al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.

3. Entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di cui al comma 1, la regione individua il responsabile del procedimento e convoca apposita conferenza di servizi cui partecipano i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti delle Autorità d’ambito e degli enti locali interessati. Alla conferenza e’ invitato a partecipare, con preavviso di almeno venti giorni, anche il richiedente l’autorizzazione o un suo rappresentante al fine di acquisire documenti, informazioni e chiarimenti. La documentazione di cui al comma 1 e’ inviata ai componenti della conferenza di servizi almeno venti giorni prima della data fissata per la riunione; in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.

4. Entro novanta giorni dalla sua convocazione, la Conferenza di servizi:

a) procede alla valutazione dei progetti;

b) acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le esigenze ambientali e territoriali;

c) acquisisce, ove previsto dalla normativa vigente, la valutazione di compatibilità ambientale;

d) trasmette le proprie conclusioni con i relativi atti alla regione.

5. Per l’istruttoria tecnica della domanda le regioni possono avvalersi delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.

6. Entro trenta giorni dal ricevimento delle conclusioni della conferenza di servizi e sulla base delle risultanze della stessa, la regione, in caso di valutazione positiva, approva il progetto e autorizza la realizzazione e la gestione dell’impianto. L’approvazione sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.

7. Nel caso in cui il progetto riguardi aree vincolate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, si applicano le disposizioni dell’articolo 146 di tale decreto in materia di autorizzazione.

8. L’istruttoria si conclude entro centocinquanta giorni dalla presentazione della domanda di cui al comma 1 con il rilascio dell’autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa.

9. I termini di cui al comma 8 sono interrotti, per una sola volta, da eventuali richieste istruttorie fatte dal responsabile del procedimento al soggetto interessato e ricominciano a decorrere dal ricevimento degli elementi forniti dall’interessato.

10. Ove l’autorità competente non provveda a concludere il procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica entro i termini previsti al comma 8, si applica il potere sostitutivo di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

11. L’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi:

a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare;

b) i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell’impianto al progetto approvato;

c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale;

d) la localizzazione dell’impianto da autorizzare;

e) il metodo di trattamento e di recupero;

f) le prescrizioni per le operazioni di messa in sicurezza, chiusura dell’impianto e ripristino del sito;

g) le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell’avvio effettivo dell’esercizio dell’impianto; a tal fine, le garanzie finanziarie per la gestione della discarica, anche per la fase successiva alla sua chiusura, dovranno essere prestate conformemente a quanto diposto dall’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36;

h) la data di scadenza dell’autorizzazione, in conformità con quanto previsto al comma 12;

i) i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico.

12. L’autorizzazione di cui al comma 1 e’ concessa per un periodo di dieci anni ed e’ rinnovabile. A tale fine, almeno centottanta giorni prima della scadenza dell’autorizzazione, deve essere presentata apposita domanda alla regione che decide prima della scadenza dell’autorizzazione stessa. In ogni caso l’attività può essere proseguita fino alla decisione espressa, previa estensione delle garanzie finanziarie prestate.

13. Quando, a seguito di controlli successivi all’avviamento degli impianti, questi non risultino conformi all’autorizzazione di cui al presente articolo, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione, quest’ultima e’ sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale termine senza che il titolare abbia adempiuto a quanto disposto nell’atto di diffida, l’autorizzazione e’ revocata.

14. Il controllo e l’autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali sono disciplinati dalle specifiche disposizioni di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84 e di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 di attuazione della direttiva 2000/59/CE sui rifiuti prodotti sulle navi e dalle altre disposizioni previste in materia dalla normativa vigente. Nel caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti, l’autorizzazione delle operazioni di imbarco e di sbarco non può essere rilasciata se il richiedente non dimostra di avere ottemperato agli adempimenti di cui all’articolo 194 del presente decreto.

15. Gli impianti mobili di smaltimento o di recupero, esclusi gli impianti mobili che effettuano la disidratazione dei fanghi generati da impianti di depurazione e reimmettono l’acqua in testa al processo depurativo presso il quale operano, ad esclusione della sola riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee, sono autorizzati, in via definitiva, dalla regione ove l’interessato ha la sede legale o la società straniera proprietaria dell’impianto ha la sede di rappresentanza. Per lo svolgimento delle singole campagne di attività sul territorio nazionale, l’interessato, almeno sessanta giorni prima dell’installazione dell’impianto, deve comunicare alla regione nel cui territorio si trova il sito prescelto le specifiche dettagliate relative alla campagna di attività, allegando l’autorizzazione di cui al comma 1 e l’iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali, nonche’ l’ulteriore documentazione richiesta. La regione può adottare prescrizioni integrative oppure può vietare l’attività con provvedi mento motivato qualora lo svolgimento della stessa nello specifico sito non sia compatibile con la tutela dell’ambiente o della salute pubblica.

16. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, eccetto quelli per i quali sia completata la procedura di valutazione di impatto ambientale.

17. Fatti salvi l’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico da parte dei soggetti di cui all’articolo 190 ed il divieto di miscelazione di cui all’articolo 187, le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’articolo 183, comma 1, lettera m). La medesima esclusione opera anche quando l’attività di deposito temporaneo nel luogo di produzione sia affidata dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione di rifiuti. Il conferimento di rifiuti da parte del produttore all’affidatario del deposito temporaneo costituisce adempimento agli obblighi di cui all’articolo 188, comma 3. In tal caso le annotazioni sia da parte del produttore che dell’affidatario del deposito temporaneo debbono essere effettuate entro ventiquattro ore.

18. L’autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell’amministrazione che la rilascia, all’Albo di cui all’articolo 212, comma 1, che cura l’inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all’articolo 212, comma 23, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

19. In caso di eventi incidenti sull’autorizzazione, questi sono comunicati, previo avviso all’interessato, oltre che allo stesso, anche all’Albo.

20. Le procedure di cui al presente articolo si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali in corso d’opera o di esercizio che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all’autorizzazione rilasciata.

ART. 209
(rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale)

1. Nel rispetto delle normative comunitarie, in sede di espletamento delle procedure previste per il rinnovo delle autorizzazioni all’esercizio di un impianto, ovvero per il rinnovo dell’iscrizione all’Albo di cui all’articolo 212, le imprese che risultino registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (Emas) ed operino nell’ambito del sistema Ecolabel di cui al regolamento 17 luglio 2000, n. 1980, o certificati UNI-EN ISO 14001 possono sostituire tali autorizzazioni o il nuovo certificato di iscrizione al suddetto Albo con autocertificazione resa alle autorità competenti, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

2. L’autocertificazione di cui al comma 1 deve essere accompagnata da una copia conforme del certificato di registrazione ottenuto ai sensi dei regolamenti e degli standard parametrici di cui al medesimo comma 1, nonche’ da una denuncia di prosecuzione delle attività, attestante la conformità dell’impresa, dei mezzi e degli impianti alle prescrizioni legislative e regolamentari, con allegata una certificazione dell’esperimento di prove a ciò destinate, ove previste.

3. L’autocertificazione e i relativi documenti, di cui ai commi 1 e 2, sostituiscono a tutti gli effetti l’autorizzazione alla prosecuzione, ovvero all’esercizio delle attività previste dalle norme di cui al comma 1 e ad essi si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1992, n. 300. Si applicano, altresì, le disposizioni sanzionatorie di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

4. L’autocertificazione e i relativi documenti mantengono l’efficacia sostitutiva di cui al comma 3 fino ad un periodo massimo di centottanta giorni successivi alla data di comunicazione all’interessato della decadenza, a qualsiasi titolo avvenuta, della registrazione ottenuta ai sensi dei regolamenti e degli standard parametrici di cui al comma 1.

5. Salva l’applicazione delle sanzioni specifiche e salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di accertata falsità delle attestazioni contenute nell’autocertificazione e dei relativi documenti, si applica l’articolo 483 del codice penale nei confronti di chiunque abbia sottoscritto la documentazione di cui ai commi 1 e 2.

6. Resta ferma l’applicazione della normativa nazionale di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, per gli impianti rientranti nel campo di applicazione della medesima, con particolare riferimento al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.

7. I titoli abilitativi di cui al presente articolo devono essere comunicati, a cura dell’amministrazione che li rilascia, all’Albo di cui all’articolo 212, comma 1, che cura l’inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all’articolo 212, comma 23, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

ART. 210
(autorizzazioni in ipotesi particolari)

1. Coloro che alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto non abbiano ancora ottenuto l’autorizzazione alla gestione dell’impianto, ovvero intendano, comunque, richiedere una modifica dell’autorizzazione alla gestione di cui sono in possesso, ovvero ne richiedano il rinnovo presentano domanda alla regione competente per territorio, che si pronuncia entro novanta giorni dall’istanza. La procedura di cui al presente comma si applica anche a chi intende avviare una attività di recupero o di smaltimento di rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente utilizzato o adibito ad altre attività. Ove la nuova attività di recupero o di smaltimento sia sottoposta a valutazione di impatto ambientale, si applicano le disposizioni previste dalla parte seconda del presente decreto per le modifiche sostanziali.

2. Resta ferma l’applicazione della normativa nazionale di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento per gli impianti rientranti nel campo di applicazione della medesima, con particolare riferimento al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.

3. L’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi:

a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare;

b) i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell’impianto alla nuova forma di gestione richiesta;

c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale;

d) la localizzazione dell’impianto da autorizzare;

e) il metodo di trattamento e di recupero;

f) i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico;

g) le prescrizioni per le operazioni di messa in sicurezza, chiusura dell’impianto e ripristino del sito;

h) le garanzie finanziarie, ove previste dalla normativa vigente, o altre equivalenti; tali garanzie sono in ogni caso ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (Emas), e del quaranta per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001;

i) la data di scadenza dell’autorizzazione, in conformità a quanto previsto dall’articolo 208, comma 12.

4. Quando a seguito di controlli successivi all’avviamento degli impianti, la cui costruzione e’ stata autorizzata, questi non risultino conformi all’autorizzazione predetta, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nell’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di cui al comma 1, quest’ultima e’ sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale temine senza che il titolare abbia adempiuto a quanto disposto nell’atto di diffida, l’autorizzazione stessa e’ revocata.

5. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all’articolo 183, comma 1, lettera m), che e’ soggetto unicamente agli adempimenti relativi al registro di carico e scarico di cui all’articolo 190 ed al divieto di miscelazione di cui all’articolo 187. La medesima esclusione opera anche quando l’attività di deposito temporaneo nel luogo di produzione sia affidata dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione di rifiuti. Il conferimento di rifiuti da parte del produttore all’affidatario del deposito temporaneo costituisce adempimento agli obblighi di cui all’articolo 188, comma 3. In tal caso le annotazioni sia da parte del produttore che dell’affidatario del deposito temporaneo debbono essere effettuate entro ventiquattro ore.

6. Per i rifiuti in aree portuali e per le operazioni di imbarco e sbarco in caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti si applica quanto previsto dall’articolo 208, comma 14.

7. Per gli impianti mobili, di cui all’articolo 208, comma 15, si applicano le disposizioni ivi previste.

8. Ove l’autorità competente non provveda a concludere il procedimento relativo al rilascio dell’autorizzazione entro i termini previsti dal comma 1, si applica il potere sostitutivo di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

9. Le autorizzazioni di cui al presente articolo devono essere comunicate, a cura dell’amministrazione che li rilascia, all’Albo di cui all’articolo 212, comma 1, che cura l’inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all’articolo 212, comma 23, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

ART. 211
(autorizzazione di impianti di ricerca e di sperimentazione)

1. I termini di cui agli articoli 208 e 210 sono ridotti alla metà per l’autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio di impianti di ricerca e di sperimentazione qualora siano rispettate le seguenti condizioni:

a) le attività di gestione degli impianti non comportino utile economico;

b) gli impianti abbiano una potenzialità non superiore a 5 tonnellate al giorno, salvo deroghe giustificate dall’esigenza di effettuare prove di impianti caratterizzati da innovazioni, che devono però essere limitate alla durata di tali prove.

2. La durata dell’autorizzazione di cui al comma 1 e’ di due anni, salvo proroga che può essere concessa previa verifica annuale dei risultati raggiunti e non può comunque superare altri due anni.

3. Qualora il progetto o la realizzazione dell’impianto non siano stati approvati e autorizzati entro il termine di cui al comma 1, l’interessato può presentare istanza al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che si esprime nei successivi sessanta giorni di concerto con i Ministri delle attività produttive e dell’istruzione, dell’università e della ricerca. La garanzia finanziaria in tal caso e’ prestata a favore dello Stato.

4. In caso di rischio di agenti patogeni o di sostanze sconosciute e pericolose dal punto di vista sanitario, l’autorizzazione di cui al comma 1 e’ rilasciata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che si esprime nei successivi sessanta giorni, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

5. L’autorizzazione di cui al presente articolo deve essere comunicata, a cura dell’amministrazione che la rilascia, all’Albo di cui all’articolo 212, comma 1, che cura l’inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi di cui all’articolo 212, comma 23, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

ART. 212
(Albo nazionale gestori ambientali)

1. E’ costituito, presso il Ministero dell’ambiente e tutela del territorio, l’Albo nazionale gestori ambientali, di seguito denominato Albo, articolato in un Comitato nazionale, con sede presso il medesimo Ministero, ed in Sezioni regionali e provinciali, istituite presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dei capoluoghi di regione e delle province autonome di Trento e di Bolzano. I componenti del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali e provinciali durano in carica cinque anni.

2. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio sono istituite sezioni speciali del Comitato nazionale per ogni singola attività soggetta ad iscrizione all’Albo, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e ne vengono fissati composizione e competenze. Il Comitato nazionale dell’Albo ha potere deliberante ed e’ composto da diciannove membri di comprovata e documentata esperienza tecnico-economica o giuridica nelle materie ambientali nominati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e designati rispettivamente:

a) due dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di cui uno con funzioni di Presidente;

b) uno dal Ministro delle attività produttive, con funzioni di vice-Presidente;

c) uno dal Ministro della salute;

d) uno dal Ministro dell’economia e delle finanze;

e) uno dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

f) uno dal Ministro dell’interno;

g) tre dalle regioni;

h) uno dall’Unione italiana delle Camere di commercio industria, artigianato e agricoltura;

i) sei dalle organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie economiche interessate, di cui due dalle organizzazioni rappresentative della categoria degli autotrasportatori e due dalle associazioni che rappresentano i gestori dei rifiuti;

l) due dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

3. Le Sezioni regionali e provinciali dell’Albo sono istituite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e sono composte:

a) dal Presidente della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o da un membro del Consiglio camerale all’uopo designato dallo stesso, con funzioni di Presidente;

b) da un funzionario o dirigente di comprovata esperienza nella materia ambientale designato dalla regione o dalla provincia autonoma, con funzioni di vice-Presidente;

c) da un funzionario o dirigente di comprovata esperienza nella materia ambientale, designato dall’Unione regionale delle province o dalla provincia autonoma;

d) da un esperto di comprovata esperienza nella materia ambientale, designato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio;

e) da due esperti designati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative delle categorie economiche;

f) da due esperti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

4. Le funzioni del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali dell’Albo sono svolte, sino alla scadenza del loro mandato, rispettivamente dal Comitato nazionale e dalle Sezioni regionali dell’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti già previsti all’articolo 30 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, integrati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dai nuovi componenti individuati ai sensi, rispettivamente, del comma 2, lettera 1), e del comma 3, lettere e) ed f), nel rispetto di quanto previsto dal comma 16.

5. L’iscrizione all’Albo e’ requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, di raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi, nonche’ di gestione di impianti di smaltimento e di recupero di titolarità di terzi e di gestione di impianti mobili di smaltimento e di recupero di rifiuti, nei limiti di cui all’articolo 208, comma 15. Sono esonerati dall’obbligo di cui al presente comma le organizzazioni di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a) e c), 223, 224, 228, 233, 234, 235 e 236, a condizione che dispongano di evidenze documentali o contabili che svolgano funzioni analoghe, fermi restando gli adempimenti documentali e contabili previsti a carico dei predetti soggetti dalle vigenti normative.

6. L’iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e costituisce titolo per l’esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti; per le altre attività l’iscrizione abilita alla gestione degli impianti il cui esercizio sia stato autorizzato o allo svolgimento delle attività soggette ad iscrizione.

7. Le imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, le imprese che effettuano attività di intermediazione e di commercio dei rifiuti, senza detenzione dei medesimi, e le imprese che effettuano l’attività di gestione di impianti mobili di smaltimento e recupero dei rifiuti devono prestare idonee garanzie finanziarie a favore dello Stato. Tali garanzie sono ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (Emas), e del quaranta per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001.

8. Le imprese che esercitano la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare nonche’ le imprese che trasportano i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano trenta chilogrammi al giorno o trenta litri al giorno non sono sottoposte alla prestazione delle garanzie finanziarie di cui al comma 7 e sono iscritte all’Albo nazionale gestori ambientali a seguito di semplice richiesta scritta alla sezione dell’Albo regionale territorialmente competente senza che la richiesta stessa sia soggetta a valutazione relativa alla capacità finanziaria e alla idoneità tecnica e senza che vi sia l’obbligo di nomina del responsabile tecnico. Tali imprese sono tenute alla corresponsione di un diritto annuale di iscrizione pari a 50 euro rideterminabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406.

9. Le imprese che effettuano attività di gestione di impianti fissi di smaltimento e di recupero di titolarità di terzi, le imprese che effettuano le attività di bonifica dei siti e di bonifica dei beni contenenti amianto devono prestare idonee garanzie finanziarie a favore della regione territorialmente competente, nel rispetto dei criteri generali di cui all’articolo 195, comma 2, lettera h). Tali garanzie sono ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 (Emas), e del quaranta per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001. Le garanzie di cui al presente comma devono essere in ogni caso prestate in base alla seguente distinzione:

a) le imprese che effettuano l’attività di gestione di impianti fissi di smaltimento e di recupero di titolarità di terzi devono prestare le garanzie finanziarie a favore della regione per ogni impianto che viene gestito;

b) le imprese che effettuano l’attività di bonifica dei siti e dei beni contenenti amianto devono prestare le garanzie finanziarie a favore della regione per ogni intervento di bonifica.

10. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, sentito il parere del Comitato nazionale, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, sono definite le attribuzioni e le modalità organizzative dell’Albo, i requisiti, i termini e le modalità di iscrizione, i diritti annuali d’iscrizione, nonche’ le modalità e gli importi delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato. Fino all’emanazione del predetto decreto, continuano ad applicarsi, per quanto compatibili, le disposizioni del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406. Il decreto di cui al presente comma si informa ai seguenti principI:

a) individuazione di requisiti per l’iscrizione, validi per tutte le sezioni, al fine di uniformare le procedure;

b) coordinamento con la vigente normativa sull’autotrasporto, in coerenza con la finalità di cui alla lettera a);

c) trattamento uniforme dei componenti delle Sezioni regionali, per garantire l’efficienza operativa;

d) effettiva copertura delle spese attraverso i diritti di segreteria e i diritti annuali di iscrizione.

11. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato regioni, sono fissati i criteri generali per la definizione delle garanzie finanziarie da prestare a favore delle regioni.

12. E’ istituita, presso l’Albo, una Sezione speciale, alla quale sono iscritte le imprese di paesi europei ed extraeuropei che effettuano operazioni di recupero di rottami ferrosi e non ferrosi, elencate nell’articolo 183, comma 1, lettera u), per la produzione di materie prime secondarie per l’industria siderurgica e metallurgica, nel rispetto delle condizioni e delle norme tecniche nazionali, comunitarie e internazionali individuate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le condizioni e le norme tecniche riportate nell’Allegato 1 al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998. L’iscrizione e’ effettuata a seguito di comunicazione all’albo da parte dell’azienda estera interessata, accompagnata dall’attestazione di conformità a tali condizioni e norme tecniche rilasciata dall’autorità pubblica competente nel Paese di appartenenza. Le modalità di funzionamento della sezione speciale sono stabilite dal Comitat o nazionale dell’Albo; nelle more di tale definizione l’iscrizione e’ sostituita a tutti gli effetti dalla comunicazione corredata dall’attestazione di conformità dell’autorità competente.

13. L’iscrizione all’Albo ed i provvedimenti di sospensione, di revoca, di decadenza e di annullamento dell’iscrizione, nonche’ l’accettazione, la revoca e lo svincolo delle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore dello Stato sono deliberati dalla Sezione regionale dell’Albo della regione ove ha sede legale l’impresa interessata, in base alla normativa vigente ed alle direttive emesse dal Comitato nazionale.

14. Fino all’emanazione dei decreti di cui al presente articolo, continuano ad applicarsi le disposizioni già in vigore alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto.

15. Avverso i provvedimenti delle Sezioni regionali dell’Albo gli interessati possono proporre, nel termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica dei provvedimenti stessi, ricorso al Comitato nazionale dell’Albo.

16. Agli oneri per il funzionamento del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali e provinciali si provvede con le entrate derivanti dai diritti di segreteria e dai diritti annuali d’iscrizione, secondo le previsioni, anche relative alle modalità di versamento e di utilizzo, che saranno determinate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. L’integrazione del Comitato nazionale e delle Sezioni regionali e provinciali con i rappresentanti di cui ai commi 2, lettera 1), e 3, lettere e) ed f), e’ subordinata all’entrata in vigore del predetto decreto. Sino all’emanazione del citato decreto, si applicano le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 20 dicembre 1993 e le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 13 dicembre 1995.

17. La disciplina regolamentare dei casi in cui, ai sensi degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’esercizio di un’attività privata può essere intrapreso sulla base della denuncia di inizio dell’attività non si applica alle domande di iscrizione e agli atti di competenza dell’Albo.

18. Le imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto dei rifiuti sottoposti a procedure semplificate ai sensi dell’articolo 216, ed effettivamente avviati al riciclaggio ed al recupero, e le imprese che trasportano i rifiuti indicati nella lista verde di cui al regolamento (CEE) 259/93 del 1° febbraio 1993 non sono sottoposte alle garanzie finanziarie di cui al comma 8 e sono iscritte all’Albo mediante l’invio di comunicazione di inizio di attività alla Sezione regionale o provinciale territorialmente competente. Detta comunicazione deve essere rinnovata ogni cinque anni e deve essere corredata da idonea documentazione predisposta ai sensi dell’articolo 13 del decreto ministeriale 28 aprile 1998, n. 406, nonche’ delle deliberazioni del Comitato nazionale dalla quale risultino i seguenti elementi:

a) la quantità, la natura, l’origine e la destinazione dei rifiuti;

b) la rispondenza delle caratteristiche tecniche e della tipologia del mezzo utilizzato ai requisiti stabiliti dall’Albo in relazione ai tipi di rifiuti da trasportare;

c) il rispetto delle condizioni ed il possesso dei requisiti soggettivi, di idoneità tecnica e di capacità finanziaria.

19. Entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione di inizio di attività le Sezioni regionali e provinciali prendono atto dell’awenta iscrizione e inseriscono le imprese di cui al comma 18 in appositi elenchi dandone comunicazione al Comitato nazionale, alla provincia territorialmente competente ed all’interessato.

20. Le imprese iscritte all’Albo con procedura ordinaria ai sensi del comma 5 sono esentate dall’obbligo della comunicazione di cui al comma 18 se lo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti sottoposti a procedure semplificate ai sensi dell’articolo 216 ed effettivamente avviati al riciclaggio e al recupero non comporta variazioni della categoria, della classe e della tipologia di rifiuti per le quali tali imprese sono iscritte.

21. Alla comunicazione di cui al comma 18 si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Alle imprese che svolgono le attività di cui al comma 18 a seguito di comunicazione corredata da documentazione incompleta o inidonea, si applica il disposto di cui all’articolo 256, comma 1.

22. I soggetti firmatari degli accordi e contratti di programma previsti dall’articolo 181 e dall’articolo 206 sono iscritti presso un’apposita sezione dell’Albo, a seguito di semplice richiesta scritta e senza essere sottoposti alle garanzie finanziarie di cui ai commi 8 e 9.

23. Sono istituiti presso il Comitato nazionale i registri delle imprese autorizzate alla gestione di rifiuti, aggiornati ogni trenta giorni, nei quali sono inseriti, a domanda, gli elementi identificativi dell’impresa consultabili dagli operatori secondo le procedure fissate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, nel rispetto dei principi di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. I registri sono pubblici e, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, sono resi disponibili al pubblico, senza oneri, anche per via telematica, secondo i criteri fissati dal predetto decreto. Le Amministrazioni autorizzanti comunicano al Comitato nazionale, subito dopo il rilascio dell’autorizzazione, la ragione sociale dell’impresa autorizzata, l’attività per la quale viene rilasciata l’autorizzazione, i rifiuti oggetto dell’attività di gestione, la scadenza dell’autorizzazione e successivamente segnalano ogni variazione delle predette informazioni c he intervenga nel corso della validità dell’autorizzazione stessa. Nel caso di ritardo dell’Amministrazione superiore a trenta giorni dal rilascio dell’autorizzazione, l’impresa interessata può inoltrare copia autentica del provvedimento, anche per via telematica, al Comitato nazionale, che ne dispone l’inserimento nei registri.

24. Le imprese che effettuano attività di smaltimento dei rifiuti non pericolosi nel luogo di produzione dei rifiuti stessi ai sensi dell’articolo 215 sono iscritte in un apposito registro con le modalità previste dal medesimo articolo.

25. Le imprese che svolgono operazioni di recupero dei rifiuti ai sensi dell’articolo 216 sono iscritte in un apposito registro con le modalità previste dal medesimo articolo.

26. Per la tenuta dei registri di cui ai commi 22, 23, 24 e 25 gli interessati sono tenuti alla corresponsione di un diritto annuale di iscrizione, per ogni tipologia di registro, pari a 50 curo, rideterminabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406. I diritti di cui al commi 8, 24 e 25 sono versati, secondo le modalità di cui al comma 16, alla competente Sezione regionale dell’Albo, che procede a contabilizzarli separatamente e ad utilizzarli integralmente per l’attuazione dei medesimi commi.

27. La tenuta dei registri di cui ai commi 22 e 23 decorre dall’entrata in vigore del decreto di cui al comma 16.

28. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

ART. 213
(autorizzazioni integrate ambientali)

1. Le autorizzazioni integrate ambientali rilasciate ai sensi del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, sostituiscono ad ogni effetto, secondo le modalità ivi previste:

a) le autorizzazioni di cui al presente capo;

b) la comunicazione di cui all’articolo 216, limitatamente alle attività non ricadenti nella categoria 5 dell’Allegato I del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, che, se svolte in procedura semplificata, sono escluse dall’autorizzazione ambientale integrata, ferma restando la possibilità di utilizzare successivamente le procedure semplificate previste dal capo V.

2. Al trasporto dei rifiuti di cui alla lista verde del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, destinati agli impianti di cui al comma 1 del presente articolo si applicano le disposizioni di cui agli articoli 214 e 216 del presente decreto.

CAPO V

PROCEDURE SEMPLIFICATE

ART. 214
(determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l’ammissione alle procedure semplificate)

1. Le procedure semplificate di cui al presente Capo devono garantire in ogni caso un elevato livello di protezione ambientale e controlli efficaci.

2. Con decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e, per i rifiuti agricoli e le attività che danno vita ai fertilizzanti, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sono adottate per ciascun tipo di attività le norme, che fissano i tipi e le quantità di rifiuti, e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all’Allegato C alla parte quarta del presente decreto sono sottoposte alle procedure semplificate di cui agli articoli 215 e 216. Con la medesima procedura si provvede all’aggiornamento delle predette norme tecniche e condizioni.

3. Il comma 2 può essere attuato anche secondo la disciplina vigente per gli accordi di programma di cui agli articoli 181 e 206 e nel rispetto degli orientamenti comunitari in materia.

4. Le norme e le condizioni di cui al comma 2 e le procedure semplificate devono garantire che i tipi o le quantità di rifiuti ed i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell’uomo e da non recare pregiudizio all’ambiente. In particolare, ferma restando la disciplina del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, per accedere alle procedure semplificate, le attività di trattamento termico e di recupero energetico devono, inoltre, rispettare le seguenti condizioni:

a) siano utilizzati combustibili da rifiuti urbani oppure rifiuti speciali individuati per frazioni omogenee;

b) i limiti di emissione non siano inferiori a quelli stabiliti per gli impianti di incenerimento e coincenerimento dei rifiuti dalla normativa vigente, con particolare riferimento al decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133;

c) sia garantita la produzione di una quota minima di trasformazione del potere calorifico dei rifiuti in energia utile calcolata su base annuale;

d) siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui agli articoli 215, comma 2, e 216, commi 1, 2 e 3.

5. Sino all’emanazione dei decreti di cui al comma 2 relativamente alle attività di recupero continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998 e 12 giugno 2002, n. 161.

6. La emanazione delle norme e delle condizioni di cui al comma 2 deve riguardare, in primo luogo, i rifiuti indicati nella lista verde di cui all’Allegato II del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259.

7. Per la tenuta dei registri di cui agli articoli 215, comma 3, e 216, comma 3, e per l’effettuazione dei controlli periodici, l’interessato e’ tenuto a versare alla Sezione regionale dell’Albo il diritto di iscrizione annuale di cui all’articolo 212, comma 26.

8. La costruzione di impianti che recuperano rifiuti nel rispetto delle condizioni, delle prescrizioni e delle norme tecniche di cui ai commi 2 e 3 e’ disciplinata dalla normativa nazionale e comunitaria in materia di qualità dell’aria e di inquinamento atmosferico da impianti industriali. L’autorizzazione all’esercizio nei predetti impianti di operazioni di recupero di rifiuti non individuati ai sensi del presente articolo resta comunque sottoposta alle disposizioni di cui agli articoli 208, 209, 210 e 211.

9. Alle denunce, alle comunicazioni e alle domande disciplinate dal presente Capo si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle attività private sottoposte alla disciplina degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Si applicano, altresì, le disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241. A condizione che siano rispettate le condizioni, le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 216, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla sezione competente dell’Albo di cui all’articolo 212.

ART. 215
(autosmaltimento)

1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3, le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti stessi possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla competente Sezione regionale dell’Albo, di cui all’articolo 212, che ne dà notizia alla provincia territorialmente competente, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione stessa.

2. Le norme tecniche di cui al comma 1 prevedono in particolare:

a) il tipo, la quantità e le caratteristiche dei rifiuti da smaltire;

b) il ciclo di provenienza dei rifiuti;

c) le condizioni per la realizzazione e l’esercizio degli impianti;

d) le caratteristiche dell’impianto di smaltimento;

e) la qualità delle emissioni e degli scarichi idrici nell’ambiente.

3. La Sezione regionale dell’Albo iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività ed entro il termine di cui al comma 1 verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine, alla comunicazione di inizio di attività, a firma del legale rappresentante dell’impresa, e’ allegata una relazione dalla quale deve risultare:

a) il rispetto delle condizioni e delle norme tecniche specifiche di cui al comma 1;

b) il rispetto delle norme tecniche di sicurezza e delle procedure autorizzative previste dalla normativa vigente.

4. Qualora la Sezione regionale dell’Albo accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la medesima Sezione propone alla provincia di disporre con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione.

5. La comunicazione di cui al comma 1 deve essere rinnovata ogni cinque anni e, comunque, in caso di modifica sostanziale delle operazioni di autosmaltimento.

6. Restano sottoposte alle disposizioni di cui agli articoli 208, 209, 210 e 211 le attività di autosmaltimento di rifiuti pericolosi e la discarica di rifiuti.

ART. 216
(operazioni di recupero)

1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3, l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti può essere intrapreso decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla competente Sezione Regionale dell’Albo, di cui all’articolo 212, che ne (là notizia alla provincia territorialmente competente, entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione stessa. Nelle ipotesi di rifiuti elettrici ed elettronici di cui all’articolo 227, comma 1, lettera a), di veicoli fuori uso di cui all’articolo 227, comma 1, lettera c), e di impianti di coincenerimento, l’avvio delle attività e’ subordinato all’effettuazione di una visita preventiva, da parte della provincia competente per territorio, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della predetta comunicazione.

2. Le condizioni e le norme tecniche di cui al comma 1, in relazione a ciascun tipo di attività, prevedono in particolare:

a) per i rifiuti non pericolosi:

1) le quantità massime impiegabili;

2) la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti utilizzabili nonche’ le condizioni specifiche alle quali le attività medesime sono sottoposte alla disciplina prevista dal presente articolo;

3) le prescrizioni necessarie per assicurare che, in relazione ai tipi o alle quantità dei rifiuti ed ai metodi di recupero, i rifiuti stessi siano recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente;

b) per i rifiuti pericolosi:

1) le quantità massime impiegabili;

2) la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti;

3) le condizioni specifiche riferite ai valori limite di sostanze pericolose contenute nei rifiuti, ai valori limite di emissione per ogni tipo di rifiuto ed al tipo di attività e di impianto utilizzato, anche in relazione alle altre emissioni presenti in sito;

4) gli altri requisiti necessari per effettuare forme diverse di recupero;

5) le prescrizioni necessarie per assicurare che, in relazione al tipo ed alle quantità di sostanze pericolose contenute nei rifiuti ed ai metodi di recupero, i rifiuti stessi siano recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.

3. La sezione regionale dell’Albo iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività e, entro il termine di cui al comma 1, verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine, alla comunicazione di inizio di attività, a firma del legale rappresentante dell’impresa, e’ allegata una relazione dalla quale risulti:

a) il rispetto delle nonne tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1;

b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;

c) le attività di recupero che si intendono svolgere;

d) lo stabilimento, la capacità di recupero e il ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, nonche’ l’utilizzo di eventuali impianti mobili;

e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

4. Qualora la competente Sezione regionale dell’Albo accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la medesima sezione propone alla provincia di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall’amministrazione.

5. La comunicazione di cui al comma 1 deve essere rinnovata ogni cinque anni e comunque in caso di modifica sostanziale delle operazioni di recupero.

6. La procedura semplificata di cui al presente articolo sostituisce, limitatamente alle variazioni qualitative e quantitative delle emissioni determinate dai rifiuti individuati dalle norme tecniche di cui al comma 1 che già fissano i limiti di emissione in relazione alle attività di recupero degli stessi, l’autorizzazione di cui all’articolo 269 in caso di modifica sostanziale dell’impianto.

7. Le disposizioni semplificate del presente articolo non si applicano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione:

a) delle attività per il riciclaggio e per il recupero di materia prima secondaria e di produzione di compost di qualità dai rifiuti provenienti da raccolta differenziata;

b) delle attività di trattamento dei rifiuti urbani per ottenere combustibile da rifiuto effettuate nel rispetto delle norme tecniche di cui al comma 1.

8. Fermo restando il rispetto dei limiti di emissione in atmosfera di cui all’articolo 214, comma 4, lettera b), e dei limiti delle altre emissioni inquinanti stabilite da disposizioni vigenti e fatta salva l’osservanza degli altri vincoli a tutela dei profili sanitari e ambientali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, determina modalità, condizioni e misure relative alla concessione di incentivi finanziari previsti da disposizioni legislative vigenti a favore dell’utilizzazione dei rifiuti come combustibile per produrre energia elettrica, tenuto anche conto del prevalente interesse pubblico al recupero energetico nelle centrali elettriche di rifiuti urbani sottoposti a preventive operazioni di trattamento finalizzate alla produzione di combustibile da rifiuti e nel rispetto di quanto previsto dalla direttiva 2001/77/CE del 27 settembre 2001 e dal relativo decreto legislativo di attuazione 29 dicembre 2003, n. 387.

9. Con apposite norme tecniche adottate ai sensi del comma 1, da pubblicare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, e’ individuata una lista di rifiuti non pericolosi maggiormente utilizzati nei processi dei settori produttivi nell’osservanza dei seguenti criteri:

a) diffusione dell’impiego nel settore manifatturiero sulla base di dati di contabilità nazionale o di studi di settore o di programmi specifici di gestione dei rifiuti approvati ai sensi delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto;

b) utilizzazione coerente con le migliori tecniche disponibili senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente;

c) impiego in impianti autorizzati.

10. I rifiuti individuati ai sensi del comma 9 sono sottoposti unicamente alle disposizioni di cui agli articoli 188, comma 3, 189, 190 e 193 nonche’ alle relative norme sanzionatorie contenute nella parte quarta del presente decreto. Sulla base delle informazioni di cui all’articolo 189 il Catasto redige per ciascuna provincia un elenco degli impianti di cui al comma 9.

11. Alle attività di cui al presente articolo si applicano integralmente le norme ordinarie per il recupero e lo smaltimento qualora i rifiuti non vengano destinati in modo effettivo ed oggettivo al recupero.

12. Le condizioni e le norme tecniche relative ai rifiuti pericolosi di cui al comma 1 sono comunicate alla Commissione dell’Unione europea tre mesi prima della loro entrata in vigore.

13. Le operazioni di messa in riserva dei rifiuti pericolosi individuati ai sensi del presente articolo sono sottoposte alle procedure semplificate di comunicazione di inizio di attività solo se effettuate presso l’impianto dove avvengono le operazioni di riciclaggio e di recupero previste ai punti da R1 a R9 dell’Allegato C alla parte quarta del presente decreto.

14. Fatto salvo quanto previsto dal comma 13, le norme tecniche di cui ai commi 1, 2 e 3 stabiliscono le caratteristiche impiantistiche dei centri di messa in riserva di rifiuti non pericolosi non localizzati presso gli impianti dove sono effettuate le operazioni di riciclaggio e di recupero individuate ai punti da R1 a R9 dell’Allegato C alla parte quarta del presente decreto, nonche’ le modalità di stoccaggio e i termini massimi entro i quali i rifiuti devono essere avviati alle predette operazioni.

15. Le comunicazioni già effettuate alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto ai sensi dell’articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e le conseguenti iscrizioni nei registri tenuti dalle Province restano valide ed efficaci fino alla scadenza di cui al comma 5 del medesimo articolo 33.

TITOLO II

GESTIONE DEGLI IMBALLAGGI

ART. 217
(ambito di applicazione)

1. Il presente titolo disciplina la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia per prevenirne e ridurne l’impatto sull’ambiente ed assicurare un elevato livello di tutela dell’ambiente, sia per garantire il funzionamento del mercato, nonche’ per evitare discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, prevenire l’insorgere di ostacoli agli scambi e distorsioni della concorrenza e garantire il massimo rendimento possibile degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, in conformità alla direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994, come integrata e modificata dalla direttiva 2004/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, di cui la parte quarta del presente decreto costituisce recepimento nell’ordinamento interno. I sistemi di gestione devono essere aperti alla partecipazione degli operatori economici interessati.

2. La disciplina di cui al comma 1 riguarda la gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nazionale e di tutti i rifiuti di imballaggio derivanti dal loro impiego, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici, a qualsiasi titolo, qualunque siano i materiali che li compongono. Gli operatori delle rispettive filiere degli imballaggi nel loro complesso garantiscono, secondo i principi della “responsabilità condivisa”, che l’impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita.

3. Restano fermi i vigenti requisiti in materia di qualità degli imballaggi, come quelli relativi alla sicurezza, alla protezione della salute e all’igiene dei prodotti imballati, nonche’ le vigenti disposizioni in materia di trasporto e sui rifiuti pericolosi.

ART. 218
(definizioni)

1. Ai fini dell’applicazione del presente titolo si intende per:

a) imballaggio: il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonche’ gli articoli a perdere usati allo stesso scopo;

b) imballaggio per la vendita o imballaggio primario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore;

c) imballaggio multiplo o imballaggio secondario: imballaggio concepito in modo da costituire, nel punto di vendita, il raggruppamento di un certo numero di unità di vendita, indipendentemente dal fatto che sia venduto come tale all’utente finale o al consumatore, o che serva soltanto a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di vendita. Esso può essere rimosso dal prodotto senza alterarne le caratteristiche;

d) imballaggio per il trasporto o imballaggio terziario: imballaggio concepito in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli per evitare la loro manipolazione ed i danni connessi al trasporto, esclusi i container per i trasporti stradali, ferroviari marittimi ed aerei;

e) imballaggio riutilizzabile: imballaggio o componente di imballaggio che e’ stato concepito e progettato per sopportare nel corso del suo ciclo di vita un numero minimo di viaggi o rotazioni all’interno di un circuito di riutilizzo;

f) rifiuto di imballaggio: ogni imballaggio o materiale di imballaggio, rientrante nella definizione di rifiuto di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), esclusi i residui della produzione;

g) gestione dei rifiuti di imballaggio: le attività di gestione di cui all’articolo 183, comma 1, lettera d);

h) prevenzione: riduzione, in particolare attraverso lo sviluppo di prodotti e di tecnologie non inquinanti, della quantità e della nocività per l’ambiente sia delle materie e delle sostanze utilizzate negli imballaggi e nei rifiuti di imballaggio, sia degli imballaggi e rifiuti di imballaggio nella fase del processo di produzione, nonche’ in quella della commercializzazione, della distribuzione, dell’utilizzazione e della gestione post-consumo;

i) riutilizzo: qualsiasi operazione nella quale l’imballaggio concepito e progettato per poter compiere, durante il suo ciclo di vita, un numero minimo di spostamenti o rotazioni e’ riempito di nuovo o reimpiegato per un uso identico a quello per il quale e’ stato concepito, con o senza il supporto di prodotti ausiliari presenti sul mercato che consentano il riempimento dell’imballaggio stesso; tale imballaggio riutilizzato diventa rifiuto di imballaggio quando cessa di essere reimpiegato;

l) riciclaggio: ritrattamento in un processo di produzione dei rifiuti di imballaggio per la loro funzione originaria o per altri fini, incluso il riciclaggio organico e ad esclusione del recupero di energia;

m) recupero dei rifiuti generati da imballaggi: le operazioni che utilizzano rifiuti di imballaggio per generare materie prime secondarie, prodotti o combustibili, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, inclusa la cernita, e, in particolare, le operazioni previste nell’Allegato C alla parte quarta del presente decreto;

n) recupero di energia: l’utilizzazione di rifiuti di imballaggio combustibili quale mezzo per produrre energia mediante termovalorizzazione con o senza altri rifiuti ma con recupero di calore;

o) riciclaggio organico: il trattamento aerobico (compostaggio) o anaerobico (biometanazione), ad opera di microrganismi e in condizioni controllate, delle parti biodegradabili dei rifiuti di imballaggio, con produzione di residui organici stabilizzanti o di biogas con recupero energetico, ad esclusione dell’interramento in discarica, che non può essere considerato una forma di riciclaggio organico;

p) smaltimento: ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente un imballaggio o un rifiuto di imballaggio dal circuito economico e/o di raccolta e, in particolare, le operazioni previste nell’Allegato B alla parte quarta del presente decreto;

q) operatori economici: i produttori, gli utilizzatori, i recuperatori, i riciclatori, gli utenti finali, le pubbliche amministrazioni e i gestori;

r) produttori: i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio;

s) utilizzatori: i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni;

t) pubbliche amministrazioni e gestori: i soggetti e gli enti che provvedono alla organizzazione, controllo e gestione del servizio di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti urbani nelle forme di cui alla parte quarta del presente decreto o loro concessionari;

u) utente finale: il soggetto che nell’esercizio della sua attività professionale acquista, come beni strumentali, articoli o merci imballate;

v) consumatore: il soggetto che fuori dall’esercizio di una attività professionale acquista o importa per proprio uso imballaggi, articoli o merci imballate;

z) accordo volontario: accordo formalmente concluso tra le pubbliche amministrazioni competenti e i settori economici interessati, aperto a tutti i soggetti interessati, che disciplina i mezzi, gli strumenti e le azioni per raggiungere gli obiettivi di cui all’articolo 220;

aa) filiera: organizzazione economica e produttiva che svolge la propria attività, dall’inizio del ciclo di lavorazione al prodotto finito di imballaggio, nonche’ svolge attività di recupero e riciclo a fine vita dell’imballaggio stesso;

bb) ritiro: l’operazione di ripresa dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico, nonche’ dei rifiuti speciali assimilati, gestita dagli operatori dei servizi di igiene urbana o simili;

cc) ripresa: l’operazione di restituzione degli imballaggi usati secondari e terziari dall’utilizzatore o utente finale, escluso il consumatore, al fornitore della merce o distributore e, a ritroso, lungo la catena logistica di fornitura fino al produttore dell’ imballaggio stesso;

dd) imballaggio usato: imballaggio secondario o terziario già utilizzato e destinato ad essere ritirato o ripreso.

2. La definizione di imballaggio di cui alle lettere da a) ad e) del comma 1 e’ inoltre basata sui criteri interpretativi indicati nell’articolo 3 della direttiva 94/62/CEE, così come modificata dalla direttiva 2004/12/CE e sugli esempi illustrativi riportati nell’Allegato E alla parte quarta del presente decreto.

ART. 219
(criteri informatori dell’attività di gestione dei rifiuti di imballaggio)

1. L’attività di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio si informa ai seguenti principi generali:

a) incentivazione e promozione della prevenzione alla fonte della quantità e della pericolosità nella fabbricazione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, soprattutto attraverso iniziative, anche di natura economica in conformità ai principi del diritto comunitario, volte a promuovere lo sviluppo di tecnologie pulite ed a ridurre a monte la produzione e l’utilizzazione degli imballaggi, nonche’ a favorire la produzione di imballaggi riutilizzabili ed il loro concreto riutilizzo;

b) incentivazione del riciclaggio e del recupero di materia prima, sviluppo della raccolta differenziata di rifiuti di imballaggio e promozione di opportunità di mercato per incoraggiare l’utilizzazione dei materiali ottenuti da imballaggi riciclati e recuperati;

c) riduzione del flusso dei rifiuti di imballaggio destinati allo smaltimento finale attraverso le altre forme di recupero;

d) applicazione di misure di prevenzione consistenti in programmi nazionali o azioni analoghe da adottarsi previa consultazione degli operatori economici interessati.

2. Al fine di assicurare la responsabilizzazione degli operatori economici conformemente al principio “chi inquina paga” nonche’ la cooperazione degli stessi secondo i principi della “responsabilità condivisa”, l’attività di gestione dei rifiuti di imballaggio si ispira, inoltre, ai seguenti principi:

a) individuazione degli obblighi di ciascun operatore economico, garantendo che il costo della raccolta differenziata, della valorizzazione e dell’eliminazione dei rifiuti di imballaggio sia sostenuto dai produttori e dagli utilizzatori in proporzione alle quantità di imballaggi immessi sul mercato nazionale e che la pubblica amministrazione organizzi la raccolta differenziata;

b) promozione di forme di cooperazione tra i soggetti pubblici e privati;

c) informazione agli utenti degli imballaggi ed in particolare ai consumatori secondo le disposizioni del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale;

d) incentivazione della restituzione degli imballaggi usati e del conferimento dei rifiuti di imballaggio in raccolta differenziata da parte del consumatore.

3. Le informazioni di cui alla lettera c) del comma 2 riguardano in particolare:

a) i sistemi di restituzione, di raccolta e di recupero disponibili;

b) il ruolo degli utenti di imballaggi e dei consumatori nel processo di riutilizzazione, di recupero e di riciclaggio degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio;

c) il significato dei marchi apposti sugli imballaggi quali si presentano sul mercato;

d) gli elementi significativi dei programmi di gestione per gli imballaggi ed i rifiuti di imballaggio, di cui all’articolo 225, comma 1, e gli elementi significativi delle specifiche previsioni contenute nei piani regionali ai sensi dell’articolo 225, comma 6.

4. In conformità alle determinazioni assunte dalla Commissione dell’Unione europea, con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, sono adottate le misure tecniche necessarie per l’applicazione delle disposizioni del presente titolo, con particolare riferimento agli imballaggi pericolosi, anche domestici, nonche’ agli imballaggi primari di apparecchiature mediche e prodotti farmaceutici, ai piccoli imballaggi ed agli imballaggi di lusso. Qualora siano coinvolti aspetti sanitari, il predetto decreto e’ adottato di concerto con il Ministro della salute.

5. Tutti gli imballaggi devono essere opportunamente etichettati secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione dell’Unione europea, per facilitare la raccolta, il riutilizzo, il recupero ed il riciclaggio degli imballaggi, nonche’ per dare una corretta informazione ai consumatori sulle destinazioni finali degli imballaggi. Il predetto decreto dovrà altresì prescrivere l’obbligo di indicare, ai fini della identificazione e classificazione dell’imballaggio da parte dell’industria interessata, la natura dei materiali di imballaggio utilizzati, sulla base della decisione 97/129/CE della Commissione.

ART. 220
(obiettivi di recupero e di riciclaggio)

1. Per conformarsi ai principi di cui all’articolo 219, i produttori e gli utilizzatori devono conseguire gli obiettivi finali di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio in conformità alla disciplina comunitaria indicati nell’Allegato E alla parte quarta del presente decreto.

2. Per garantire il controllo del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio e di recupero, il Consorzio nazionale degli imballaggi di cui all’articolo 224 comunica annualmente alla Sezione nazionale del Catasto dei rifiuti, utilizzando il modello unico di dichiarazione di cui all’articolo 1 della legge 25 gennaio 1994, n. 70, i dati, riferiti all’anno solare precedente, relativi al quantitativo degli imballaggi per ciascun materiale e per tipo di imballaggio immesso sul mercato, nonche’, per ciascun materiale, la quantità degli imballaggi riutilizzati e dei rifiuti di imballaggio riciclati e recuperati provenienti dal mercato nazionale. Le predette comunicazioni possono essere presentate dai soggetti di cui all’articolo 221, comma 3, lettere a) e c), per coloro i quali hanno aderito ai sistemi gestionali ivi previsti ed inviate contestualmente al Consorzio nazionale imballaggi. I rifiuti di imballaggio esportati dalla Comunità ai sensi del regolamento (CEE) del l° febbraio 1993, n. 259, del Consiglio, del regolamento (CE) 29 aprile 1999, n. 1420, del Consiglio e del regolamento (CE) 12 luglio 1999, n. 1547, della Commissione sono presi in considerazione, ai fini dell’adempimento degli obblighi e del conseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, solo se sussiste idonea documentazione comprovante che l’operazione di recupero e/o di riciclaggio e’ stata effettuata con modalità equivalenti a quelle previste al riguardo dalla legislazione comunitaria. L’Autorità di cui all’articolo 207, entro centoventi giorni dalla sua istituzione, redige un elenco dei Paesi extracomunitari in cui le operazioni di recupero e/o di riciclaggio sono considerate equivalenti a quelle previste al riguardo dalla legislazione comunitaria, tenendo conto anche di eventuali decisioni e orientamenti dell’Unione europea in materia.

3. Le pubbliche amministrazioni e i gestori incoraggiano, per motivi ambientali o in considerazione del rapporto costi-benefici, il recupero energetico ove esso sia preferibile al riciclaggio, purche’ non si determini uno scostamento rilevante rispetto agli obiettivi nazionali di recupero e di riciclaggio.

4. Le pubbliche amministrazioni e i gestori incoraggiano, ove opportuno, l’uso di materiali ottenuti da rifiuti di imballaggio riciclati per la fabbricazione di imballaggi e altri prodotti mediante:

a) il miglioramento delle condizioni di mercato per tali materiali;

b) la revisione delle norme esistenti che impediscono l’uso di tali materiali.

5. Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 224, comma 3, lettera e), qualora gli obiettivi complessivi di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio come fissati al comma 1 non siano raggiunti alla scadenza prevista, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro delle attività produttive, alle diverse tipologie di materiali di imballaggi sono applicate misure di carattere economico, proporzionate al mancato raggiungimento di singoli obiettivi, il cui introito e’ versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ad apposito capitolo del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Dette somme saranno utilizzate per promuovere la prevenzione, la raccolta differenziata, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio.

6. Gli obiettivi di cui al comma 1 sono riferiti ai rifiuti di imballaggio generati sul territorio nazionale, nonche’ a tutti i sistemi di riciclaggio e di recupero al netto degli scarti e sono adottati ed aggiornati in conformità alla normativa comunitaria con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive.

7. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e il Ministro delle attività produttive notificano alla Commissione dell’Unione europea, ai sensi e secondo le modalità di cui agli articoli 12, 16 e 17 della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994, la relazione sull’attuazione delle disposizioni del presente titolo accompagnata dai dati acquisiti ai sensi del comma 2 e i progetti delle misure che si intendono adottare nell’ambito del titolo medesimo.

8. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e il Ministro delle attività produttive forniscono periodicamente all’Unione europea e agli altri Paesi membri i dati sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio secondo le tabelle e gli schemi adottati dalla Commissione dell’Unione europea con la decisione 2005/270/CE del 22 marzo 2005.

ART. 221
(obblighi dei produttori e degli utilizzatori)

1. I produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti.

2. Nell’ambito degli obiettivi di cui agli articoli 205 e 220 e del Programma di cui all’articolo 225, i produttori e gli utilizzatori, su richiesta del gestore del servizio e secondo quanto previsto dall’accordo di programma di cui all’articolo 224, comma 5, adempiono all’obbligo del ritiro dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico della stessa natura e raccolti in modo differenziato. A tal fine, per garantire il necessario raccordo con l’attività di raccolta differenziata organizzata dalle pubbliche amministrazioni e per le altre finalità indicate nell’articolo 224, i produttori e gli utilizzatori partecipano al Consorzio nazionale imballaggi, salvo il caso in cui venga adottato uno dei sistemi di cui al comma 3, lettere a) e c) del presente articolo.

3. Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonche’ agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all’obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all’articolo 224, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente:

a) organizzare autonomamente, anche in forma associata, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio su tutto il territorio nazionale;

b) aderire ad uno dei consorzi di cui all’articolo 223;

c) attestare sotto la propria responsabilità che e’ stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l’autosufficienza del sistema, nel rispetto dei criteri e delle modalità di cui ai commi 5 e 6.

4. Ai fini di cui al comma 3 gli utilizzatori sono tenuti a consegnare gli imballaggi usati secondari e terziari e i rifiuti di imballaggio secondari e terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato. Gli utilizzatori possono tuttavia conferire al servizio pubblico i suddetti imballaggi e rifiuti di imballaggio nei limiti derivanti dai criteri determinati ai sensi dell’articolo 195, comma 2, lettera e). Fino all’adozione dei criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), il conferimento degli imballaggi usati secondari e terziari e dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari al servizio pubblico e’ ammesso per superfici private non superiori a 150 metri quadri nei comuni con popolazione residente inferiore a diecimila abitanti, ovvero a 250 metri quadri nei comuni con popolazione residente superiore a diecimila abitanti.

5. I produttori che non aderiscono al Consorzio nazionale imballaggi e a un consorzio di cui all’articolo 223 devono richiedere all’Autorità di cui all’articolo 207, previa idonea ed esaustiva documentazione, il riconoscimento del sistema adottato ai sensi del comma 3, lettere a) o c), entro novanta giorni dall’assunzione della qualifica di produttore ai sensi dell’articolo 218, comma 1, lettera r) o dal recesso anche solo da uno dei suddetti consorzi; il recesso e’ efficace decorsi dodici mesi dalla relativa comunicazione. A tal fine i produttori devono dimostrare di aver organizzato il sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che il sistema e’ effettivamente ed autonomamente funzionante e che e’ in grado di conseguire, nell’ambito delle attività svolte, gli obiettivi di recupero e di riciclaggio di cui all’articolo 220. I produttori devono inoltre garantire che gli utilizzatori e gli utenti finali degli imballaggi siano informati sulle modalità del sistema adottato. L’Autorità, dopo ave r acquisito i necessari elementi di valutazione da parte del Consorzio nazionale imballaggi, si esprime entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di mancata risposta nel termine sopra indicato, l’interessato chiede al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio l’adozione dei relativi provvedimenti sostitutivi da emanarsi nei successivi sessanta giorni. L’Autorità e’ tenuta a presentare una relazione annuale di sintesi relativa a tutte le istruttorie esperite. Sono fatti salvi i riconoscimenti già operati ai sensi della previgente normativa.

6. I produttori di cui al comma 5 elaborano e trasmettono al Consorzio nazionale imballaggi di cui all’articolo 224 un proprio Programma specifico di prevenzione che costituisce la base per l’elaborazione del programma generale di cui all’articolo 225.

7. Entro il 30 settembre di ogni anno i produttori di cui al comma 5 presentano all’Autorità prevista dall’articolo 207 e al Consorzio nazionale imballaggi un piano specifico di prevenzione e gestione relativo all’anno solare successivo, che sarà inserito nel programma generale di prevenzione e gestione di cui all’articolo 225.

8. Entro il 31 maggio di ogni anno, i produttori di cui al comma 5 sono inoltre tenuti a presentare all’Autorità prevista dall’articolo 207 ed al Consorzio nazionale imballaggi una relazione sulla gestione relativa all’anno solare precedente, comprensiva dell’indicazione nominativa degli utilizzatori che, fino al consumo, partecipano al sistema di cui al comma 3, lettere a) o c), del programma specifico e dei risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio; nella stessa relazione possono essere evidenziati i problemi inerenti il raggiungimento degli scopi istituzionali e le eventuali proposte di adeguamento della normativa.

9. Il mancato riconoscimento del sistema ai sensi del comma 5, o la revoca disposta dall’Autorità, previo avviso all’interessato, qualora i risultati ottenuti siano insufficienti per conseguire gli obiettivi di cui all’articolo 220 ovvero siano stati violati gli obblighi previsti dai commi 6 e 7, comportano per i produttori l’obbligo di partecipare ad uno dei consorzi di cui all’articolo 223 e, assieme ai propri utilizzatori di ogni livello fino al consumo, al consorzio previsto dall’articolo 224. I provvedimenti dell’Autorità sono comunicati ai produttori interessati e al Consorzio nazionale imballaggi. L’adesione obbligatoria ai consorzi disposta in applicazione del presente comma ha effetto retroattivo ai soli fini della corresponsione del contributo ambientale previsto dall’articolo 224, comma 3, lettera h), e dei relativi interessi di mora. Ai produttori e agli utilizzatori che, entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione dell’Autorità, non provvedano ad aderire ai consorzi e a versare le so mme a essi dovute si applicano inoltre le sanzioni previste dall’articolo 261.

10. Sono a carico dei produttori e degli utilizzatori i costi per:

a) il ritiro degli imballaggi usati e la raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari;

b) gli oneri aggiuntivi relativi alla raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico per i quali l’Autorità d’ambito richiede al Consorzio nazionale imballaggi o per esso ai soggetti di cui al comma 3 di procedere al ritiro;

c) il riutilizzo degli imballaggi usati;

d) il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio;

e) lo smaltimento dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari.

11. La restituzione di imballaggi usati o di rifiuti di imballaggio, ivi compreso il conferimento di rifiuti in raccolta differenziata, non deve comportare oneri economici per il consumatore.

ART. 222
(raccolta differenziata e obblighi della pubblica amministrazione)

1. La pubblica amministrazione deve organizzare sistemi adeguati di raccolta differenziata in modo da permettere al consumatore di conferire al servizio pubblico rifiuti di imballaggio selezionati dai rifiuti domestici e da altri tipi di rifiuti di imballaggio. In particolare:

a) deve essere garantita la copertura omogenea del territorio in ciascun ambito territoriale ottimale, tenuto conto del contesto geografico;

b) la gestione della raccolta differenziata deve essere effettuata secondo criteri che privilegino l’efficacia, l’efficienza e l’economicità del servizio, nonche’ il coordinamento con la gestione di altri rifiuti.

2. Nel caso in cui l’Autorità di cui all’articolo 207 accerti che le pubbliche amministrazioni non abbiano attivato sistemi adeguati di raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, anche per il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 205, ed in particolare di quelli di recupero e riciclaggio di cui all’articolo 220, può richiedere al Consorzio nazionale imballaggi di sostituirsi ai gestori dei servizi di raccolta differenziata, anche avvalendosi di soggetti pubblici o privati individuati dal Consorzio nazionale imballaggi medesimo mediante procedure trasparenti e selettive, in via temporanea e d’urgenza, comunque per un periodo non superiore a ventiquattro mesi, sempre che ciò avvenga all’interno di ambiti ottimali opportunamente identificati, per l’organizzazione e/o integrazione del servizio ritenuto insufficiente. Qualora il Consorzio nazionale imballaggi, per raggiungere gli obiettivi di recupero e riciclaggio previsti dall’articolo 220, decida di aderire alla richiesta, verrà al medesimo corrisposto il valore della tariffa applicata per la raccolta dei rifiuti urbani corrispondente, al netto dei ricavi conseguiti dalla vendita dei materiali e del corrispettivo dovuto sul ritiro dei rifiuti di imballaggio e delle frazioni merceologiche omogenee. Ove il Consorzio nazionale imballaggi non dichiari di accettare entro quindici giorni dalla richiesta, l’Autorità, nei successivi quindici giorni, individua, mediante procedure trasparenti e selettive, un soggetto di comprovata e documentata affidabilità e capacità a cui affidare la raccolta differenziata e conferire i rifiuti di imballaggio in via temporanea e d’urgenza, fino all’espletamento delle procedure ordinarie di aggiudicazione del servizio e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi, prorogabili di ulteriori dodici mesi in caso di impossibilità oggettiva e documentata di aggiudicazione.

3. Le pubbliche amministrazioni incoraggiano, ove opportuno, l’utilizzazione di materiali provenienti da rifiuti di imballaggio riciclati per la fabbricazione di imballaggi e altri prodotti.

4. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e il Ministro delle attività produttive curano la pubblicazione delle misure e degli obiettivi oggetto delle campagne di informazione di cui all’articolo 224, comma 3, lettera g).

5. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive cura la pubblicazione delle norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate di cui all’articolo 226, comma 3, e ne dà comunicazione alla Commissione dell’Unione europea.

ART. 223
(consorzi)

1. Al fine di razionalizzare ed organizzare la ripresa degli imballaggi usati, la raccolta dei rifiuti di imballaggi secondari e terziari su superfici private e il ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all’articolo 224, dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, nonche’ il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza, i produttori che non provvedono ai sensi dell’articolo 221, comma 3, lettere a) e c), costituiscono uno o più consorzi per ciascun materiale di imballaggio operanti su tutto il territorio nazionale. Ai consorzi di cui al presente comma possono partecipare i recuperatori e i riciclatori che non corrispondono alla categoria dei produttori, previo accordo con gli altri consorziati ed unitamente agli stessi.

2. I consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro e sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo, redatto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro centottatta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva nei successivi novanta giorni, con suo provvedimento adottato di concerto con il Ministro delle attività produttive. Ove il Ministro ritenga di non approvare lo statuto trasmesso, per motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al consorzio richiedente con le r elative osservazioni. I consorzi già riconosciuti ai sensi della previgente normativa sono tenuti ad adeguare il loro statuto in conformità al nuovo schema tipo entro centoventi giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il decreto ministeriale di approvazione dello statuto dei consorzi e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

3. I consorzi di cui al comma 1 sono tenuti a garantire l’equilibrio della propria gestione finanziaria. A tal fine i mezzi finanziari per il funzionamento dei predetti consorzi derivano dai contributi dei consorziati e dai versamenti effettuati dal Consorzio nazionale imballaggi ai sensi dell’articolo 224, comma 3, lettera h), secondo le modalità indicate dall’articolo 224, comma 8, dai proventi della cessione, nel rispetto dei principi della concorrenza e della corretta gestione ambientale, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio ripresi, raccolti o ritirati, nonche’ da altri eventuali proventi e contributi di consorziati o di terzi.

4. Ciascun consorzio mette a punto e trasmette al Consorzio nazionale imballaggi ed all’Autorità di cui all’articolo 207 un proprio Programma specifico di prevenzione che costituisce la base per l’elaborazione del programma generale di cui all’articolo 225.

5. Entro il 30 settembre di ogni anno i consorzi di cui al presente articolo presentano all’Autorità prevista dall’articolo 207 e al Consorzio nazionale imballaggi un piano specifico di prevenzione e gestione relativo all’anno solare successivo, che sarà inserito nel programma generale di prevenzione e gestione.

6. Entro il 31 maggio di ogni anno, i consorzi di cui al presente articolo sono inoltre tenuti a presentare all’Autorità di cui all’articolo 207 ed al Consorzio nazionale imballaggi una relazione sulla gestione relativa all’anno precedente, con l’indicazione nominativa dei consorziati, il programma specifico ed i risultati conseguiti nel recupero e nel riciclo dei rifiuti di imballaggio.

ART. 224
(Consorzio nazionale imballaggi)

1. Per il raggiungimento degli obiettivi globali di recupero e di riciclaggio e per garantire il necessario coordinamento dell’attività di raccolta differenziata, i produttori e gli utilizzatori, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 221, comma 2, partecipano in forma paritaria al Consorzio nazionale imballaggi, in seguito denominato CONAI, che ha personalità giuridica di diritto privato senza fine di lucro ed e’ retto da uno statuto approvato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive.

2. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, il CONAI adegua il proprio statuto ai principi contenuti nel presente decreto ed in particolare a quelli di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore, ai sensi dell’articolo 221, comma 2. Lo statuto adottato e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva di concerto con il Ministro delle attività produttive, salvo motivate osservazioni cui il CONAI e’ tenuto ad adeguarsi nei successivi sessanta giorni. Qualora il CONAI non ottemperi nei termini prescritti, le modifiche allo statuto sono apportate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive.

3. Il CONAI svolge le seguenti funzioni:

a) definisce, in accordo con le regioni e con le pubbliche amministrazioni interessate, gli ambiti territoriali in cui rendere operante un sistema integrato che comprenda la raccolta, la selezione e il trasporto dei materiali selezionati a centri di raccolta o di smistamento;

b) definisce, con le pubbliche amministrazioni appartenenti ai singoli sistemi integrati di cui alla lettera a), le condizioni generali di ritiro da parte dei produttori dei rifiuti selezionati provenienti dalla raccolta differenziata;

c) elabora ed aggiorna, sulla base dei programmi specifici di prevenzione di cui agli articoli 221, comma 6, e 223, comma 4, il Programma generale per la prevenzione e la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio di cui all’articolo 225;

d) promuove accordi di programma con gli operatori economici per favorire il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio e ne garantisce l’attuazione;

e) assicura la necessaria cooperazione tra i consorzi di cui all’articolo 223, i soggetti di cui all’articolo 221, comma 3, lettere a) e c) e gli altri operatori economici, anche eventualmente destinando una quota del contributo ambientale CONAI, di cui alla lettera h), ai consorzi che realizzano percentuali di recupero o di riciclo superiori a quelle minime indicate nel Programma generale, al fine del conseguimento degli obiettivi globali di cui all’Allegato E alla parte quarta del presente decreto. Nella medesima misura e’ ridotta la quota del contributo spettante ai consorzi che non raggiungono i singoli obiettivi di recupero;

f) garantisce il necessario raccordo tra le amministrazioni pubbliche, i consorzi e gli altri operatori economici;

g) organizza, in accordo con le pubbliche amministrazioni, le campagne di informazione ritenute utili ai fini dell’attuazione del Programma generale;

h) ripartisce tra i produttori e gli utilizzatori i maggiori oneri per la raccolta differenziata di cui all’articolo 221, comma 10, lettera b), nonche’ gli oneri per il riciclaggio e per il recupero dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio di raccolta differenziata, in proporzione alla quantità totale, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale, al netto delle quantità di imballaggi usati riutilizzati nell’anno precedente per ciascuna tipologia di materiale. A tal fine determina e pone a carico dei consorziati, con le modalità individuate dallo statuto, anche in base alle utilizzazioni e ai criteri di cui al comma 8, il contributo denominato contributo ambientale CONAI;

i) promuove il coordinamento con la gestione di altri rifiuti previsto dall’articolo 222, comma 1, lettera b), anche definendone gli ambiti di applicazione;

l) promuove la conclusione, su base volontaria, di accordi tra i consorzi di cui all’articolo 223 e i soggetti di cui all’articolo 221, comma 3, lettere a) e c), con soggetti pubblici e privati. Tali accordi sono relativi alla gestione ambientale della medesima tipologia di materiale oggetto dell’intervento dei consorzi con riguardo agli imballaggi, esclusa in ogni caso l’utilizzazione del contributo ambientale CONAI;

m) fornisce i dati e le informazioni richieste dall’Autorità di cui all’articolo 207 e assicura l’osservanza degli indirizzi da questa tracciati.

4. Per il raggiungimento degli obiettivi pluriennali di recupero e riciclaggio, gli eventuali avanzi di gestione accantonati dal CONAI e dai consorzi di cui all’articolo 223 nelle riserve costituenti il loro patrimonio netto non concorrono alla formazione del reddito, a condizione che sia rispettato il divieto di distribuzione, sotto qualsiasi forma, ai consorziati ed agli aderenti di tali avanzi e riserve, anche in caso di scioglimento dei predetti sistemi gestionali, dei consorzi e del CONAI.

5. Il CONAI può stipulare un accordo di programma quadro su base nazionale con l’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), con l’Unione delle province italiane (UPI) o con le Autorità d’ambito al fine di garantire l’attuazione del principio di corresponsabilità gestionale tra produttori, utilizzatori e pubbliche amministrazioni. In particolare, tale accordo stabilisce:

a) l’entità dei maggiori oneri per la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, di cui all’articolo 221, comma 10, lettera b), da versare alle competenti pubbliche amministrazioni, determinati secondo criteri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza di gestione del servizio medesimo, nonche’ sulla base della tariffa di cui all’articolo 238, dalla data di entrata in vigore della stessa;

b) gli obblighi e le sanzioni posti a carico delle parti contraenti;

c) le modalità di raccolta dei rifiuti da imballaggio in relazione alle esigenze delle attività di riciclaggio e di recupero.

6. L’accordo di programma di cui al comma 5 e’ trasmesso all’Autorità di cui all’articolo 207, che può richiedere eventuali modifiche ed integrazioni entro i successivi sessanta giorni.

7. Ai fini della ripartizione dei costi di cui al comma 3, lettera h), sono esclusi dal calcolo gli imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato previa cauzione.

8. Il contributo ambientale CONAI e’ utilizzato in via prioritaria per il ritiro degli imballaggi primari o comunque conferiti al servizio pubblico ed e’ attribuito dal CONAI, sulla base di apposite convenzioni, ai soggetti di cui all’articolo 223 in proporzione diretta alla quantità e qualità dei rifiuti da imballaggio recuperati oppure riciclati e tenendo conto della quantità e tipologia degli imballaggi immessi sul territorio nazionale. Al fine della ulteriore utilizzazione del contributo, il CONAI stipula, con i soggetti di cui all’articolo 223, accordi per l’organizzazione dei sistemi di raccolta, recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari. E’ fatto obbligo al CONAI ed ai soggetti di cui all’articolo 223 di adottare uno specifico sistema contabile che distingua la quota del contributo ambientale CONAI utilizzata per il ritiro, il riciclo ed il recupero degli imballaggi primari, o comunque conferiti al servizio pubblico, da quella utilizzata per imballaggi secondari e terziari ri tirati, riciclati o recuperati da superficie privata. Il CONAI provvede ai mezzi finanziari necessari per lo svolgimento delle proprie funzioni con i proventi dell’attività, con i contributi dei consorziati e con una quota del contributo ambientale CONAI, determinata nella misura necessaria a far fronte alle spese derivanti dall’espletamento, nel rispetto dei criteri di contenimento dei costi e di efficienza della gestione, delle funzioni conferitegli dal presente titolo.

9. L’applicazione del contributo ambientale CONAI esclude l’assoggettamento del medesimo bene e delle materie prime che lo costituiscono ad altri contributi con finalità ambientali previsti dalla parte quarta del presente decreto o comunque istituiti in applicazione del presente decreto.

10. Al Consiglio di amministrazione del CONAI partecipa con diritto di voto un rappresentante dei consumatori indicato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e dal Ministro delle attività produttive.

11. Al Consiglio di amministrazione del CONAI non possono partecipare gli amministratori ai quali siano attribuite deleghe operative ed i titolari di cariche direttive degli organismi di cui agli articoli 221, comma 3, lettere a) e c), e 223.

12. In caso di mancata stipula degli accordi di cui ai commi 3 e 5, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive può determinare con proprio decreto l’entità dei maggiori oneri per la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, di cui all’articolo 221, comma 10, lettera b), a carico dei produttori e degli utilizzatori, nonche’ le condizioni e le modalità di ritiro dei rifiuti stessi da parte dei produttori. Qualora tali accordi siano conclusi dal CONAI e uno o più dei soggetti di cui all’articolo 221, comma 3, lettere a) e c), o uno o più consorzi di cui all’articolo 223 non vi aderiscano o non concludano con le competenti amministrazioni pubbliche, che lo richiedano, le convenzioni locali per il ritiro dei rifiuti di imballaggio alle condizioni stabilite dall’accordo concluso con il CONAI, il CONAI medesimo può subentrare a tali soggetti nella conclusione delle convenzioni locali, se necessario per raggiungere gli obiettivi di recupero e di riciclaggio previsti dall’articolo 220.

13. Nel caso siano superati, a livello nazionale, gli obiettivi finali di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggio indicati nel programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi di cui all’articolo 225, il CONAI adotta, nell’ambito delle proprie disponibilità finanziarie, forme particolari di incentivo per il ritiro dei rifiuti di imballaggi nelle aree geografiche che non abbiano ancora raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata di cui all’articolo 205, comma 1, entro i limiti massimi di riciclaggio previsti dall’Allegato E alla parte quarta del presente decreto.

ART. 225
(programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio)

1. Sulla base dei programmi specifici di prevenzione di cui agli articoli 221, comma 6, e 223, comma 4, il CONAI elabora annualmente un Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio che individua, con riferimento alle singole tipologie di materiale di imballaggio, le misure per conseguire i seguenti obiettivi:

a) prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio;

b) accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggio riciclabili rispetto alla quantità di imballaggi non riciclabili;

c) accrescimento della proporzione della quantità di rifiuti di imballaggio riutilizzabili rispetto alla quantità di imballaggi non riutilizzabili;

d) miglioramento delle caratteristiche dell’imballaggio allo scopo di permettere ad esso di sopportare più tragitti o rotazioni nelle condizioni di utilizzo normalmente prevedibili;

e) realizzazione degli obiettivi di recupero e riciclaggio.

2. Il Programma generale di prevenzione determina, inoltre:

a) la percentuale in peso di ciascuna tipologia di rifiuti di imballaggio da recuperare ogni cinque anni e, nell’ambito di questo obiettivo globale, sulla base della stessa scadenza, la percentuale in peso da riciclare delle singole tipologie di materiali di imballaggio, con un minimo percentuale in peso per ciascun materiale;

b) gli obiettivi intermedi di recupero e riciclaggio rispetto agli obiettivi di cui alla lettera a).

3. Entro il 30 novembre di ogni anno il CONAI trasmette all’Autorità di cui all’articolo 207 un piano specifico di prevenzione e gestione relativo all’anno solare successivo, che sarà inserito nel programma generale di prevenzione e gestione.

4. La relazione generale consuntiva relativa all’anno solare precedente e’ trasmessa per il parere all’Autorità di cui all’articolo 207, entro il 30 giugno di ogni anno. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro delle attività produttive, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e l’ANCI si provvede alla approvazione ed alle eventuali modificazioni e integrazioni del Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.

5. Nel caso in cui il Programma generale non sia predisposto, lo stesso e’ elaborato in via sostitutiva dall’Autorità di cui all’articolo 207. In tal caso gli obiettivi di recupero e riciclaggio sono quelli massimi previsti dall’allegato E alla parte quarta del presente decreto.

6. I piani regionali di cui all’articolo 199 sono integrati con specifiche previsioni per la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sulla base del programma di cui al presente articolo.

ART. 226
(divieti)

1. E’ vietato lo smaltimento in discarica degli imballaggi e dei contenitori recuperati, ad eccezione degli scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio.

2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 221, comma 4, e’ vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata nei limiti previsti dall’articolo 221, comma 4.

3. Possono essere commercializzati solo imballaggi rispondenti agli standard europei fissati dal Comitato europeo normalizzazione in conformità ai requisiti essenziali stabiliti dall’articolo 9 della direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive sono aggiornati i predetti standard, tenuto conto della comunicazione della Commissione europea 2005/C44/ 13. Sino all’emanazione del predetto decreto si applica l’Allegato F alla parte quarta del presente decreto.

4. E’ vietato immettere sul mercato imballaggi o componenti di imballaggio, ad eccezione degli imballaggi interamente costituiti di cristallo, con livelli totali di concentrazione di piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente superiore a 100 parti per milione (ppm) in peso. Per gli imballaggi in vetro si applica la decisione 2001/171/CE del 19 febbraio 2001 e per gli imballaggi in plastica si applica la decisione 1999/177/CE del 8 febbraio 1999.

5. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive sono determinate, in conformità alle decisioni dell’Unione europea:

a) le condizioni alle quali i livelli di concentrazione di cui al comma 4 non si applicano ai materiali riciclati e ai circuiti di produzione localizzati in una catena chiusa e controllata;

b) le tipologie di imballaggio esonerate dal requisito di cui al comma 4.

TITOLO III

GESTIONE DI PARTICOLARI CATEGORIE DI RIFIUTI

ART. 227
(rifiuti elettrici ed elettronici, rifiuti sanitari, veicoli fuori uso e prodotti contenenti amianto)

1. Restano ferme le disposizioni speciali, nazionali e comunitarie relative alle altre tipologie di rifiuti, ed in particolare quelle riguardanti:

a) rifiuti elettrici ed elettronici: direttiva 2000/53/CE, direttiva 2002/95/CE e direttiva 2003/108/CE e relativo decreto legislativo di attuazione 25 luglio 2005, n. 151. Relativamente alla data di entrata in vigore delle singole disposizioni del citato provvedimento, nelle more dell’entrata in vigore di tali disposizioni, continua ad applicarsi la disciplina di cui all’articolo 44 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;

b) rifiuti sanitari: decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254;

c) veicoli fuori uso: direttiva 2000/53/CE e decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, ferma restando la ripartizione degli oneri, a carico degli operatori economici, per il ritiro e trattamento dei veicoli fuori uso in conformità a quanto previsto dall’articolo 5, comma 4, della citata direttiva 2000/53/CE;

d) recupero dei rifiuti dei beni e prodotti contenenti amianto: decreto ministeriale 29 luglio 2004, n. 248.

ART. 228
(pneumatici fuori uso)

1. Fermo restando il disposto di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, nonche’ il disposto di cui agli articoli 179 e 180 del presente decreto, al fine di ottimizzare il recupero dei pneumatici fuori uso e per ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione e’ fatto obbligo ai produttori e importatori di pneumatici di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi sul mercato e destinati alla vendita sul territorio nazionale.

2. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, da emanarsi nel termine di giorni centoventi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, sono disciplinati i tempi e le modalità attuative dell’obbligo di cui al comma 1. In tutte le fasi della commercializzazione dei pneumatici e’ indicato in fattura il contributo a carico degli utenti finali necessario, anche in relazione alle diverse tipologie di pneumatici, per far fronte agli oneri derivanti dall’obbligo di cui al comma 1.

3. Il trasferimento all’eventuale struttura operativa associata, da parte dei produttori e importatori di pneumatici che ne fanno parte, delle somme corrispondenti al contributo per il recupero, calcolato sul quantitativo di pneumatici immessi sul mercato nell’anno precedente costituisce adempimento dell’obbligo di cui al comma 1 con esenzione del produttore o importatore da ogni relativa responsabilità.

4. I produttori e gli importatori di pneumatici inadempienti agli obblighi di cui al comma 1 sono assoggettati ad una sanzione amministrativa pecuniaria proporzionata alla gravità dell’inadempimento, comunque non superiore al doppio del contributo incassato per il periodo considerato.

ART. 229
(combustibile da rifiuti e combustibile da rifiuti di qualità elevata – cdr e cdr-q)

1. Ai sensi e per gli effetti della parte quarta del presente decreto, il combustibile da rifiuti (CDR), di seguito CDR, come definito dall’articolo 183, comma 1, lettera r), e’ classificato come rifiuto speciale.

2. Ferma restando l’applicazione della disciplina di cui al presente articolo, e’ escluso dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto il combustibile da rifiuti di qualità elevata (CDR-Q), di seguito CDR-Q, come definito dall’articolo 183, comma 1, lettera s), prodotto nell’ambito di un processo produttivo che adotta un sistema di gestione per la qualità basato sullo standard UNI-EN ISO 9001 e destinato all’effettivo utilizzo in co-combustione, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 11 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 292 del 14 dicembre 1999, in impianti di produzione di energia elettrica e in cementifici, come specificato nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2002. Il Governo e’ autorizzato ad apportare le conseguenti modifiche al citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2 002.

3. La produzione del CDR e del CDR-Q deve avvenire nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti e rimane comunque subordinata al rilascio delle autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio dell’impianto previste dalla parte quarta del presente decreto. Nella produzione del CDR e del CDR-Q e’ ammesso per una percentuale massima del cinquanta per cento in peso l’impiego di rifiuti speciali non pericolosi. Per la produzione e l’impiego del CDR e’ ammesso il ricorso alle procedure semplificate di cui agli articoli 214 e 216.

4. Ai fini della costruzione e dell’esercizio degli impianti di incenerimento o coincenerimento che utilizzano il CDR si applicano le specifiche disposizioni, comunitarie e nazionali, in materia di autorizzazione integrata ambientale e di incenerimento dei rifiuti. Per la costruzione e per l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica e per i cementifici che utilizzano CDR-Q si applica la specifica normativa di settore. Le modalità per l’utilizzo del CDR-Q sono definite dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002.

5. Il CDR-Q e’ fonte rinnovabile, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, in misura proporzionale alla frazione biodegradabile in esso contenuta.

6. Il CDR e il CDR-Q beneficiano del regime di incentivazione di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.

ART. 230
(rifiuti derivanti da attività di manutenzione delle infrastrutture)

1. Il luogo di produzione dei rifiuti derivanti da attività di manutenzione alle infrastrutture, effettuata direttamente dal gestore dell’infrastruttura a rete e degli impianti per l’erogazione di forniture e servizi di interesse pubblico o tramite terzi, può coincidere con la sede del cantiere che gestisce l’attività manutentiva o con la sede locale del gestore della infrastruttura nelle cui competenze rientra il tratto di infrastruttura interessata dai lavori di manutenzione ovvero con il luogo di concentramento dove il materiale tolto d’opera viene trasportato per la successiva valutazione tecnica, finalizzata all’individuazione del materiale effettivamente, direttamente ed oggettivamente riutilizzabile, senza essere sottoposto ad alcun trattamento.

2. La valutazione tecnica del gestore della infrastruttura di cui al comma 1 e’ eseguita non oltre sessanta giorni dalla data di ultimazione dei lavori. La documentazione relativa alla valutazione tecnica e’ conservata, unitamente ai registri di carico e scarico, per cinque anni.

3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai rifiuti derivanti da attività manutentiva, effettuata direttamente da gestori erogatori di pubblico servizio o tramite terzi, dei mezzi e degli impianti fruitori delle infrastrutture di cui al comma 1.

4. Fermo restando quanto previsto nell’articolo 190, comma 3, i registri di carico e scarico relativi ai rifiuti prodotti dai soggetti e dalle attività di cui al presente articolo possono essere tenuti nel luogo di produzione dei rifiuti così come definito nel comma 1.

5. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e delle infrastrutture, sono definite le modalità di gestione dei rifiuti provenienti dalle attività di pulizia manutentiva delle fognature, sulla base del criterio secondo il quale tali rifiuti si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge l’attività di pulizia manutentiva.

ART. 231
(veicoli fuori uso non disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209)

1. Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio, con esclusione di quelli disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2002, n. 209, che intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli articoli 208, 209 e 210. Tali centri di raccolta possono ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore.

2. Il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio di cui al comma 1 destinato alla demolizione può altresì consegnarlo ai concessionari o alle succursali delle case costruttrici per la consegna successiva ai centri di cui al comma 1, qualora intenda cedere il predetto veicolo o rimorchio per acquistarne un altro.

3. I veicoli a motore o i rimorchi di cui al comma 1 rinvenuti da organi pubblici o non reclamati dai proprietari e quelli acquisiti per occupazione ai sensi degli articoli 927, 928, 929 e 923 del codice civile sono conferiti ai centri di raccolta di cui al comma 1 nei casi e con le procedure determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze, dell’ambiente e della tutela del territorio e delle infrastrutture e dei trasporti. Fino all’adozione di tale decreto, trova applicazione il decreto 22 ottobre 1999, n. 460.

4. I centri di raccolta ovvero i concessionari o le succursali delle case costruttrici rilasciano al proprietario del veicolo o del rimorchio consegnato per la demolizione un certificato dal quale deve risultare la data della consegna, gli estremi dell’autorizzazione del centro, le generalità del proprietario e gli estremi di identificazione del veicolo, nonche’ l’assunzione, da parte del gestore del centro stesso ovvero del concessionario o del titolare della succursale, dell’impegno a provvedere direttamente alle pratiche di cancellazione dal Pubblico registro automobilistico (PRA).

5. La cancellazione dal PRA dei veicoli e dei rimorchi avviati a demolizione avviene esclusivamente a cura del titolare del centro di raccolta o del concessionario o del titolare della succursale senza oneri di agenzia a carico del proprietario del veicolo o del rimorchio. A tal fine, entro novanta giorni dalla consegna del veicolo o del rimorchio da parte del proprietario, il gestore del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale deve comunicare l’avvenuta consegna per la demolizione del veicolo e consegnare il certificato di proprietà, la carta di circolazione e le targhe al competente Ufficio del PRA che provvede ai sensi e per gli effetti dell’articolo 103, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

6. Il possesso del certificato di cui al comma 4 libera il proprietario del veicolo dalla responsabilità civile, penale e amministrativa connessa con la proprietà dello stesso.

7. I gestori dei centri di raccolta, i concessionari e i titolari delle succursali delle case costruttrici di cui ai commi 1 e 2 non possono alienare, smontare o distruggere i veicoli a motore e i rimorchi da avviare allo smontaggio ed alla successiva riduzione in rottami senza aver prima adempiuto ai compiti di cui al comma 5.

8. Gli estremi della ricevuta dell’avvenuta denuncia e consegna delle targhe e dei documenti agli uffici competenti devono essere annotati sull’apposito registro di entrata e di uscita dei veicoli da tenersi secondo le norme del regolamento di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

9. Agli stessi obblighi di cui ai commi 7 e 8 sono soggetti i responsabili dei centri di raccolta o altri luoghi di custodia di veicoli rimossi ai sensi dell’articolo 159 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, nel caso di demolizione del veicolo ai sensi dell’articolo 215, comma 4 del predetto decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

10. E’ consentito il commercio delle parti di ricambio recuperate dalla demolizione dei veicoli a motore o dei rimorchi ad esclusione di quelle che abbiano attinenza con la sicurezza dei veicoli. L’origine delle parti di ricambio immesse alla vendita deve risultare dalle fatture e dalle ricevute rilasciate al cliente.

11. Le parti di ricambio attinenti alla sicurezza dei veicoli sono cedute solo agli esercenti l’attività di autoriparazione di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 122, e, per poter essere utilizzate, ciascuna impresa di autoriparazione e’ tenuta a certificarne l’idoneità e la funzionalità.

12. L’utilizzazione delle parti di ricambio di cui ai commi 10 e 11 da parte delle imprese esercenti attività di autoriparazione deve risultare dalle fatture rilasciate al cliente.

13. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti, emana le norme tecniche relative alle caratteristiche degli impianti di demolizione, alle operazioni di messa in sicurezza e all’individuazione delle parti di ricambio attinenti la sicurezza di cui al comma 11. Fino all’adozione di tale decreto, si applicano i requisiti relativi ai centri di raccolta e le modalità di trattamento dei veicoli di cui all’Allegato I del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209.

ART. 232
(rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico)

1. La disciplina di carattere nazionale relativa ai rifiuti prodotti dalle navi ed ai residui di carico e’ contenuta nel decreto legislativo 24 giugno 2003 n. 182.

2. Gli impianti che ricevono acque di sentina già sottoposte a un trattamento preliminare in impianti autorizzati ai sensi della legislazione vigente possono accedere alle procedure semplificate di cui al decreto 17 novembre 2005, n. 269, fermo restando che le materie prime e i prodotti ottenuti devono possedere le caratteristiche indicate al punto 6.6.4 dell’Allegato 3 del predetto decreto, come modificato dal comma 3 del presente articolo.

3. Ai punti 2.4 dell’allegato 1 e 6.6.4 dell’Allegato 3 del decreto 17 novembre 2005, n. 269 la congiunzione: “e” e’ sosituita dalla disgiunzione: “o”.

ART. 233
(consorzi nazionali di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti)

1. Al fine di razionalizzare ed organizzare la gestione degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti, tutti gli operatori della filiera costituiscono uno o più consorzi. I sistemi di gestione adottati devono conformarsi ai principi di cui all’articolo 237.

2. I consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro e sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo redatto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva nei successivi novanta giorni, con suo provvedimento adottato di concerto con il Ministro delle attività produttive. Ove il Ministro ritenga di non approvare lo statuto trasmesso, per motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al consorzio richiedente con le r elative osservazioni. I consorzi già riconosciuti ai sensi della previgente normativa sono tenuti ad adeguare il loro statuto in conformità al nuovo schema tipo entro centoventi giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il decreto ministeriale di approvazione dello statuto dei consorzi e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

3. I consorzi svolgono per tutto il territorio nazionale i seguenti compiti:

a) assicurano la raccolta presso i soggetti di cui al comma 12, il trasporto, lo stoccaggio, il trattamento e il recupero degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti;

b) assicurano, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di inquinamento, lo smaltimento di oli e grassi vegetali e animali esausti raccolti dei quali non sia possibile o conveniente la rigenerazione;

c) promuovono lo svolgimento di indagini di mercato e di studi di settore al fine di migliorare, economicamente e tecnicamente, il ciclo di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento e recupero degli oli e grassi vegetali e animali esausti.

4. Le deliberazioni degli organi dei consorzi, adottate in relazione alle finalità della parte quarta del presente decreto ed a norma dello statuto, sono vincolanti per tutte le imprese partecipanti.

5. Partecipano ai consorzi:

a) le imprese che producono, importano o detengono oli e grassi vegetali ed animali esausti;

b) le imprese che riciclano e recuperano oli e grassi vegetali e animali esausti;

c) le imprese che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio di oli e grassi vegetali e animali esausti;

d) eventualmente, le imprese che abbiano versato contributi di riciclaggio ai sensi del comma 10, lettera d).

6. Le quote di partecipazione ai consorzi sono determinate in base al rapporto tra la capacità produttiva di ciascun consorziato e la capacità produttiva complessivamente sviluppata da tutti i consorziati appartenenti alla medesima categoria.

7. La determinazione e l’assegnazione delle quote compete al consiglio di amministrazione dei consorzi che vi provvede annualmente secondo quanto stabilito dallo statuto.

8. Nel caso di incapacità o di impossibilità di adempiere, per mezzo delle stesse imprese consorziate, agli obblighi di raccolta, trasporto, stoccaggio, trattamento e riutilizzo degli oli e dei grassi vegetali e animali esausti stabiliti dalla parte quarta del presente decreto, il consorzio può, nei limiti e nei modi determinati dallo statuto, stipulare con le imprese pubbliche e private contratti per l’assolvimento degli obblighi medesimi.

9. Gli operatori che non provvedono ai sensi del comma 1 possono, entro centoventi giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dello Statuto tipo ai sensi del comma 2, organizzare autonomamente, anche in forma associata, la gestione degli oli e grassi vegetali e animali esausti su tutto il territorio nazionale. In tale ipotesi gli operatori stessi devono richiedere all’Autorità di cui all’articolo 207, previa trasmissione di idonea documentazione, il riconoscimento del sistema adottato. A tal fine i predetti operatori devono dimostrare di aver organizzato il sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che il sistema e’ effettivamente ed autonomamente funzionante e che e’ in grado di conseguire, nell’ambito delle attività svolte, gli obiettivi fissati dal presente articolo. Gli operatori devono inoltre garantire che gli utilizzatori e gli utenti finali siano informati sulle modalità del sistema adottato. L’Autorità, dopo aver acquisito i necessari elementi di valutazione, si esprime entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di mancata risposta nel termine sopra indicato, l’interessato chiede al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio l’adozione dei relativi provvedimenti sostitutivi da emanarsi nei successivi sessanta giorni. L’Autorità e’ tenuta a presentare una relazione annuale di sintesi relativa a tutte le istruttorie esperite.

10. I consorzi sono tenuti a garantire l’equilibrio della propria gestione finanziaria. Le risorse finanziarie dei consorzi sono costituite:

a) dai proventi delle attività svolte dai consorzi;

b) dalla gestione patrimoniale del fondo consortile;

c) dalle quote consortili;

d) da eventuali contributi di riciclaggio a carico dei produttori e degli importatori di oli e grassi vegetali e animali per uso alimentare destinati al mercato interno e ricadenti nelle finalità consortili di cui al comma 1, determinati annualmente con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, al fine di garantire l’equilibrio di gestione dei consorzi.

11. I consorzi di cui al comma 1 ed i soggetti di cui al comma 9 trasmettono annualmente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Ministro delle attività produttive i bilanci preventivo e consuntivo entro sessanta giorni dalla loro approvazione; inoltre, entro il 31 maggio di ogni anno, tali soggetti presentano agli stessi Ministri una relazione tecnica sull’attività complessiva sviluppata dagli stessi e dai loro singoli aderenti nell’anno solare precedente.

12. Decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione dello Statuto di cui al comma 2, chiunque, in ragione della propria attività professionale, detiene oli e grassi vegetali e animali esausti e’ obbligato a conferirli ai consorzi direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dai consorzi, fermo restando quanto previsto al comma 9. L’obbligo di conferimento non esclude la facoltà per il detentore di cedere oli e grassi vegetali e animali esausti ad imprese di altro Stato membro della Comunità europea.

13. Chiunque, in ragione della propria attività professionale ed in attesa del conferimento ai consorzi, detenga oli e grassi animali e vegetali esausti e’ obbligato a stoccare gli stessi in apposito contenitore conforme alle disposizioni vigenti in materia di smaltimento.

14. Restano ferme le disposizioni comunitarie e nazionali vigenti in materia di prodotti, sottoprodotti e rifiuti di origine animale.

15. I soggetti giuridici appartenenti alle categorie di cui al comma 5 che vengano costituiti o inizino comunque una delle attività proprie delle categorie medesime successivamente all’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto aderiscono ad uno dei consorzi di cui al comma 1 o adottano il sistema di cui al comma 9, entro sessanta giorni dalla data di costituzione o di inizio della propria attività. Resta altresì consentita per i soggetti di cui al comma 5, aderenti ad uno dei consorzi di cui al comma 1, la costituzione, successiva al termine di cui al comma 9, di nuovi consorzi o l’adozione del sistema di cui al medesimo comma 9, decorso almeno un biennio dalla data di adesione al precedente consorzio e fatto salvo l’obbligo di corrispondere i contributi maturati nel periodo.

ART. 234
(consorzi nazionali per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene)

1. Al fine di razionalizzare, organizzare e gestire la raccolta e il trattamento dei rifiuti di beni in polietilene destinati allo smaltimento, sono istituiti uno o più consorzi per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene, esclusi gli imballaggi di cui all’articolo 218, comma 1, lettere a), b), c), d), e) e dd), i beni, ed i relativi rifiuti, di cui agli articoli 227, comma 1, lettere a), b) e c), e 231, nonche’, in quanto considerati beni durevoli, i materiali e le tubazioni in polietilene destinati all’edilizia, alle fognature e al trasporto di gas e acque. I sistemi di gestione adottati devono conformarsi ai principi di cui all’articolo 237. .sp, 2. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, sono individuate le tipologie di beni in polietilene di cui al comma 1.

3. I consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro e sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo redatto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva nei successivi novanta giorni, con suo provvedimento adottato di concerto con il Ministro dele attività produttive. Ove il Ministro ritenga di non approvare lo statuto trasmesso, per motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al consorzio richiedente con le re lative osservazioni. I consorzi già riconosciuti ai sensi della previgente normativa sono tenuti ad adeguare il loro statuto in conformità al nuovo schema tipo entro centoventi giorni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il decreto ministeriale di approvazione dello statuto dei consorzi e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

4. Ai consorzi partecipano:

a) i produttori e gli importatori di beni in polietilene;

b) gli utilizzatori e i distributori di beni in polietilene;

c) i riciclatori e i recuperatori di rifiuti di beni in polietilene.

5. Ai consorzi possono partecipare in qualità di soci aggiunti i produttori ed importatori di materie prime in polietilene per la produzione di beni in polietilene e le imprese che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio dei beni in polietilene. Le modalità di partecipazione vengono definite nell’ambito dello statuto di cui al comma 3.

6. I soggetti giuridici appartenenti alle categorie di cui al comma 4 che vengano costituiti o inizino comunque una delle attività proprie delle categorie medesime successivamente all’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto aderiscono ad uno dei consorzi di cui al comma 1 o adottano il sistema di cui al comma 7, entro sessanta giorni dalla data di costituzione o di inizio della propria attività. Resta altresì consentita per i soggetti di cui ai commi 4 e 5, aderenti ad uno dei consorzi di cui al comma 1, la costituzione, successiva al termine di cui al comma 7, di nuovi consorzi o l’adozione del sistema di cui al medesimo comma 7, decorso almeno un biennio dalla data di adesione al precedente consorzio e fatto salvo l’obbligo di corrispondere i contributi maturati nel periodo.

7. Gli operatori che non provvedono ai sensi del comma 1 possono entro centoventi giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dello Statuto tipo ai sensi del comma 2:

a) organizzare autonomamente, anche in forma associata, la gestione dei rifiuti di beni in polietilene su tutto il territorio nazionale;

b) mettere in atto un sistema di restituzione dei beni in polietilene al termine del ciclo di utilità per avviarli ad attività di riciclaggio e di recupero.

Nelle predette ipotesi gli operatori stessi devono richiedere all’Autorità di cui all’articolo 207, previa trasmissione di idonea documentazione, il riconoscimento del sistema adottato. A tal fine i predetti operatori devono dimostrare di aver organizzato il sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che il sistema e’ effettivamente ed autonomamente funzionante e che e’ in grado di conseguire, nell’ambito delle attività svolte, gli obiettivi fissati dal presente articolo. Gli operatori devono inoltre garantire che gli utilizzatori e gli utenti finali siano informati sulle modalità del sistema adottato. L’Autorità, dopo aver acquisito i necessari elementi di valutazione, si esprime entro novanta giorni dalla richiesta. In caso di mancata risposta nel termine sopra indicato, l’interessato chiede al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio l’adozione dei relativi provvedimenti sostitutivi da emanarsi nei successivi sessanta giorni. L’Autorità presenta una relazione annuale di sint esi relativa a tutte le istruttorie esperite.

8. I consorzi di cui al comma 1 si propongono come obiettivo primario di favorire il ritiro dei beni a base di polietilene al termine del ciclo di utilità per avviarli ad attività di riciclaggio e di recupero. A tal fine i consorzi svolgono per tutto il territorio nazionale i seguenti compiti:

a) promuovono la gestione del flusso dei beni a base di polietilene;

b) assicurano la raccolta, il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti di beni in polietilene;

c) promuovono la valorizzazione delle frazioni di polietilene non riutilizzabili;

d) promuovono l’informazione degli utenti, intesa a ridurre il consumo dei materiali ed a favorire forme corrette di raccolta e di smaltimento;

e) assicurano l’eliminazione dei rifiuti di beni in polietilene nel caso in cui non sia possibile o economicamente conveniente il riciclaggio, nel rispetto delle disposizioni contro l’inquinamento.

9. Nella distribuzione dei prodotti dei consorziati, i consorzi possono ricorrere a forme di deposito cauzionale.

10. I consorzi sono tenuti a garantire l’equilibrio della propria gestione finanziaria. I mezzi finanziari per il funzionamento del consorzi sono costituiti:

a) dai proventi delle attività svolte dai consorzi;

b) dai contributi dei soggetti partecipanti;

c) dalla gestione patrimoniale del fondo consortile;

d) dall’eventuale contributo percentuale di riciclaggio di cui al comma 13.

11. Le deliberazioni degli organi dei consorzi, adottate in relazione alle finalità della parte quarta del presente decreto ed a norma dello statuto, sono vincolanti per tutti i soggetti partecipanti.

12. I consorzi di cui al comma 1 ed i soggetti di cui al comma 7 trasmettono annualmente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Ministro delle attività produttive il bilancio preventivo e consuntivo entro sessanta giorni dalla loro approvazione. I consorzi di cui al comma 1 ed i soggetti di cui al comma 7, entro il 31 maggio di ogni anno, presentano una relazione tecnica sull’attività complessiva sviluppata dagli stessi e dai loro singoli aderenti nell’anno solare precedente.

13. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive determina ogni due anni con proprio decreto gli obiettivi minimi di riciclaggio e, in caso di mancato raggiungimento dei predetti obiettivi, può stabilire un contributo percentuale di riciclaggio da applicarsi sull’importo netto delle fatture emesse dalle imprese produttrici ed importatrici di beni di polietilene per il mercato interno. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive determina gli obiettivi di riciclaggio a valere per il primo biennio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto.

14. Decorsi novanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del decreto di approvazione dello statuto di cui al comma 3, chiunque, in ragione della propria attività, detiene rifiuti di beni in polietilene e’ obbligato a conferirli a uno dei consorzi riconosciuti o direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dai consorzi stessi, fatto comunque salvo quanto previsto dal comma 7. L’obbligo di conferimento non esclude la facoltà per il detentore di cedere i rifiuti di bene in polietilene ad imprese di altro Stato membro della Comunità europea.

ART. 235
(consorzi nazionali per la raccolta e trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi)

1. Al fine di razionalizzare ed organizzare la gestione delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi, tutte le imprese di cui all’articolo 9-quinquies del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, come modificato dal comma 15 del presente articolo, che non aderiscono al consorzio di cui al medesimo articolo 9-quinquies costituiscono uno o più consorzi, i quali devono adottare sistemi di gestione conformi ai principi di cui all’articolo 237.

2. I consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro e, salvo quanto previsto dal comma 17, sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo redatto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva nei successivi novanta giorni. Ove il Ministro ritenga di non approvare lo statuto trasmesso, per motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al consorzio richiedente con le relative osservazioni. Il decreto ministeriale di a pprovazione dello statuto dei consorzi e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

3. I consorzi di cui al comma 1, contestualmente alla comunicazione di cui all’articolo 189, comma 3, devono trasmettere copia della comunicazione stessa al consorzio di cui all’articolo 9-quinquies, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, come modificato dal presente decreto. Alla violazione dell’obbligo si applicano le medesime sanzioni previste per la mancata comunicazione di cui al citato articolo 189, comma 3.

4. I consorzi svolgono per tutto il territorio nazionale i seguenti compiti:

a) assicurare la gestione delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi;

b) cedere le batterie al piombo esauste e i rifiuti piombosi alle imprese che ne effettuano il recupero;

c) assicurare il loro smaltimento, nel caso non sia possibile o economicamente conveniente il recupero, nel rispetto delle disposizioni contro l’inquinamento;

d) promuovere lo svolgimento di indagini di mercato e azioni di ricerca tecnico-scientifica per il miglioramento tecnologico del ciclo di produzione, recupero e smaltimento;

e) promuovere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei consumatori sulle tematiche della raccolta e dell’eliminazione delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi.

5. Ai consorzi di cui al comma 1 partecipano:

a) le imprese che effettuano il riciclo delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi mediante la produzione di piombo secondario raffinato od in lega;

b) le imprese che svolgono attività di fabbricazione oppure di importazione di batterie al piombo;

c) le imprese che effettuano la raccolta delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi;

d) le imprese che effettuano la sostituzione e la vendita delle batterie al piombo.

6. Le quote di partecipazione dei consorziati sono determinate di anno in anno con i criteri di cui al comma 3-bis dell’articolo 9-quinquies, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, come modificato dal comma 16 del presente articolo.

7. Le deliberazioni degli organi dei consorzi di cui al presente articolo, adottate in relazione alle finalità della parte quarta del presente decreto ed a norma dello statuto, sono obbligatorie per tutte le imprese partecipanti.

8. I soggetti giuridici appartenenti alle categorie di cui al comma 5 che vengano costituiti o inizino comunque una delle attività proprie delle categorie medesime successivamente all’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto aderiscono ad uno dei consorzi di cui al comma 1 entro sessanta giorni dalla data di costituzione o di inizio della propria attività. Resta altresì consentita per gli stessi soggetti, aderenti ad uno dei consorzi di cui al comma 1, la costituzione di nuovi consorzi, decorso almeno un biennio dalla data di adesione al precedente consorzio e fatto salvo l’obbligo di corrispondere i contributi maturati nel periodo.

9. Decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di approvazione dello statuto di cui al comma 2, chiunque detiene batterie al piombo esauste o rifiuti piombosi e’ obbligato al loro conferimento ai consorzi, direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati del consorzio o autorizzati, in base alla normativa vigente, a esercitare le attività di gestione di tali rifiuti, fermo restando quanto previsto al comma 3. L’obbligo di conferimento non esclude la facoltà per il detentore di cedere le batterie esauste ed i rifiuti piombosi ad imprese di altro Stato membro della Comunità europea.

10. Al fine di assicurare, ai consorzi, i mezzi finanziari per lo svolgimento dei propri compiti e’ istituito un sovrapprezzo di vendita delle batterie in relazione al contenuto a peso di piombo da applicarsi da parte dei produttori e degli importatori delle batterie stesse, con diritto di rivalsa sugli acquirenti in tutte le successive fasi della commercializzazione. I produttori e gli importatori verseranno direttamente ai consorzi i proventi del sovrapprezzo.

11. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sono determinati: il sovrapprezzo di cui al comma 10, la percentuale dei costi da coprirsi con l’applicazione di tale sovrapprezzo.

12. Chiunque, in ragione della propria attività ed in attesa del conferimento ai sensi del comma 9, detenga batterie esauste e’ obbligato a stoccare le batterie stesse in apposito contenitore conforme alle disposizioni vigenti in materia di smaltimento dei rifiuti.

13. I consorzi di cui al comma 1 trasmettono annualmente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Ministro delle attività produttive i bilanci preventivo e consuntivo entro sessanta giorni dalla loro approvazione; inoltre, entro il 31 maggio di ogni anno, tali soggetti presentano agli stessi Ministri una relazione tecnica sull’attività complessiva sviluppata dagli stessi e dai loro singoli aderenti nell’anno solare precedente.

14. Al comma 2 dell’articolo 9-quinquies del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e’ aggiunta la seguente lettera: d-bis) promuovere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei consumatori sulle tematiche della raccolta e dell’eliminazione delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi”.

15. Il comma 3 dell’articolo 9-quinquies, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e’ sostituito dal seguente:

“Al Consorzio, che e’ dotato di personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, partecipano:

a) le imprese che effettuano il riciclo delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi mediante la produzione di piombo secondario raffinato od in lega;

b) le imprese che svolgono attività di fabbricazione oppure di importazione di batterie al piombo;

c) le imprese che effettuano la raccolta delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi;

d) le imprese che effettuano la sostituzione e la vendita delle batterie al piombo.”.

16. Dopo il comma 3, dell’articolo 9-quinquies, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, e’ inserito il seguente: “3-bis: Nell’ambito di ciascuna categoria, le quote di partecipazione da attribuire ai singoli soci sono determinate come segue:

a) per le imprese di riciclo di cui alla lettera a) del comma 3 sono determinate in base al rapporto fra la capacità produttiva di piombo secondario del singolo soggetto consorziato e quella complessiva di tutti i consorziati appartenenti alla stessa categoria;

b) per le imprese che svolgono attività di fabbricazione, oppure d’importazione delle batterie al piombo di cui alla lettera b) del comma 3, sono determinate sulla base del sovrapprezzo versato al netto dei rimborsi;

c) le quote di partecipazione delle imprese e loro associazioni di cui alle lettere c) e d) del comma 3 del presente articolo sono attribuite alle associazioni nazionali dei raccoglitori di batterie al piombo esauste, in proporzione ai quantitativi conferiti al Consorzio dai rispettivi associati, e alle associazioni dell’artigianato che installano le batterie di avviamento al piombo.”.

17. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, il Consorzio di cui dell’articolo 9-quinquies del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, adegua il proprio statuto ai principi contenuti nel presente decreto ed in particolare a quelli di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva, di concerto con il Ministro delle attività produttive, nei successi i novanta giorni, salvo motivate osservazioni cui il citato Consorzio e’ tenuto ad adeguarsi nei successivi sessanta giorni. Qualora il citato Consorzio non ottemperi nei termini prescritti, le modifiche allo statuto sono apportate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive.

18. Per il raggiungimento degli obiettivi pluriennali di recupero e riciclaggio, gli eventuali avanzi di gestione accantonati dai consorzi nelle riserve costituenti il patrimonio netto non concorrono alla formazione del reddito, a condizione che sia rispettato il divieto di distribuzione, sotto qualsiasi forma, ai consorziati di tali avanzi e riserve, anche in caso di scioglimento dei consorzi medesimi.

ART. 236
(consorzi nazionali per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati)

1. Al fine di razionalizzare e organizzare la gestione degli oli minerali usati, da avviare obbligatoriamente alla rigenerazione tesa alla produzione di oli base, le imprese di cui al comma 4, sono tenute a partecipare all’assolvimento dei compiti previsti al comma 12 tramite adesione al consorzio di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, o ad uno dei consorzi da costituirsi ai sensi del comma 2. I consorzi adottano sistemi di gestione conformi ai principi di cui all’articolo 237.

2. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, il consorzio di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, adegua il proprio statuto ai principi contenuti nel presente decreto ed in particolare a quelli di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva di concerto con il Ministro delle attività produttive nei successivi novanta giorni, salvo motivate osservazioni cui il Consorzio e’ tenuto ad adeguarsi nei successivi sessanta giorni. Qualora il Consorzio non ottemperi nei termini prescritti, le modifiche allo statuto sono apportate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive. I Consorzi di cui al comma 1 hanno personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro e quelli diversi dal Consorzio di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, sono retti da uno statuto adottato in conformità ad uno schema tipo redatto dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, conformemente ai principi del presente decreto e, in particolare, a quelli di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, nonche’ di libera concorrenza nelle attività di settore. Lo statuto adottato da ciascun consorzio e’ trasmesso entro quindici giorni al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che lo approva nei successivi novanta giorni, con suo provvedimento adottato di concerto con il Ministro delle attività produttive. Ove il Ministro ritenga di non approvare lo statuto trasmesso, per motivi di legittimità o di merito, lo ritrasmette al Consorzio richiedente con le rel ative osservazioni. Il decreto ministeriale di approvazione dello statuto dei Consorzi e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

3. I Consorzi di cui al comma 2 devono trasmettere al Consorzio di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, contestualmente alla comunicazione di cui all’articolo 189, comma 3, copia della comunicazione stessa. Alla violazione dell’obbligo si applicano le sanzioni di cui all’articolo 258 per la mancata comunicazione di cui all’articolo 189, comma 3. Le imprese che eliminano gli oli minerali usati tramite co-combustione e all’uopo debitamente autorizzate e gli altri consorzi di cui al presente articolo sono tenute a fornire al Consorzio di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, i dati tecnici di cui al comma 12, lettera h), affinche’ tale consorzio comunichi annualmente tutti i dati raccolti su base nazionale ai Ministeri che esercitano il controllo, corredati da una relazione illustrativa.

4. Ai Consorzi partecipano tutte le imprese che:

a) producono oli base vergini;

b) producono oli base provenienti dal processo di rigenerazione;

c) immettono al consumo oli lubrificanti.

5. Le quote di partecipazione ai Consorzi sono determinate di anno in anno in proporzione alle quantità di oli lubrificanti finiti che ciascun consorziato immette al consumo nell’anno precedente, rispetto al totale dei lubrificanti immessi al consumo, nel medesimo anno, da tutti i partecipanti al Consorzio stesso.

6. Le deliberazioni degli organi dei Consorzi, adottate in relazione alle finalità della parte quarta del presente decreto ed a norma dello statuto, sono vincolanti per tutti i consorziati. La rappresentanza negli organi elettivi dei Consorzi e’ attribuita in misura pari all’ottanta per cento alle imprese che producono oli base vergini e immettono sul mercato oli lubrificanti finiti e in misura pari al venti per cento alle imprese che producono e immettono al consumo oli lubrificanti rigenerati.

7. I consorzi determinano annualmente, con riferimento ai costi sopportati nell’anno al netto dei ricavi per l’assolvimento degli obblighi di cui al presente articolo, il contributo per chilogrammo dell’olio lubrificante che sarà messo a consumo nell’anno successivo. Ai fini della parte quarta del presente decreto si considerano immessi al consumo gli oli lubrificanti di base e finiti all’atto del pagamento dell’imposta di consumo.

8. Le imprese partecipanti sono tenute a versare al consorzio i contributi dovuti da ciascuna di esse secondo le modalità ed i termini fissati ai sensi del comma 9.

9. Le modalità e i termini di accertamento, riscossione e versamento dei contributi di cui al comma 8, sono stabiliti con decreto del Ministro della economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e delle attività produttive, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale entro un mese dall’approvazione dello statuto del consorzio.

10. I consorzi di cui al comma 1 trasmettono annualmente al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Ministro delle attività produttive i bilanci preventivo e consuntivo entro sessanta giorni dalla loro approvazione. I Consorzi di cui al comma 1, entro il 31 maggio di ogni anno, presentano al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ed al Ministro delle attività produttive una relazione tecnica sull’attività complessiva sviluppata dagli stessi e dai loro singoli aderenti nell’anno solare precedente.

11. Lo statuto di cui al comma 2, prevede, in particolare, gli organi dei consorzi e le relative modalità di nomina.

12. I consorzi svolgono per tutto il territorio nazionale i seguenti compiti:

a) promuovere la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle tematiche della raccolta;

b) assicurare ed incentivare la raccolta degli oli usati ritirandoli dai detentori e dalle imprese autorizzate;

c) espletare direttamente la attività di raccolta degli oli usati dai detentori che ne facciano richiesta nelle aree in cui la raccolta risulti difficoltosa o economicamente svantaggiosa;

d) selezionare gli oli usati raccolti ai fmi della loro corretta eliminazione tramite rigenerazione, combustione o smaltimento;

e) cedere gli oli usati raccolti:

1) in via prioritaria, alla rigenerazione tesa alla produzione di oli base;

2) in caso ostino effettivi vincoli di carattere tecnico economico e organizzativo, alla combustione o coincenerimento;

3) in difetto dei requisiti per l’avvio agli usi di cui ai numeri precedenti, allo smaltimento tramite incenerimento o deposito permanente;

f) perseguire ed incentivare lo studio, la sperimentazione e la realizzazione di nuovi processi di trattamento e di impiego alternativi;

g) operare nel rispetto dei principi di concorrenza, di libera circolazione dei beni, di economicità della gestione, nonche’ della tutela della salute e dell’ambiente da ogni inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo;

h) annotare ed elaborare tutti i dati tecnici relativi alla raccolta ed eliminazione degli oli usati e comunicarli annualmente al Consorzio di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, affinche’ tale Consorzio li trasmetta ai Ministeri che esercitano il controllo, corredati da una relazione illustrativa;

i) garantire ai rigeneratori, nei limiti degli oli usati rigenerabili raccolti e della produzione dell’impianto, i quantitativi di oli usati richiesti a prezzo equo e, comunque, non superiore al costo diretto della raccolta;

l) assicurare lo smaltimento degli oli usati nel caso non sia possibile o economicamente conveniente il recupero, nel rispetto delle disposizioni contro l’inquinamento.

13. I consorzi possono svolgere le proprie funzioni sia direttamente che tramite mandati conferiti ad imprese per determinati e limitati settori di attività o determinate aree territoriali. L’attività dei mandatari e’ svolta sotto la direzione e la responsabilità dei consorzi stessi.

14. I soggetti giuridici appartenenti alle categorie di cui al comma 4 che vengano costituiti o inizino comunque una delle attività proprie delle categorie medesime successivamente all’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto aderiscono ad uno dei Consorzi di cui al comma 1, entro sessanta giorni dalla data di costituzione o di inizio della propria attività. Resta altresì consentita per i predetti soggetti, aderenti ad uno dei Consorzi di cui al comma 1, la costituzione di nuovi Consorzi, decorso almeno un biennio dalla data di adesione al precedente Consorzio e fatto salvo l’obbligo di corrispondere i contributi maturati nel periodo.

15. Decorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione dello statuto di cui al comma 2, chiunque detiene oli minerali esausti e’ obbligato al loro conferimento ai Consorzi di cui al comma 1, direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati del consorzio o autorizzati, in base alla normativa vigente, a esercitare le attività di gestione di tali rifiuti. L’obbligo di conferimento non esclude la facoltà per il detentore di cedere gli oli minerali esausti ad imprese di altro Stato membro della Comunità europea.

16. Per il raggiungimento degli obiettivi pluriennali di recupero e riciclaggio, gli eventuali avanzi di gestione accantonati dai consorzi di cui al comma 1 nelle riserve costituenti il patrimonio netto non concorrono alla formazione del reddito, a condizione che sia rispettato il divieto di distribuzione, sotto qualsiasi forma, ai consorziati di tali avanzi e riserve, anche in caso di scioglimento dei consorzi medesimi.

ART. 237
(criteri direttivi dei sistemi di gestione)

1. I sistemi di gestione adottati devono, in ogni caso, essere aperti alla partecipazione di tutti gli operatori e concepiti in modo da assicurare il principio di trasparenza, di non discriminazione, di non distorsione della concorrenza, di libera circolazione nonche’ il massimo rendimento possibile.

TITOLO IV

TARIFFA PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI

ART. 238
(tariffa per la gestione dei rifiuti urbani)

1. Chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, e’ tenuto al pagamento di una tariffa. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall’articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36. La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e’ soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.

2. La tariffa per la gestione dei rifiuti e’ commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali.

3. La tariffa e’ determinata, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle Autorità d’ambito ed e’ applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6. Nella determinazione della tariffa e’ prevista la copertura anche di costi accessori relativi alla gestione dei rifiuti urbani quali, ad esempio, le spese di spazzamento delle strade. Qualora detti costi vengano coperti con la tariffa ciò deve essere evidenziato nei piani finanziari e nei bilanci dei soggetti affidatari del servizio.

4. La tariffa e’ composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, nonche’ da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.

5. Le Autorità d’ambito approvano e presentano all’Autorità di cui all’articolo 207 il piano finanziario e la relativa relazione redatta dal soggetto affidatario del servizio di gestione integrata. Entro quattro anni dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 6, dovrà essere gradualmente assicurata l’integrale copertura dei costi.

6. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive, sentiti la Conferenza Stato regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le rappresentanze qualificate degli interessi economici e sociali presenti nel Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA) e i soggetti interessati, disciplina, con apposito regolamento da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto e nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa, anche con riferimento alle agevolazioni di cui al comma 7, garantendo comunque l’assenza di oneri per le autorità interessate.

7. Nella determinazione della tariffa possono essere previste agevolazioni per le utenze domestiche e per quelle adibite ad uso stagionale o non continuativo, debitamente documentato ed accertato, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali. In questo caso, nel piano finanziario devono essere indicate le risorse necessarie per garantire l’integrale copertura dei minori introiti derivanti dalle agevolazioni, secondo i criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6.

8. Il regolamento di cui al comma 6 tiene conto anche degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato.

9. L’eventuale modulazione della tariffa tiene conto degli investimenti effettuati dai comuni o dai gestori che risultino utili ai fini dell’organizzazione del servizio.

10. Alla tariffa e’ applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi.

11. Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti.

12. La riscossione volontaria e coattiva della tariffa può essere effettuata secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, mediante convenzione con l’Agenzia delle entrate.

TITOLO V

BONIFICA DI SITI CONTAMINATI

ART. 239
(principi e campo di applicazione)

1. Il presente titolo disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione delle sorgenti dell’inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio “chi inquina paga”.

2. Ferma restando la disciplina dettata dal titolo I della parte quarta del presente decreto, le disposizioni del presente titolo non si applicano:

a) all’abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del presente decreto. In tal caso qualora, a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell’area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente titolo;

b) agli interventi di bonifica disciplinati da leggi speciali, se non nei limiti di quanto espressamente richiamato dalle medesime o di quanto dalle stesse non disciplinato.

3. Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree caratterizzate da inquinamento diffuso sono disciplinati dalle regioni con appositi piani, fatte salve le competenze e le procedure previste per i siti oggetto di bonifica di interesse nazionale e comunque nel rispetto dei criteri generali di cui al presente titolo.

ART. 240
(definizioni)

1. Ai fini dell’applicazione del presente titolo, si definiscono:

a) sito: l’area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti;

b) concentrazioni soglia di contaminazione (CSC): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali e’ necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato 5 alla parte quarta del presente decreto. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati;

c) concentrazioni soglia di rischio (CSR): i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica. I livelli di concentrazione così definiti costituiscono i livelli di accettabilità per il sito;

d) sito potenzialmente contaminato: un sito nel quale uno o più valori di concentrazione delle sostanze inquinanti rilevati nelle matrici ambientali risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC), in attesa di espletare le operazioni di caratterizzazione e di analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica, che ne permettano di determinare lo stato o meno di contaminazione sulla base delle concentrazioni soglia di rischio (CSR);

e) sito contaminato: un sito nel quale i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR), determinati con l’applicazione della procedura di analisi di rischio di cui all’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, risultano superati;

f) sito non contaminato: un sito nel quale la contaminazione rilevata nelle matrice ambientali risulti inferiore ai valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) oppure, se superiore, risulti comunque inferiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) determinate a seguito dell’analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica;

g) sito con attività in esercizio: un sito nel quale risultano in esercizio attività produttive sia industriali che commerciali nonche’ le aree pertinenziali e quelle adibite ad attività accessorie economiche, ivi comprese le attività di mantenimento e tutela del patrimonio ai fini della successiva ripresa delle attività;

h) sito dismesso: un sito in cui sono cessate le attività produttive;

i) misure di prevenzione: le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia;

l) misure di riparazione: qualsiasi azione o combinazione di azioni, tra cui misure di attenuazione o provvisorie dirette a riparare, risanare o sostituire risorse naturali e/o servizi naturali danneggiati, oppure a fornire un’alternativa equivalente a tali risorse o servizi;

m) messa in sicurezza d’emergenza: ogni intervento immediato o a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente;

n) messa in sicurezza operativa: l’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività. Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate;

o) messa in sicurezza permanente: l’insieme degli interventi atti a isolare in modo definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente. In tali casi devono essere previsti piani di monitoraggio e controllo e limitazioni d’uso rispetto alle previsioni degli strumenti urbanistici;

p) bonifica: l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR);

q) ripristino e ripristino ambientale: gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici;

r) inquinamento diffuso: la contaminazione o le alterazioni chimiche, fisiche o biologiche delle matrici ambientali determinate da fonti diffuse e non imputabili ad una singola origine;

s) analisi di rischio sanitario e ambientale sito specifica: analisi sito specifica degli effetti sulla salute umana derivanti dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze presenti nelle matrici ambientali contaminate, condotta con i criteri indicati nell’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto;

t) condizioni di emergenza: gli eventi al verificarsi dei quali e’ necessaria l’esecuzione di interventi di emergenza, quali ad esempio:

1) concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinati prossime ai livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi acuti alla salute;

2) presenza di quantità significative di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi di acqua superficiali o nella falda;

3) contaminazione di pozzi ad utilizzo idropotabile o per scopi agricoli;

4) pericolo di incendi ed esplosioni.

ART. 241
(regolamento aree agricole)

1. Il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d’emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento e’ adottato con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e delle politiche agricole e forestali.

ART. 242
(procedure operative ed amministrative)

1. Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.

2. Il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L’autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo.

3. Qualora l’indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonche’ alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. L’autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione.

4. Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito e’ applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). I criteri per l’applicazione della procedura di analisi di rischio sono riportati nell’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto. Entro sei mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla regione i risultati dell’analisi di rischio. La conferenza di servizi convocata dalla regione, a seguito dell’istruttoria svolta in contraddittorio con il soggetto responsabile, cui e’ dato un preavviso di almeno venti giorni, approva il documento di analisi di rischio entro i sessanta giorni dalla ricezione dello stesso. Tale documento e’ inviato ai componenti della conferenza di servizi almeno venti giorni prima della data fissata per la conferenza e, in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione fornisce una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni d issenzienti espresse nel corso della conferenza.

5 Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito e’ inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. In tal caso la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale destinazione d’uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro sessanta giorni dall’approvazione di cui sopra, invia alla provincia ed alla regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono individuati:

a) i parametri da sottoporre a controllo;

b) la frequenza e la durata del monitoraggio.

6 La regione, sentita la provincia, approva il piano di monitoraggio entro trenta giorni dal ricevimento dello stesso. L’anzidetto termine può essere sospeso una sola volta, qualora l’autorità competente ravvisi la necessità di richiedere, mediante atto adeguatamente motivato, integrazioni documentali o approfondimenti del progetto, assegnando un congruo termine per l’adempimento. In questo caso il termine per l’approvazione decorre dalla ricezione del progetto integrato. Alla scadenza del periodo di monitoraggio il soggetto responsabile ne dà comunicazione alla regione ed alla provincia, inviando una relazione tecnica riassuntiva degli esiti del monitoraggio svolto. Nel caso in cui le attività di monitoraggio rilevino il superamento di uno o più delle concentrazioni soglia di rischio, il soggetto responsabile dovrà avviare la procedura di bonifica di cui al comma 7.

7. Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito e’ superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento. Tale termine può essere sospeso una sola volta, qualora la regione ravvisi la necessità di richiedere, mediante atto adeguatamente motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto, assegnando un congruo termine per l’adempimento. In questa ipotesi il termine per l’approvazione del progetto decorre dalla presentazione del progetto integrato. Ai soli fini della realizzazione e dell’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie all’attuazione del progetto operativo e per il tempo strettamente necessario all’attuazione medesima, l’autorizzazione regionale di cui al presente comma sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente compresi, in particolare, quelli relativi alla valutazione di impatto ambientale, ove necessaria, alla gestione delle terre e rocce da scavo all’interno dell’area oggetto dell’intervento ed allo scarico delle acque emunte dalle falde. L’autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, di urgenza ed indifferibilità dei lavori. Con il pr ovvedimento di approvazione del progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l’esecuzione dei lavori ed e’ fissata l’entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell’intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.

8. I criteri per la selezione e l’esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonche’ per l’individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C. – Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle normative comunitarie sono riportati nell’Allegato 3 alla parte quarta del presente decreto.

9. La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati con attività in esercizio, garantisce una adeguata sicurezza sanitaria ed ambientale ed impedisce un’ulteriore propagazione dei contaminanti. I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da accurati piani di monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate ed indicano se all’atto della cessazione dell’attività si renderà necessario un intervento di bonifica o un intervento di messa in sicurezza permanente.

10. Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, fatto salvo l’obbligo di garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente, in sede di approvazione del progetto assicura che i suddetti interventi siano articolati in modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione della attività.

11. Nel caso di eventi avvenuti anteriormente all’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto che si manifestino successivamente a tale data in assenza di rischio immediato per l’ambiente e per la salute pubblica, il soggetto interessato comunica alla regione, alla provincia e al comune competenti l’esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l’entità e l’estensione con riferimento ai parametri indicati nelle CSC ed applica le procedure di cui ai commi 4 e seguenti.

12. Le indagini ed attività istruttorie sono svolte dalla provincia, che si avvale della competenza tecnica dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente e si coordina con le altre amministrazioni.

13. La procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica si svolge in Conferenza di servizi convocata dalla regione e costituita dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi, autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel piano e nel progetto. La relativa documentazione e’ inviata ai componenti della conferenza di servizi almeno venti giorni prima della data fissata per la discussione e, in caso di decisione a maggioranza, la delibera di adozione deve fornire una adeguata ed analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza. Compete alla provincia rilasciare la certificazione di avvenuta bonifica. Qualora la provincia non provveda a rilasciare tale certificazione entro trenta giorni dal ricevimento della delibera di adozione, al rilascio provvede la regione.

ART. 243
(acque di falda)

1. Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto.

2. In deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 104, ai soli fini della bonifica dell’acquifero, e’ ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nella stessa unità geologica da cui le stesse sono state estratte, indicando la tipologia di trattamento, le caratteristiche quali-quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di messa in sicurezza della porzione di acquifero interessato dal sistema di estrazione/reimmissione. Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell’acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate.

ART. 244
(ordinanze)

1. Le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti.

2. La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.

3. L’ordinanza di cui al comma 2 e’ comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253.

4. Se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito ne’ altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall’articolo 250.

ART. 245
(obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione)

1. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili.

2. Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’articolo 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l’identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. E’ comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità.

3. Qualora i soggetti interessati procedano ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, ovvero abbiano già provveduto in tal senso in precedenza, la decorrenza dell’obbligo di bonifica di siti per eventi anteriori all’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla pericolosità del sito, determinata in generale dal piano regionale delle bonifiche o da suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà degli interessati di procedere agli interventi prima del suddetto termine.

ART. 246
(accordi di programma)

1. I soggetti obbligati agli interventi di cui al presente titolo ed i soggetti altrimenti interessati hanno diritto di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi mediante appositi accordi di programma stipulati, entro sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio di cui all’articolo 242, con le amministrazioni competenti ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo.

2. Nel caso in cui vi siano soggetti che intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale bonifica di una pluralità di siti che interessano il territorio di più regioni, i tempi e le modalità di intervento possono essere definiti con appositi accordi di programma stipulati, entro dodici mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio di cui all’articolo 242, con le regioni interessate.

3. Nel caso in cui vi siano soggetti che intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale bonifica di una pluralità di siti dislocati su tutto il territorio nazionale o vi siano più soggetti interessati alla bonifica di un medesimo sito di interesse nazionale, i tempi e le modalità di intervento possono essere definiti con accordo di programma da stipularsi, entro diciotto mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio di cui all’articolo 242, con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri della salute e delle attività produttive, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni.

ART. 247
(siti soggetti a sequestro)

1. Nel caso in cui il sito inquinato sia soggetto a sequestro, l’autorità giudiziaria che lo ha disposto può autorizzare l’accesso al sito per l’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, anche al fine di impedire l’ulteriore propagazione degli inquinanti ed il conseguente peggioramento della situazione ambientale.

ART. 248
(controlli)

1. La documentazione relativa al piano della caratterizzazione del sito e al progetto operativo, comprensiva delle misure di riparazione, dei monitoraggi da effettuare, delle limitazioni d’uso e delle prescrizioni eventualmente dettate ai sensi dell’articolo 242, comma 4, e’ trasmessa alla provincia e all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente competenti ai fini dell’effettuazione dei controlli sulla conformità degli interventi ai progetti approvati.

2. Il completamento degli interventi di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, nonche’ la conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla provincia mediante apposita certificazione sulla base di una relazione tecnica predisposta dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente territorialmente competente.

3. La certificazione di cui al comma 2 costituisce titolo per lo svincolo delle garanzie finanziarie di cui all’articolo 242, comma 7.

ART. 249
(aree contaminate di ridotte dimensioni)

1. Per le aree contaminate di ridotte dimensioni si applicano le procedure semplificate di intervento riportate nell’Allegato 4 alla parte quarta del presente decreto.

ART. 250
(bonifica da parte dell’amministrazione)

1. Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano ne’ il proprietario del sito ne’ altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio.

ART. 251
(censimento ed anagrafe dei siti da bonificare)

1. Le regioni, sulla base dei criteri definiti dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), predispongono l’anagrafe dei siti oggetto di procedimento di bonifica, la quale deve contenere:

a) l’elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale nonche’ degli interventi realizzati nei siti medesimi;

b) l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica;

c) gli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati, ai fini dell’esecuzione d’ufficio, fermo restando l’affidamento delle opere necessarie mediante gara pubblica ovvero il ricorso alle procedure dell’articolo 242.

2. Qualora, all’esito dell’analisi di rischio sito specifica venga accertato il superamento delle concentrazioni di rischio, tale situazione viene riportata dal certificato di destinazione urbanistica, nonche’ dalla cartografia e dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale del comune e viene comunicata all’Ufficio tecnico erariale competente.

3. Per garantire l’efficacia della raccolta e del trasferimento dei dati e delle informazioni, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) definisce, in collaborazione con le regioni e le agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, i contenuti e la struttura dei dati essenziali dell’anagrafe, nonche’ le modalità della loro trasposizione in sistemi informativi collegati alla rete del Sistema informativo nazionale dell’ambiente (SINA).

ART. 252
(siti di interesse nazionale)

1. I siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonche’ di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali.

2. All’individuazione dei siti di interesse nazionale si provvede con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale;

b) la bonifica deve riguardare aree e territori tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

c) il rischio sanitario ed ambientale che deriva dal rilevato superamento delle concentrazioni soglia di rischio deve risultare particolarmente elevato in ragione della densità della popolazione o dell’estensione dell’area interessata;

d) l’impatto socio economico causato dall’inquinamento dell’area deve essere rilevante;

e) la contaminazione deve costituire un rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale;

f) gli interventi da attuare devono riguardare siti compresi nel territorio di più regioni.

3. Ai fini della perimetrazione del sito sono sentiti i comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili nonche’ dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili.

4. La procedura di bonifica di cui all’articolo 242 dei siti di interesse nazionale e’ attribuita alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio può avvalersi anche dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente delle regioni interessate e dell’Istituto superiore di sanità nonche’ di altri soggetti qualificati pubblici o privati.

5. Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia individuabile oppure non provveda il proprietario del sito contaminato ne’ altro soggetto interessato, gli interventi sono predisposti dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, avvalendosi dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), dell’Istituto superiore di sanità e dell’E.N.E.A. nonche’ di altri soggetti qualificati pubblici o privati.

6. L’autorizzazione del progetto e dei relativi interventi sostituisce a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l’altro, quelli relativi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione. L’autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.

7. Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale, l’approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale valutazione.

8. In attesa del perfezionamento del provvedimento di autorizzazione di cui ai commi precedenti, completata l’istruttoria tecnica, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può autorizzare in via provvisoria, su richiesta dell’interessato, ove ricorrano motivi d’urgenza e fatta salva l’acquisizione della pronuncia positiva del giudizio di compatibilità ambientale, ove prevista, l’avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi interventi di bonifica, secondo il progetto valutato positivamente, con eventuali prescrizioni, dalla conferenza di servizi convocata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. L’autorizzazione provvisoria produce gli effetti di cui all’articolo 242, comma 7.

9. E’ qualificato sito di interesse nazionale ai sensi della normativa vigente l’area interessata dalla bonifica della ex discarica delle Strillaie (Grosseto). Con successivo decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio si provvederà alla perimetrazione della predetta area.

ART. 253
(oneri reali e privilegi speciali)

1. Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d’ufficio dall’autorità competente ai sensi dell’articolo 250. L’onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica.

2. Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile.

3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.

4. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell’inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito.

5. Gli interventi di bonifica dei siti inquinati possono essere assistiti, sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento, da contributi pubblici entro il limite massimo del cinquanta per cento delle relative spese qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi ad esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali. Ai predetti contributi pubblici non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2.

TITOLO VI

SISTEMA SANZIONATORIO E DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

CAPO I

SANZIONI

ART. 254
(norme speciali)

1. Restano ferme le sanzioni previste da norme speciali vigenti in materia.

ART. 255
(abbandono di rifiuti)

1. Fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2, chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da centocinque euro a seicentoventi euro. Se l’abbandono di rifiuti sul suolo riguarda rifiuti non pericolosi e non ingombranti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da venticinque euro a centocinquantacinque euro.

2. Il titolare del centro di raccolta, il concessionario o il titolare della succursale della casa costruttrice che viola le disposizioni di cui all’articolo 231, comma 5, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duecentosessanta a euro millecinquecentocinquanta.

3. Chiunque non ottempera all’ordinanza del Sindaco, di cui all’articolo 192, comma 3, o non adempie all’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3, e’ punito con la pena dell’arresto fino ad un anno. Nella sentenza di condanna o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione di quanto disposto nella ordinanza di cui all’articolo 192, comma 3, ovvero all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 187, comma 3.

ART. 256
(attività di gestione di rifiuti non autorizzata)

1. Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 e’ punito:

a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;

b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

2. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.

3. Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata e’ punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica e’ destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale e’ realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.

4. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonche’ nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.

5. Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, e’ punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).

6. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b), e’ punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti.

7. Chiunque viola gli obblighi di cui agli articoli 231, commi 7, 8 e 9, 233, commi 12 e 13, e 234, comma 14, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da duecentosessanta euro a millecinquecentocinquanta euro.

8. I soggetti di cui agli articoli 233, 234, 235 e 236 che non adempiono agli obblighi di partecipazione ivi previsti sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da ottomila euro a quarantacinquemila euro, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi. Sino all’adozione del decreto di cui all’articolo 234, comma 2, le sanzioni di cui al presente comma non sono applicabili ai soggetti di cui al medesimo articolo 234.

9. Le sanzioni di cui al comma 8 sono ridotte della metà nel caso di adesione effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine per adempiere agli obblighi di partecipazione previsti dagli articoli 233, 234, 235 e 236.

ART. 257
(bonifica dei siti)

1. Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio e’ punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore e’ punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro.

2. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento e’ provocato da sostanze pericolose.

3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.

4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1.

ART. 258
(violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari)

1. I soggetti di cui all’articolo 189, comma 3, che non effettuino la comunicazione ivi prescritta ovvero la effettuino in modo incompleto o inesatto sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro; se la comunicazione e’ effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da ventisei euro a centosessanta euro.

2. Chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro di carico e scarico di cui all’articolo 190, comma 1, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro. Se il registro e’ relativo a rifiuti pericolosi si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da quindicimilacinquecento euro a novantatremila euro, nonche’ la sanzione amministrativa accessoria della sospensione da un mese a un anno dalla carica rivestita dal soggetto responsabile dell’infrazione e dalla carica di amministratore.

3. Nel caso di imprese che occupino un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti, le misure minime e massime di cui al comma 2 sono ridotte rispettivamente da millequaranta euro a seimiladuecento euro per i rifiuti non pericolosi e da duemilasettanta euro a dodicimilaquattrocento euro per i rifiuti pericolosi. Il numero di unità lavorative e’ calcolato con riferimento al numero di dipendenti occupati mediamente a tempo pieno durante un anno, mentre i lavoratori a tempo parziale e quelli stagionali rappresentano frazioni di unità lavorative annue; ai predetti fini l’anno da prendere in considerazione e’ quello dell’ultimo esercizio contabile approvato, precedente il momento di accertamento dell’infrazione.

4. Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. Tale ultima pena si applica anche a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto.

5. Se le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 sono formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute per legge consentono di ricostruire le informazioni dovute, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duecentosessanta euro a millecinquecentocinquanta euro. La stessa pena si applica se le indicazioni di cui al comma 43 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengono tutti gli elementi per ricostruire le informazioni dovute per legge, nonche’ nei casi di mancato invio alle autorità competenti e di mancata conservazione dei registri di cui all’articolo 190, comma 1, o del formulario di cui all’articolo 193.

ART. 259
(traffico illecito di rifiuti)

1. Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell’articolo 26 del regolamento (CEE) 1° febbraio 1993, n. 259, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell’Allegato II del citato regolamento in violazione dell’articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso e’ punito con la pena dell’ammenda da millecinquecentocinquanta euro a ventiseimila euro e con l’arresto fino a due anni. La pena e’ aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi.

2. Alla sentenza di condanna, o a quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli articoli 256 e 258, comma 4, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto.

ART. 260
(attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti)

1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti e’ punito con la reclusione da uno a sei anni.

2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

3. Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32-bis e 32-ter del codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo codice.

4. Il giudice, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.

ART. 261
(imballaggi)

1. I produttori e gli utilizzatori che non adempiano all’obbligo di raccolta di cui all’articolo 221, comma 2, o non adottino, in alternativa, sistemi gestionali ai sensi del medesimo articolo 221, comma 3, lettere a) e c), sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria pari a sei volte le somme dovute al CONAI, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi.

2. I produttori di imballaggi che non provvedono ad organizzare un sistema per l’adempimento degli obblighi di cui all’articolo 221, comma 3, e non aderiscono ai consorzi di cui all’articolo 223, ne’ adottano un sistema di restituzione dei propri imballaggi ai sensi dell’articolo 221, comma 3, lettere a) e c), sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da quindicimilacinquecento euro a quarantaseimilacinquecento euro. La stessa pena si applica agli utilizzatori che non adempiono all’obbligo di cui alì all’articolo 221, comma 4.

3. La violazione dei divieti di cui all’articolo 226, commi 1 e 4, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemiladuecento euro a quarantamila euro. La stessa pena si applica a chiunque immette nel mercato interno imballaggi privi dei requisiti di cui all’articolo 219, comma 5.

4. La violazione del disposto di cui all’articolo 226, comma 3, e’ punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro.

ART. 262
(competenza e giurisdizione)

1. Fatte salve le altre disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689 in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla parte quarta del presente decreto provvede la provincia nel cui territorio e’ stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’articolo 261, comma 3, in relazione al divieto di cui all’articolo 226, comma 1, per le quali e’ competente il comune.

2. Avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative di cui al comma 1 e’ esperibile il giudizio di opposizione di cui all’articolo 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

3. Per i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto l’autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli Enti indicati al comma 1 ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative.

ART. 263
(proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie)

1. I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni di cui alle disposizioni della parte quarta del presente decreto sono devoluti alle province e sono destinati all’esercizio delle funzioni di controllo in materia ambientale, fatti salvi i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 261, comma 3, in relazione al divieto di cui all’articolo 226, comma 1, che sono devoluti ai comuni.

CAPO II

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

ART. 264
(abrogazione di norme)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto restano o sono abrogati, escluse le disposizioni di cui il presente decreto prevede l’ulteriore vigenza:

a) la legge 20 marzo 1941, n. 366;

b) il decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915;

c) il decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, ad eccezione dell’articolo 9 e dell’articolo 9-quinquies come riformulato dal presente decreto. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi dell’articolo 9-quinquies, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n, 475, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto;

d) il decreto-legge 31 agosto 1987, n. 361, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 441, ad eccezione degli articoli 1, 1-bis, I-ter, 1-quater e 1-quinquies;

e) il decreto-legge 14 dicembre 1988, n. 527, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 febbraio 1988, n. 45;

f) l’articolo 29-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427;

g) i commi 3, 4 e 5, secondo periodo, dell’articolo 103 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;

h) l’articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 1994;

i) il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto;

l) l’articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dall’articolo 14 della legge 8 agosto 2002, n. 178;

m) l’articolo 9, comma 2-bis, della legge 21 novembre 2000, n. 342, ultimo periodo, dalle parole: “i soggetti di cui all’artico 38, comma 3, lettera a)” sino alla parola: “CONAI”;

n) l’articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504;

o) gli articoli 4, 5, 8, 12, 14 e 15 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95. Restano valide ai fini della gestione degli oli usati, fino al conseguimento o diniego di quelle richieste ai sensi del presente decreto e per un periodo comunque non superiore ad un triennio dalla data della sua entrata in vigore, tutte le autorizzazioni concesse, alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, ai sensi della normativa vigente, ivi compresi il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, e il decreto 16 maggio 1996, n. 392, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 173 del 25 luglio 1996. Al fine di assicurare che non vi sia soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi dell’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi p revisti dalla parte quarta del presente decreto;

p) l’articolo 19 della legge 23 marzo 2001, n. 93.

2. Il Governo, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, adotta, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro trenta giorni dalla trasmissione del relativo schema alle Camere, apposito regolamento con il quale sono individuati gli ulteriori atti normativi incompatibili con le disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto, che sono abrogati con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo.

ART. 265
(disposizioni transitorie)

1. Le vigenti norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle corrispondenti specifiche norme adottate in attuazione della parte quarta del presente decreto. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, le pubbliche amministrazioni, nell’esercizio delle rispettive competenze, adeguano la previgente normativa di attuazione alla disciplina contenuta nella parte quarta del presente decreto, nel rispetto di quanto stabilito dall’articolo 264, comma 1, lettera i). Ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi continua ad intendersi riferito ai rifiuti pericolosi.

2. In attesa delle specifiche norme regolamentari e tecniche in materia di trasporto dei rifiuti, di cui all’articolo 195, comma 2, lettera 1), e fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 in materia di rifiuti prodotti dalle navi e residui di carico, i rifiuti sono assimilati alle merci per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporti via mare e la disciplina delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali. In particolare i rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose.

3. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro delle attività produttive, individua con apposito decreto le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le università, nonche’ presso le imprese e i loro consorzi.

4. Fatti salvi gli interventi realizzati alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, entro centottanta giorni da tale data, può essere presentata all’autorità competente adeguata relazione tecnica al fine di rimodulare gli obiettivi di bonifica già autorizzati sulla base dei criteri definiti dalla parte quarta del presente decreto. L’autorità competente esamina la documentazione e dispone le varianti al progetto necessarie.

5. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con il Ministro delle attività produttive sono disciplinati modalità, presupposti ed effetti economici per l’ipotesi in cui i soggetti aderenti ai vigenti consorzi pongano in essere o aderiscano a nuovi consorzi o a forme ad essi alternative, in conformità agli schemi tipo di statuto approvati dai medesimi Ministri, senza che da ciò derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

6. Le aziende siderurgiche e metallurgiche operanti alla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto e sottoposte alla disciplina di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, sono autorizzate in via transitoria, previa presentazione della relativa domanda, e fino al rilascio o al definitivo diniego dell’autorizzazione medesima, ad utilizzare, impiegandoli nel proprio ciclo produttivo, i rottami ferrosi individuati dal codice GA 430 dell’Allegato II (lista verde dei rifiuti) del regolamento (CE) 1° febbraio 1993, n. 259 e i rottami non ferrosi individuati da codici equivalenti del medesimo Allegato.

ART. 266
(disposizioni finali)

1. Nelle attrezzature sanitarie di cui all’articolo 4, comma 2, lettera g), della legge 29 settembre 1964, n. 847, sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate.

2. Dall’attuazione delle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri o minori entrate a carico dello Stato.

3. Le spese per l’indennità e per il trattamento economico del personale di cui all’articolo 9 del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, restano a carico del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, salvo quanto previsto dal periodo seguente. Il trattamento economico resta a carico delle istituzioni di appartenenza, previa intesa con le medesime, nel caso in cui il personale svolga attività di comune interesse.

4. I rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività.

5. Le disposizioni di cui agli articoli 189, 190, 193 e 212 non si applicano alle attività di raccolta e trasporto di rifiuti effettuate dai soggetti abilitati allo svolgimento delle attività medesime in forma ambulante, limitatamente ai rifiuti che formano oggetto del loro commercio.

6. Fatti salvi gli effetti dei provvedimenti sanzionatori adottati con atti definitivi, dalla data di pubblicazione del presente decreto non trovano applicazione le disposizioni recanti gli obblighi di cui agli articoli 48, comma 2, e 51, comma 6-ter, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, nonche’ le disposizioni sanzionatorie previste dal medesimo articolo 51, commi 6-bis, 6-ter e 6-quinquies, anche con riferimento a fattispecie verificatesi dopo il 31 marzo 2004.

7. Con successivo decreto, adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive e della salute, e’ dettata la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale.

PARTE QUINTA

NORME IN MATERIA DI TUTELA DELL’ARIA E DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA

TITOLO I

PREVENZIONE E LIMITAZIONE DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA DI IMPIANTI E ATTIVITA’

ART. 267
(campo di applicazione)

1. Il presente titolo, ai fini della prevenzione e della limitazione dell’inquinamento atmosferico, si applica agli impianti, inclusi gli impianti termici civili non disciplinati dal titolo II, ed alle attività che producono emissioni in atmosfera e stabilisce i valori di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi delle emissioni ed i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite.

2. Sono esclusi dal campo di applicazione della parte quinta del presente decreto gli impianti disciplinati dal decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, recante attuazione della direttiva 2000/76/CE in materia di incenerimento dei rifiuti.

3. Resta fermo, per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale, quanto previsto dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59; per tali impianti l’autorizzazione integrata ambientale sostituisce l’autorizzazione alle emissioni prevista dal presente titolo.

4. Al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi derivanti dal Protocollo di Kyoto e di favorire comunque la riduzione delle emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti, la normativa di cui alla parte quinta del presente decreto intende determinare l’attuazione di tutte le più opportune azioni volte a promuovere l’impiego dell’energia elettrica prodotta da impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa comunitaria e nazionale vigente e, in particolare, della direttiva 2001/77/CE e del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, determinandone il dispacciamento prioritario. In particolare:

a) potranno essere promosse dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle attività produttive e per lo sviluppo e la coesione territoriale misure atte a favorire la produzione di energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare la base produttiva di tecnologie pulite, con particolare riferimento al Mezzogiorno;

b) con decreto del Ministro delle attività produttive di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e dell’economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, sono determinati i compensi dei componenti dell’Osservatorio di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, da applicarsi a decorrere dalla data di nomina, nel limite delle risorse di cui all’articolo 16, comma 6, del medesimo decreto legislativo e senza che ne derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

c) i certificati verdi maturati a fronte di energia prodotta ai sensi dell’articolo 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239, possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, solo dopo che siano stati annullati tutti i certificati verdi maturati dai produttori di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili così come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 387 del 2003;

d) al fine di prolungare il periodo di validità dei certificati verdi, all’articolo 20, comma 5, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, le parole “otto anni” sono sostituite dalle parole “dodici anni”.

ART. 268
(definizioni)

1. Ai fini del presente titolo si applicano le seguenti definizioni:

a) inquinamento atmosferico: ogni modificazione dell’aria atmosferica, dovuta all’introduzione nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente;

b) emissione: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico;

c) emissione convogliata: emissione di un effluente gassoso effettuata attraverso uno o più appositi punti;

d) emissione diffusa: emissione diversa da quella ricadente nella lettera c); per le attività di cui all’articolo 275 le emissioni diffuse includono anche i solventi contenuti nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella Parte III dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto;

e) emissione tecnicamente convogliabile: emissione diffusa che deve essere convogliata sulla base delle migliori tecniche disponibili o in presenza di situazioni o di zone che richiedono una particolare tutela;

f) emissioni totali: la somma delle emissioni diffuse e delle emissioni convogliate;

g) effluente gassoso: lo scarico gassoso, contenente emissioni solide, liquide o gassose; la relativa portata volumetrica e’ espressa in metri cubi all’ora riportate in condizioni normali (Nm3/ora), previa detrazione del tenore di vapore acqueo, se non diversamente stabilito dalla parte quinta del presente decreto;

h) impianto: il macchinario o il sistema o l’insieme di macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa e dotato di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica attività; la specifica attività a cui e’ destinato l’impianto può costituire la fase di un ciclo produttivo più ampio;

i) impianto anteriore al 1988: un impianto che, alla data del 1° luglio 1988, era in esercizio o costruito in tutte le sue parti o autorizzato ai sensi della normativa previgente;

l) impianto anteriore al 2006: un impianto che non ricade nella definizione di cui alla lettera i) e che, alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, e’ autorizzato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, purche’ in funzione o messo in funzione entro i successivi ventiquattro mesi; si considerano anteriori al 2006 anche gli impianti anteriori al 1988 la cui autorizzazione e’ stata aggiornata ai sensi dell’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203;

m) impianto nuovo: un impianto che non ricade nelle definizioni di cui alle lettere i) e l);

n) gestore: la persona fisica o giuridica che ha un potere decisionale circa l’installazione o l’esercizio dell’impianto o, nei casi previsti dall’articolo 269, commi 10, 11 e 12, e dall’articolo 275, la persona fisica o giuridica che ha un potere decisionale circa l’esercizio dell’attività;

o) autorità competente: la regione o la provincia autonoma o la diversa autorità indicata dalla legge regionale quale autorità competente al rilascio dell’autorizzazione alle emissioni e all’adozione degli altri provvedimenti previsti dal presente titolo; per le piattaforme off-shore e per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore, l’autorità competente e’ il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio; per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per gli adempimenti a questa connessi, l’autorità competente e’ quella che rilascia tale autorizzazione;

p) autorità competente per il controllo: l’autorità a cui la legge regionale attribuisce il compito di eseguire in via ordinaria i controlli circa il rispetto dell’autorizzazione e delle disposizioni del presente titolo, ferme restando le competenze degli organi di polizia giudiziaria; per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per i controlli a questa connessi, l’autorità competente per il controllo e’ quella prevista dalla normativa che disciplina tale autorizzazione;

q) valore limite di emissione: il fattore di emissione, la concentrazione, la percentuale o il flusso di massa di sostanze inquinanti nelle emissioni che non devono essere superati;

r) fattore di emissione: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e unità di misura specifica di prodotto o di servizio;

s) concentrazione: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e volume dell’effluente gassoso; per gli impianti di combustione i valori di emissione espressi come concentrazione (mg/Nm3) sono calcolati considerando, se non diversamente stabilito dalla parte quinta del presente decreto, un tenore volumetrico di ossigeno di riferimento del 3 per cento in volume dell’effluente gassoso per i combustibili liquidi e gassosi, del 6 per cento in volume per i combustibili solidi e del 15 per cento in volume per le turbine a gas;

t) percentuale: rapporto tra massa di sostanza inquinante emessa e massa della stessa sostanza utilizzata nel processo produttivo, moltiplicato per cento;

u) flusso di massa: massa di sostanza inquinante emessa per unità di tempo;

v) soglia di rilevanza dell’emissione: flusso di massa, per singolo inquinante, misurato a monte di eventuali sistemi di abbattimento, e nelle condizioni di esercizio più gravose dell’impianto, al di sotto del quale non si applicano i valori limite di emissione;

z) condizioni normali: una temperatura di 273,15 K ed una pressione di 101,3 kPa;

aa) migliori tecniche disponibili: la più efficiente ed avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche ad evitare ovvero, se ciò risulti impossibile, a ridurre le emissioni; a tal fine, si intende per:

1) tecniche: sia le tecniche impiegate, sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto;

2) disponibili: le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purche’ il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli;

3) migliori: le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso;

bb) periodo di avviamento: salva diversa disposizione autorizzativa, il tempo in cui l’impianto, a seguito dell’erogazione di energia, combustibili o materiali, e’ portato da una condizione nella quale non esercita l’attività a cui e’ destinato, o la esercita in situazione di carico di processo inferiore al minimo tecnico, ad una condizione nella quale tale attività e’ esercitata in situazione di carico di processo pari o superiore al minimo tecnico;

cc) periodo di arresto: salva diversa disposizione autorizzativa, il tempo in cui l’impianto, a seguito dell’interruzione dell’erogazione di energia, combustibili o materiali, non dovuta ad un guasto, e’ portato da una condizione nella quale esercita l’attività a cui e’ destinato in situazione di carico di processo pari o superiore al minimo tecnico ad una condizione nella quale tale funzione e’ esercitata in situazione di carico di processo inferiore al minimo tecnico o non e’ esercitata;

dd) carico di processo: il livello percentuale di produzione rispetto alla potenzialità nominale dell’impianto;

ee) minimo tecnico: il carico minimo di processo compatibile con l’esercizio dell’impianto in condizione di regime;

ff) impianto di combustione: qualsiasi dispositivo tecnico in cui sono ossidati combustibili al fine di utilizzare il calore così prodotto;

gg) grande impianto di combustione: impianto di combustione di potenza termica nominale non inferiore a 50MW;

hh) potenza termica nominale dell’impianto di combustione: prodotto del potere calorifico inferiore del combustibile utilizzato e della portata massima di combustibile bruciato al singolo impianto di combustione, così come dichiarata dal costruttore, espressa in Watt termici o suoi multipli;

ii) composto organico: qualsiasi composto contenente almeno l’elemento carbonio e uno o più degli elementi seguenti: idrogeno, alogeni, ossigeno, zolfo, fosforo, silicio o azoto, ad eccezione degli ossidi di carbonio e dei carbonati e bicarbonati inorganici;

ll) composto organico volatile (COV): qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilità corrispondente in condizioni particolari di uso. Ai fini della parte quinta del presente decreto, e’ considerata come COV la frazione di creosoto che alla temperatura di 293,15 K ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa;

mm) solvente organico: qualsiasi COV usato da solo o in combinazione con altri agenti al fine di dissolvere materie prime, prodotti o rifiuti, senza subire trasformazioni chimiche, o usato come agente di pulizia per dissolvere contaminanti oppure come dissolvente, mezzo di dispersione, correttore di viscosità, correttore di tensione superficiale, plastificante o conservante;

nn) capacità nominale: la massa giornaliera massima di solventi organici utilizzati per le attività di cui all’articolo 275, svolte in condizioni di normale funzionamento ed in funzione della potenzialità di prodotto per cui le attività sono progettate;

oo) consumo di solventi: il quantitativo totale di solventi organici utilizzato per le attività di cui all’articolo 275 per anno civile ovvero per qualsiasi altro periodo di dodici mesi, detratto qualsiasi COV recuperato per riutilizzo;

pp) consumo massimo teorico di solventi: il consumo di solventi calcolato sulla base della capacità nominale riferita, se non diversamente stabilito dall’autorizzazione, a trecentotrenta giorni all’anno in caso di attività effettuate a ciclo continuo ed a duecentoventi giorni all’anno per le altre attività;

qq) riutilizzo di solventi organici: l’utilizzo di solventi organici prodotti da una attività e successivamente recuperati al fine di essere alla stessa destinati per qualsiasi finalità tecnica o commerciale, ivi compreso l’uso come combustibile;

rr) soglia di consumo: il consumo di solvente espresso in tonnellate/anno stabilito dalla parte II dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto, per le attività ivi previste;

ss) raffinerie: raffinerie di oli minerali sottoposte ad autorizzazione ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239;

tt) impianti di distribuzione di carburante: impianti in cui il carburante viene erogato ai serbatoi dei veicoli a motore da impianti di deposito;

uu) benzina: ogni derivato del petrolio, con o senza additivi, corrispondente ai seguenti codici doganali: NC 2710 1131 – 2710 1141 – 2710 1145 – 2710 1149 – 2710 1151 – 2710 1159 o che abbia una tensione di vapore Reid pari o superiore a 27,6 kilopascal, pronto all’impiego quale carburante per veicoli a motore, ad eccezione del gas di petrolio liquefatto (GPL);

vv) terminale: ogni struttura adibita al caricamento e allo scaricamento di benzina in/da veicolo-cisterna, carro-cisterna o nave-cisterna, ivi compresi gli impianti di deposito presenti nel sito della struttura;

zz) impianto di deposito: ogni serbatoio fisso adibito allo stoccaggio di combustibile;

aaa) impianto di caricamento: ogni impianto di un terminale ove la benzina può essere caricata in cisterne mobili. Gli impianti di caricamento per i veicoli-cisterna comprendono una o più torri di caricamento;

bbb) torre di caricamento: ogni struttura di un terminale mediante la quale la benzina può essere, in un dato momento, caricata in un singolo veicolo-cisterna;

ccc) deposito temporaneo di vapori: il deposito temporaneo di vapori in un impianto di deposito a tetto fisso presso un terminale prima del trasferimento e del successivo recupero in un altro terminale. Il trasferimento dei vapori da un impianto di deposito ad un altro nello stesso terminale non e’ considerato deposito temporaneo di vapori ai sensi della parte quinta del presente decreto;

ddd) cisterna mobile: una cisterna di capacità superiore ad 1 m3, trasportata su strada, per ferrovia o per via navigabile e adibita al trasferimento di benzina da un terminale ad un altro o da un terminale ad un impianto di distribuzione di carburanti;

eee) veicolo-cisterna: un veicolo adibito al trasporto su strada della benzina che comprenda una o più cisterne montate stabilmente o facenti parte integrante del telaio o una o più cisterne rimuovibili.

ART. 269
(autorizzazione alle emissioni in atmosfera)

1. Fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 267, comma 3, dai commi 14 e 16 del presente articolo e dall’articolo 272, comma 5, per tutti gli impianti che producono emissioni deve essere richiesta una autorizzazione ai sensi della parte quinta del presente decreto.

2. Il gestore che intende installare un impianto nuovo o trasferire un impianto da un luogo ad un altro presenta all’autorità competente una domanda di autorizzazione, accompagnata:

a) dal progetto dell’impianto in cui sono descritte la specifica attività a cui l’impianto e’ destinato, le tecniche adottate per limitare le emissioni e la quantità e la qualità di tali emissioni, le modalità di esercizio e la quantità, il tipo e le caratteristiche merceologiche dei combustibili di cui si prevede l’utilizzo, nonche’, per gli impianti soggetti a tale condizione, il minimo tecnico definito tramite i parametri di impianto che lo caratterizzano, e

b) da una relazione tecnica che descrive il complessivo ciclo produttivo in cui si inserisce la specifica attività cui l’impianto e’ destinato ed indica il periodo previsto intercorrente tra la messa in esercizio e la messa a regime dell’impianto.

3. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione, l’autorità competente indice, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel corso della quale si procede anche, in via istruttoria, ad un contestuale esame degli interessi coinvolti in altri procedimenti amministrativi e, in particolare, nei procedimenti svolti dal comune ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265. Eventuali integrazioni della domanda devono essere trasmesse all’autorità competente entro trenta giorni dalla richiesta; se l’autorità competente non si pronuncia in un termine pari a centoventi giorni o, in caso di integrazione della domanda di autorizzazione, pari a centocinquanta giorni dalla ricezione della domanda stessa, il gestore può, entro i successivi sessanta giorni, richiedere al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di provvedere, notificando tale richiesta anche all’autorità competente. Il Ministro si esprime sulla richiesta, di concerto con i Ministri della salute e delle attività produttive, sentito il comune interessato, entro novanta giorni o, nei casi previsti dall’articolo 281, comma 1, entro centocinquanta giorni dalla ricezione della stessa; decorso tale termine, si applica l’articolo 2, comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

4. L’autorizzazione stabilisce, ai sensi degli articoli 270 e 271:

a) per le emissioni che risultano tecnicamente convogliabili, le modalità di captazione e di convogliamento;

b) per le emissioni convogliate o di cui e’ stato disposto il convogliamento, i valori limite di emissione, le prescrizioni, i metodi di campionamento e di analisi, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e la periodicità dei controlli di competenza del gestore;

c) per le emissioni diffuse, apposite prescrizioni finalizzate ad assicurarne il contenimento.

5. L’autorizzazione stabilisce il periodo che deve intercorrere tra la messa in esercizio e la messa a regime dell’impianto. La messa in esercizio deve essere comunicata all’autorità competente con un anticipo di almeno quindici giorni. L’autorizzazione stabilisce la data entro cui devono essere comunicati all’autorità competente i dati relativi alle emissioni effettuate in un periodo continuativo di marcia controllata di durata non inferiore a dieci giorni, decorrenti dalla messa a regime, e la durata di tale periodo, nonche’ il numero dei campionamenti da realizzare.

6. L’autorità competente per il controllo effettua il primo accertamento circa il rispetto dell’autorizzazione entro sei mesi dalla data di messa a regime dell’impianto.

7. L’autorizzazione rilasciata ai sensi del presente articolo ha una durata di quindici anni. La domanda di rinnovo deve essere presentata almeno un anno prima della scadenza. Nelle more dell’adozione del provvedimento sulla domanda di rinnovo dell’autorizzazione rilasciata ai sensi del presente articolo, l’esercizio dell’impianto può continuare anche dopo la scadenza dell’autorizzazione in caso di mancata pronuncia in termini del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi del comma 3. L’aggiornamento dell’autorizzazione ai sensi del comma 8 comporta il decorso di un nuovo periodo di quindici anni solo nel caso di modifica sostanziale.

8. Il gestore che intende sottoporre un impianto ad una modifica, che comporti una variazione di quanto indicato nel progetto o nella relazione tecnica di cui al comma 2 o nell’autorizzazione di cui al comma 3 o nell’autorizzazione rilasciata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, o nei documenti previsti dall’articolo 12 di tale decreto, anche relativa alle modalità di esercizio o ai combustibili utilizzati, ne dà comunicazione all’autorità competente o, se la modifica e’ sostanziale, presenta una domanda di aggiornamento ai sensi del presente articolo. Se la modifica per cui e’ stata data comunicazione e’ sostanziale, l’autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di aggiornamento dell’autorizzazione, alla quale si applicano le disposizioni del presente articolo. Se la modifica non e’ sostanziale, l’autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l’autorizzazione in atto. Se l’autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestor e può procedere all’esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell’autorità competente di provvedere anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla ricezione della comunicazione. Per modifica sostanziale si intende quella che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse. Il presente comma si applica anche a chi intende sottoporre a modifica una attività autorizzata ai sensi dei commi 10, 11, 12 e 13. E’ fatto salvo quanto previsto dall’articolo 275, comma 11.

9. L’autorità competente per il controllo e’ autorizzata ad effettuare presso gli impianti tutte le ispezioni che ritenga necessarie per accertare il rispetto dell’autorizzazione.

10. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 275, chi intende effettuare, in modo non occasionale, attività di verniciatura in un luogo a ciò adibito ed in assenza di un impianto presenta all’autorità competente apposita domanda, salvo l’attività ricada tra quelle previste dall’articolo 272, comma 1. L’autorità competente valuta se, ai sensi dell’articolo 270, commi 1 e 2, le emissioni prodotte da tali attività devono essere convogliate attraverso la realizzazione di un impianto.

11. Nel caso in cui il convogliamento delle emissioni sia disposto ai sensi del comma 10, si applicano i valori limite e le prescrizioni di cui all’articolo 271, contenuti nelle autorizzazioni rilasciate in conformità al presente articolo, oppure, se l’attività ricade tra quelle previste dall’articolo 272, comma 2, i valori limite e le prescrizioni contenuti nelle autorizzazioni generali ivi disciplinate. Nel caso in cui il convogliamento delle emissioni non sia disposto, l’autorizzazione stabilisce apposite prescrizioni finalizzate ad assicurare il contenimento delle emissioni diffuse prodotte dall’attività; a tale autorizzazione si applicano le disposizioni del presente articolo escluse quelle che possono essere riferite alle sole emissioni convogliate.

12. Le disposizioni dei commi 10 e 11 si applicano altresì a chi intende effettuare, in modo non occasionale ed in un luogo a ciò adibito, in assenza di un impianto, attività di lavorazione, trasformazione o conservazione di materiali agricoli, le quali producano emissioni, o attività di produzione, manipolazione, trasporto, carico, scarico o stoccaggio di materiali polverulenti, salvo tali attività ricadano tra quelle previste dall’articolo 272, comma 1. Per le attività aventi ad oggetto i materiali polverulenti si applicano le norme di cui alla parte I dell’Allegato V alla parte quinta del presente decreto.

13. Se un luogo e’ adibito, in assenza di una struttura fissa, all’esercizio non occasionale delle attività previste dai commi 10 o 12, ivi effettuate in modo occasionale da più soggetti, l’autorizzazione e’ richiesta dal gestore del luogo. Per gestore si intende, ai fini del presente comma, il soggetto che esercita un potere decisionale circa le modalità e le condizioni di utilizzo di tale area da parte di chi esercita l’attività.

14. Non sono sottoposti ad autorizzazione i seguenti impianti:

a) impianti di combustione, compresi i gruppi elettrogeni a cogenerazione, di potenza termica nominale inferiore a 1 MW, alimentati a biomasse di cui all’Allegato X alla parte quinta del presente decreto, a gasolio, come tale o in emulsione, o a biodiesel;

b) impianti di combustione alimentati ad olio combustibile, come tale o in emulsione, di potenza termica nominale inferiore a 0,3 MW;

c) impianti di combustione alimentati a metano o a GPL, di potenza termica nominale inferiore a 3 MW;

d) impianti di combustione, ubicati all’interno di impianti di smaltimento dei rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, di potenza termica nominale non superiore a 3 MW, se l’attività di recupero e’ soggetta alle procedure autorizzative semplificate previste dalla parte quarta del presente decreto e tali procedure sono state espletate;

e) impianti di combustione alimentati a biogas di cui all’Allegato X alla parte quinta del presente decreto, di potenza termica nominale complessiva inferiore o uguale a 3 MW;

f) gruppi elettrogeni di cogenerazione alimentati a metano o a GPL, di potenza termica nominale inferiore a 3 MW;

g) gruppi elettrogeni di cogenerazione alimentati a benzina di potenza termica nominale inferiore a 1 MW;

h) impianti di combustione connessi alle attività di stoccaggio dei prodotti petroliferi funzionanti per meno di 2200 ore annue, di potenza termica nominale inferiore a 5 MW se alimentati a metano o GPL ed inferiore a 2,5 MW se alimentati a gasolio;

i) impianti di emergenza e di sicurezza, laboratori di analisi e ricerca, impianti pilota per prove, ricerche, sperimentazioni, individuazione di prototipi. Tale esenzione non si applica in caso di emissione di sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene o di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate, come individuate dalla parte II dell’Allegato I alla parte quinta del presente decreto.

15. L’autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori degli impianti di cui al comma 14 comunichino alla stessa, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività.

16. Non sono sottoposti ad autorizzazione gli impianti di deposito di oli minerali, compresi i gas liquefatti. I gestori sono comunque tenuti ad adottare apposite misure per contenere le emissioni diffuse ed a rispettare le ulteriori prescrizioni eventualmente disposte, per le medesime finalità, con apposito provvedimento dall’autorità competente.

ART. 270
(convogliamento delle emissioni)

1. In sede di autorizzazione, l’autorità competente verifica se le emissioni diffuse di un impianto o di un macchinario fisso dotato di autonomia funzionale sono tecnicamente convogliabili sulla base delle migliori tecniche disponibili e sulla base delle pertinenti prescrizioni dell’Allegato I alla parte quinta del presente decreto e, in tal caso, ne dispone la captazione ed il convogliamento.

2. In presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedono una particolare tutela ambientale, l’autorità competente dispone la captazione ed il convogliamento delle emissioni diffuse ai sensi del comma 1 anche se la tecnica individuata non soddisfa il requisito della disponibilità di cui all’articolo 268, comma 1, lettera aa), numero 2).

3. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, sono stabiliti i criteri da utilizzare per la verifica di cui ai commi 1 e 2.

4. Se più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive simili, aventi emissioni con caratteristiche chimico-fisiche omogenee e localizzati nello stesso luogo sono destinati a specifiche attività tra loro identiche, l’autorità competente, tenendo conto delle condizioni tecniche ed economiche, può considerare gli stessi come un unico impianto.

5. In caso di emissioni convogliate o di cui e’ stato disposto il convogliamento, ciascun impianto o macchinario fisso dotato di autonomia funzionale, anche individuato ai sensi del comma 4, deve avere un solo punto di emissione, fatto salvo quanto previsto nei commi 6 e 7. Salvo quanto diversamente previsto da altre disposizioni del presente titolo, i valori limite di emissione si applicano a ciascun punto di emissione.

6. Ove non sia tecnicamente possibile assicurare il rispetto del comma 5, l’autorità competente può autorizzare un nuovo impianto o macchinario fisso dotato di autonomia funzionale avente più punti di emissione. In tal caso, i valori limite di emissione espressi come flusso di massa, fattore di emissione e percentuale sono riferiti al complesso delle emissioni dell’impianto o del macchinario fisso dotato di autonomia funzionale e quelli espressi come concentrazione sono riferiti alle emissioni dei singoli punti, salva l’applicazione dell’articolo 271, comma 10.

7. Ove non sia tecnicamente possibile assicurare il rispetto del comma 5, l’autorità competente può autorizzare il convogliamento delle emissioni di più nuovi impianti o macchinari fissi dotati di autonomia funzionale in uno o più punti di emissione comuni, anche appartenenti ad impianti anteriori al 2006 ed al 1988, purche’ le emissioni di tutti gli impianti o di tutti i macchinari fissi dotati di autonomia funzionale presentino caratteristiche chimico-fisiche omogenee. In tal caso a ciascun punto di emissione comune si applica il più severo dei valori limite di emissione espressi come concentrazione previsti per i singoli impianti o macchinari fissi dotati di autonomia funzionale.

8. Gli impianti anteriori al 2006 ed al 1988 si adeguano a quanto previsto dal comma 5 o, ove ciò non sia tecnicamente possibile, a quanto previsto dai commi 6 e 7 entro i tre anni successivi al primo rinnovo dell’autorizzazione effettuato ai sensi dell’articolo 281, comma 1. Ai fini dell’applicazione dei commi 4, 5, 6 e 7 l’autorità competente tiene anche conto della documentazione elaborata dalla commissione di cui all’articolo 281, comma 9.

ART. 271
(valori limite di emissione e prescrizioni)

1. L’Allegato I alla parte quinta del presente decreto stabilisce i valori limite di emissione, con l’indicazione di un valore massimo e di un valore minimo, e le prescrizioni per l’esercizio degli impianti anteriori al 1988 e di tutti gli impianti di cui all’articolo 269, comma 14, eccettuati quelli di cui alla lettera d). I valori limite di emissione e le prescrizioni stabiliti nell’Allegato I si applicano agli impianti nuovi e agli impianti anteriori al 2006 esclusivamente nei casi espressamente previsti da tale Allegato. L’Allegato V alla parte quinta del presente decreto stabilisce apposite prescrizioni per le emissioni di polveri provenienti da attività di produzione, manipolazione, trasporto, carico, scarico o stoccaggio di materiali polverulenti e per le emissioni in forma di gas o vapore derivanti da attività di lavorazione, trasporto, travaso e stoccaggio di sostanze organiche liquide.

2. Con apposito decreto, adottato ai sensi dell’articolo 281, comma 5, si provvede ad integrare l’Allegato I alla parte quinta del presente decreto con la fissazione di valori limite e prescrizioni per l’esercizio degli impianti nuovi e di quelli anteriori al 2006. Con tale decreto si provvede altresì all’aggiornamento del medesimo Allegato I. Fino all’adozione di tale decreto si applicano, per gli impianti anteriori al 1988 ed al 2006, i metodi precedentemente in uso e, per gli impianti nuovi, i metodi stabiliti dall’autorità competente sulla base delle pertinenti norme tecniche CEN o, ove queste non siano disponibili, delle pertinenti norme tecniche ISO, oppure, ove anche queste ultime non siano disponibili, sulla base delle pertinenti norme tecniche nazionali o internazionali.

3. La regione o la provincia autonoma può stabilire, con legge o con provvedimento generale, sulla base delle migliori tecniche disponibili, valori limite di emissione compresi tra i valori minimi e massimi fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto. La regione o la provincia autonoma può inoltre stabilire, ai fini della valutazione dell’entità della diluizione delle emissioni, portate caratteristiche di specifiche tipologie di impianti.

4. I piani e i programmi previsti dall’articolo 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351, e dall’articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183, possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio dell’impianto, più severi di quelli fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto e dalla normativa di cui al comma 3 purche’ ciò risulti necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria. Fino all’emanazione di tali piani e programmi, continuano ad applicarsi i valori limite di emissione e le prescrizioni contenuti nei piani adottati ai sensi dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203.

5. I piani e i programmi di cui al comma 4 possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni per gli impianti nuovi o anteriori al 2006 anche prima dell’adozione del decreto di cui al comma 2.

6. Per ciascuno degli impianti per cui e’ presentata la domanda di cui all’articolo 269, l’autorizzazione stabilisce i valori limite di emissione e le prescrizioni sulla base dei valori e delle prescrizioni fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, dalla normativa di cui al comma 3 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria. Le prescrizioni finalizzate ad assicurare il contenimento delle emissioni diffuse sono stabilite sulla base delle migliori tecniche disponibili e sulla base delle pertinenti disposizioni degli Allegati I e V alla parte quinta del presente decreto. Per le sostanze per cui non sono fissati valori di emissione, l’autorizzazione stabilisce appositi valori limite con riferimento a quelli previsti per sostanze simili sotto il profilo chimico e aventi effetti analoghi sulla salute e sull’ambiente.

7. Nel caso in cui la normativa di cui al comma 3 e i piani e programmi relativi alla qualità dell’aria non stabiliscano valori limite di emissione, non deve comunque essere superato, nell’autorizzazione, il valore massimo stabilito dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto.

8. Per gli impianti nuovi o per gli impianti anteriori al 2006, fino all’adozione del decreto di cui al comma 2, l’autorizzazione stabilisce i valori limite di emissione e le prescrizioni sulla base dei valori e delle prescrizioni fissati nei piani e programmi di cui al comma 5 e sulla base delle migliori tecniche disponibili. Nell’autorizzazione non devono comunque essere superati i valori minimi di emissione che l’Allegato I fissa per gli impianti anteriori al 1988. Le prescrizioni finalizzate ad assicurare il contenimento delle emissioni diffuse sono stabilite sulla base delle migliori tecniche disponibili e dell’Allegato V alla parte quinta del presente decreto. Si applica l’ultimo periodo del comma 6.

9. Fermo restando quanto previsto dal comma 8, l’autorizzazione può stabilire valori limite di emissione più severi di quelli fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, dalla normativa di cui al comma 3 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria:

a) in sede di rinnovo, sulla base delle migliori tecniche disponibili, anche tenuto conto del rapporto tra i costi e i benefici complessivi;

b) per zone di particolare pregio naturalistico, individuate all’interno dei piani e dei programmi adottati ai sensi degli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351, o dell’articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183, o dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203.

10. Nel caso previsto dall’articolo 270, comma 6, l’autorizzazione può prevedere che i valori limite di emissione si riferiscano alla media ponderata delle emissioni di sostanze inquinanti uguali o appartenenti alla stessa classe ed aventi caratteristiche chimiche omogenee, provenienti dai diversi punti di emissione dell’impianto. Il flusso di massa complessivo dell’impianto non può essere superiore a quello che si avrebbe se i valori limite di emissione si applicassero ai singoli punti di emissione.

11. I valori limite di emissione e il tenore volumetrico dell’ossigeno di riferimento si riferiscono al volume di effluente gassoso rapportato alle condizioni normali, previa detrazione, salvo quanto diversamente indicato nell’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, del tenore volumetrico di vapore acqueo.

12. Salvo quanto diversamente indicato nell’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, il tenore volumetrico dell’ossigeno di riferimento e’ quello derivante dal processo. Se nell’emissione il tenore volumetrico di ossigeno e’ diverso da quello di riferimento, le concentrazioni misurate devono essere corrette mediante la seguente formula:

E = 21 – O2 *EM

21 – O2M

dove:

EM = concentrazione misurata

E = concentrazione

O2M = tenore di ossigeno misurato

O2 = tenore di ossigeno di riferimento

13. I valori limite di emissione si riferiscono alla quantità di emissione diluita nella misura che risulta inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell’esercizio. In caso di ulteriore diluizione dell’emissione le concentrazioni misurate devono essere corrette mediante la seguente formula:

E = EM * PM

P

dove:

PM = portata misurata

EM = concentrazione misurata

P = portata di effluente gassoso diluita nella misura che risulta inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell’esercizio

E = concentrazione riferita alla P

14. Salvo quanto diversamente stabilito dalla parte quinta del presente decreto, i valori limite di emissione si applicano ai periodi di normale funzionamento dell’impianto, intesi come i periodi in cui l’impianto e’ in funzione con esclusione dei periodi di avviamento e di arresto e dei periodi in cui si verificano guasti tali da non permettere il rispetto dei valori stessi. L’autorizzazione può stabilire specifiche prescrizioni per tali periodi di avviamento e di arresto e per l’eventualità di tali guasti ed individuare gli ulteriori periodi transitori nei quali non si applicano i valori limite di emissione. Se si verifica un guasto tale da non permettere il rispetto di valori limite di emissione, l’autorità competente deve essere informata entro le otto ore successive e può disporre la riduzione o la cessazione delle attività o altre prescrizioni, fermo restando l’obbligo del gestore di procedere al ripristino funzionale dell’impianto nel più breve tempo possibile. Il gestore e’ comunque tenuto ad adottare t utte le precauzioni opportune per ridurre al minimo le emissioni durante le fasi di avviamento e di arresto. Sono fatte salve le diverse disposizioni contenute nella parte quinta del presente decreto per specifiche tipologie di impianti. Non costituiscono in ogni caso periodi di avviamento o di arresto i periodi di oscillazione che si verificano regolarmente nello svolgimento della funzione dell’impianto.

15. Per i grandi impianti di combustione di cui all’articolo 273 e per gli impianti di cui all’articolo 275, il presente articolo si applica con riferimento ai valori limite di emissione ivi previsti.

16. Per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale i valori limite e le prescrizioni di cui al presente articolo si applicano ai fini del rilascio di tale autorizzazione, fermo restando il potere dell’autorità competente di stabilire valori limite e prescrizioni più severi.

17. L’Allegato VI alla parte quinta del presente decreto stabilisce i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite di emissione. Con apposito decreto ai sensi dell’articolo 281, comma 5, si provvede ad integrare il suddetto Allegato VI, prevedendo appositi metodi di campionamento e di analisi delle emissioni nonche’ modalità atte a garantire la qualità dei sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni. Fino all’adozione di tale decreto si applicano, per gli impianti anteriori al 1988 ed al 2006, i metodi precedentemente in uso e, per gli impianti nuovi, i metodi stabiliti dall’autorità competente sulla base delle pertinenti norme tecniche CEN o, ove queste non siano disponibili, delle pertinenti norme tecniche ISO, oppure, ove anche queste ultime non siano disponibili, sulla base delle pertinenti norme tecniche nazionali o internazionali.

ART. 272
(impianti e attività in deroga)

1. L’autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori degli impianti o delle attività elencati nella parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto comunichino alla stessa di ricadere in tale elenco nonche’, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività, salvo diversa disposizione dello stesso Allegato. Il suddetto elenco, riferito ad impianti o attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico, può essere aggiornato ed integrato secondo quanto disposto dall’articolo 281, comma 5, anche su proposta delle regioni, delle province autonome e delle associazioni rappresentative di categorie produttive.

2. Per specifiche categorie di impianti, individuate in relazione al tipo e alle modalità di produzione, l’autorità competente può adottare apposite autorizzazioni di carattere generale, relative a ciascuna singola categoria di impianti, nelle quali sono stabiliti i valori limite di emissione, le prescrizioni, i tempi di adeguamento, i metodi di campionamento e di analisi e la periodicità dei controlli. I valori limite di emissione e le prescrizioni sono stabiliti in conformità all’articolo 271, commi 6 e 8. All’adozione di tali autorizzazioni generali l’autorità competente deve in ogni caso procedere, entro due anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, per gli impianti e per le attività di cui alla parte II dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. In caso di mancata adozione dell’autorizzazione generale, nel termine prescritto, la stessa e’ rilasciata con apposito decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e i gestori degli impianti int eressati comunicano la propria adesione all’autorità competente; e’ fatto salvo il potere di tale autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, l’adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. I gestori degli impianti per cui e’ stata adottata una autorizzazione generale possono comunque presentare domanda di autorizzazione ai sensi dell’articolo 269.

3. Il gestore degli impianti o delle attività di cui al comma 2 presenta all’autorità competente, almeno quarantacinque giorni prima dell’installazione dell’impianto o dell’avvio dell’attività, una domanda di adesione all’autorizzazione generale. L’autorità competente può, con proprio provvedimento, negare l’adesione nel caso in cui non siano rispettati i requisiti previsti dall’autorizzazione generale o in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedono una particolare tutela ambientale. L’autorizzazione generale stabilisce i requisiti della domanda di adesione e può prevedere, per gli impianti e le attività di cui alla parte II dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto, appositi modelli semplificati di domanda, nei quali le quantità e le qualità delle emissioni sono deducibili dalle quantità di materie prime ed ausiliarie utilizzate. L’autorità competente procede, ogni quindici anni, al rinnovo delle autorizzazioni generali adottate ai sensi del presente artico lo. Per le autorizzazioni generali rilasciate ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989 e del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1991, il primo rinnovo e’ effettuato entro quindici anni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto oppure, se tali autorizzazioni non sono conformi alle disposizioni del presente titolo, entro un anno dalla stessa data. In tutti i casi di rinnovo, l’esercizio dell’impianto o dell’attività può continuare se il gestore, entro sessanta giorni dall’adozione della nuova autorizzazione generale, presenta una domanda di adesione corredata, ove necessario, da un progetto di adeguamento e se l’autorità competente non nega l’adesione. In caso di mancata presentazione della domanda nel termine previsto l’impianto o l’attività si considerano in esercizio senza autorizzazione alle emissioni.

4. Le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano:

a) in caso di emissione di sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione o mutagene o di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate, come individuate dalla parte II dell’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, o

b) nel caso in cui siano utilizzate, nell’impianto o nell’attività, le sostanze o i preparati classificati dal decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, come cancerogeni, mutageni o tossici per la riproduzione, a causa del loro tenore di COV, e ai quali sono state assegnate etichette con le frasi di rischio R45, R46, R49, R60, R61.

5. Il presente titolo, ad eccezione di quanto previsto dal comma 1, non si applica agli impianti e alle attività elencati nella parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. Il presente titolo non si applica inoltre agli impianti destinati alla difesa nazionale ne’ alle emissioni provenienti da sfiati e ricambi d’aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambienti di lavoro. Agli impianti di distribuzione dei carburanti si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277.

ART. 273
(grandi impianti di combustione)

1. L’Allegato Il alla parte quinta del presente decreto stabilisce, in relazione ai grandi impianti di combustione, i valori limite di emissione, inclusi quelli degli impianti multicombustibili, le modalità di monitoraggio e di controllo delle emissioni, i criteri per la verifica della conformità ai valori limite e le ipotesi di anomalo funzionamento o di guasto degli impianti.

2. Ai grandi impianti di combustione nuovi si applicano i valori limite di emissione di cui alla parte II, sezioni da 1 a 5, lettera B, e sezione 6 dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto.

3. Ai grandi impianti di combustione anteriori al 2006 i valori limite di emissione di cui alla parte II, sezioni da 1 a 5, lettera A, e sezione 6 dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto si applicano a partire dal 1° gennaio 2008. Fino a tale data si applicano gli articoli 3, comma 1, 6, comma 2, e 14, comma 3, nonche’ gli Allegati 4, 5, 6 e 9 del decreto del Ministro dell’ambiente 8 maggio 1989. Sono fatti salvi i diversi termini previsti nel suddetto Allegato II.

4. Ai grandi impianti di combustione anteriori al 1988 i valori limite di emissione di cui alla parte II, sezioni da 1 a 5, lettera A, e sezioni 6 e 7 dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto si applicano a partire dal 1° gennaio 2008. Fino a tale data si applicano i valori limite di emissione per il biossido di zolfo, gli ossidi di azoto, le polveri e per i metalli e loro composti previsti dal decreto del Ministro dell’ambiente 12 luglio 1990, o contenuti nelle autorizzazioni rilasciate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, nonche’ le prescrizioni relative alle anomalie degli impianti di abbattimento stabilite all’Allegato II, parte A, lettera E, dello stesso decreto ministeriale. Fino a tale data si applicano altresì i massimali e gli obiettivi di riduzione delle emissioni, fissati nella parte V dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto. Sono fatti salvi i diversi termini previsti in tale Allegato II.

5. I gestori dei grandi impianti di combustione di cui al comma 4 possono essere esentati dall’obbligo di osservare i valori limite di emissione previsti dalla parte II, sezioni da 1 a 5, lettera A, e sezione 6 dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto, sulla base della procedura disciplinata dalla parte I dello stesso Allegato II.

6. Ai fini dell’adeguamento degli impianti di cui ai commi 3 e 4 ai valori limite di emissione ivi previsti, il gestore, nell’ambito della richiesta di autorizzazione integrata ambientale, presenta all’autorità competente una relazione tecnica contenente la descrizione dell’impianto, delle tecnologie adottate per prevenire l’inquinamento e della qualità e quantità delle emissioni, dalla quale risulti il rispetto delle prescrizioni di cui al presente titolo, oppure un progetto di adeguamento finalizzato al rispetto delle medesime.

7. Per gli impianti di potenza termica nominale pari a 50 MW, la relazione tecnica o il progetto di adeguamento di cui al comma 6 devono essere presentati entro il 1°agosto 2007 e, in caso di approvazione, l’autorità competente provvede, ai sensi dell’articolo 269, ad aggiornare le autorizzazioni in atto.

8. In aggiunta a quanto previsto dall’articolo 271, comma 14, i valori limite di emissione non si applicano ai grandi impianti di combustione nei casi di anomalo funzionamento previsti dalla parte I dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto, nel rispetto delle condizioni ivi previste.

9. Nel caso in cui l’autorità competente, in sede di rilascio dell’autorizzazione, ritenga che due o più impianti di combustione, nuovi o anteriori al 2006, anche di potenza termica nominale inferiore a 50 MW, siano installati contestualmente e in maniera tale che gli effluenti gassosi, tenuto conto delle condizioni tecniche ed economiche, possano essere convogliati verso un unico camino, la stessa considera l’insieme di tali nuovi impianti come un unico impianto la cui potenza termica nominale e’ pari alla somma delle potenze termiche nominali di tali impianti. Tale disposizione si applica solamente se la somma delle potenze termiche e’ maggiore o uguale a 50 MW.

10. Se un impianto di combustione e’ ampliato con la costruzione di un impianto aggiuntivo avente una potenza termica nominale pari o superiore a 50 MW, a tale impianto aggiuntivo, esclusi i casi previsti dalla parte I, paragrafo 3, punti 3.3 e 3.4. dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto, si applicano i valori limite di emissione stabiliti nel medesimo Allegato II, sezioni da 1 a 5, lettera B, in funzione della potenza termica complessiva dei due impianti.

11. Nel caso in cui un grande impianto di combustione sia sottoposto alle modifiche qualificate come sostanziali dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, si applicano i valori limite di emissione stabiliti nella parte II, sezioni da 1 a 5, lettera B, e sezione 6 dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto.

12. Fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, per gli impianti nuovi o in caso di modifiche ai sensi del comma 11, la domanda di autorizzazione deve essere corredata da un apposito studio concernente la fattibilità tecnica ed economica della generazione combinata di calore e di elettricità. Nel caso in cui tale fattibilità sia accertata, anche alla luce di elementi diversi da quelli contenuti nello studio, l’autorità competente, tenuto conto della situazione del mercato e della distribuzione, condiziona il rilascio del provvedimento autorizzativo alla realizzazione immediata o differita di tale soluzione.

13. Dopo il 1° gennaio 2008, agli impianti di combustione di potenza termica nominale inferiore a 50MW ed agli altri impianti esclusi dal campo di applicazione della parte quinta del presente decreto, facenti parte di una raffineria, continuano ad applicarsi, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, i valori limite di emissione di cui alla parte IV, paragrafo 1, dell’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, calcolati come rapporto ponderato tra la somma delle masse inquinanti emesse e la somma dei volumi delle emissioni di tutti gli impianti della raffineria, inclusi quelli ricadenti nel campo di applicazione del presente articolo.

14. In caso di realizzazione di grandi impianti di combustione che potrebbero arrecare un significativo pregiudizio all’ambiente di un altro Stato della Comunità europea, l’autorità competente informa il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio per l’adempimento degli obblighi di cui alla convenzione sulla valutazione dell’impatto ambientale in un contesto transfrontaliero, stipulata a Espoo il 25 febbraio 1991, ratificata con la legge 3 novembre 1994, n. 640.

15. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli impianti di combustione destinati alla produzione di energia, ad esclusione di quelli che utilizzano direttamente i prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione. Sono esclusi in particolare:

a) gli impianti in cui i prodotti della combustione sono utilizzati per il riscaldamento diretto, l’essiccazione o qualsiasi altro trattamento degli oggetti o dei materiali, come i forni di riscaldo o i forni di trattamento termico;

b) gli impianti di postcombustione, cioe’ qualsiasi dispositivo tecnico per la depurazione dell’effluente gassoso mediante combustione, che non sia gestito come impianto indipendente di combustione;

c) i dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di craking catalitico;

d) i dispositivi di conversione del solfuro di idrogeno in zolfo;

e) i reattori utilizzati nell’industria chimica;

f) le batterie di forni per il coke;

g) i cowpers degli altiforni;

h) qualsiasi dispositivo tecnico usato per la propulsione di un veicolo, una nave, o un aeromobile;

i) le turbine a gas usate su piattaforme off-shore e sugli impianti di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore;

l) le turbine a gas autorizzate anteriormente alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, fatte salve le disposizioni alle stesse espressamente riferite;

m) gli impianti azionati da motori diesel, a benzina o a gas.

ART. 274
(raccolta e trasmissione dei dati sulle emissioni dei grandi impianti di combustione)

1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio trasmette alla Commissione europea, ogni tre anni, una relazione inerente le emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri di tutti i grandi impianti di combustione di cui alla parte quinta del presente decreto, nella quale siano separatamente indicate le emissioni delle raffinerie. Tale relazione e’ trasmessa per la prima volta entro il 31 dicembre 2007 in relazione al periodo di tre anni che decorre dal 1°gennaio 2004 e, in seguito, entro dodici mesi dalla fine di ciascun successivo periodo di tre anni preso in esame. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio trasmette inoltre alla Commissione europea, su richiesta, i dati annuali relativi alle emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri dei singoli impianti di combustione.

2. A partire dal 1° gennaio 2008, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio presenta ogni anno alla Commissione europea una relazione concernente gli impianti anteriori al 1988 per i quali e’ stata concessa l’esenzione prevista dall’articolo 273, comma 5, con l’indicazione dei tempi utilizzati e non utilizzati che sono stati autorizzati per il restante periodo di funzionamento degli impianti. A tal fine l’autorità competente, se diversa dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, comunica a tale Ministero le predette esenzioni contestualmente alla concessione delle stesse.

3. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio presenta ogni anno alla Commissione europea una relazione circa i casi in cui sono applicate le deroghe di cui alla parte II, sezioni 1 e 4, lettera A, paragrafo 2, dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto e le deroghe di cui alle note delle lettere A e B del medesimo Allegato II, parte II, sezione 1. A tal fine l’autorità competente, se diversa dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, comunica a tale Ministero le predette deroghe contestualmente all’applicazione delle stesse.

4. Entro il 31 maggio di ogni anno, a partire dal 2006, i gestori dei grandi impianti di combustione comunicano all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), con le modalità previste dalla parte III dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto, le emissioni totali, relative all’anno precedente, di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri, determinate conformemente alle prescrizioni della parte IV dell’Allegato II alla parte quinta del presente decreto, nonche’ la quantità annua totale di energia prodotta rispettivamente dalle biomasse, dagli altri combustibili solidi, dai combustibili liquidi, dal gas naturale e dagli altri gas, riferita al potere calorifico netto, e la caratterizzazione dei sistemi di abbattimento delle emissioni. In caso di mancata comunicazione dei dati e delle informazioni di cui al presente comma, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, anche ai fini di quanto previsto dall’articolo 650 del codice penale, ordina al gestore ina dempiente di provvedere.

5. L’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), sulla base delle informazioni di cui al comma 4, elabora una relazione in cui sono riportate le emissioni di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri di tutti i grandi impianti di combustione di cui alla parte quinta del presente decreto. Tale relazione deve indicare le emissioni totali annue di biossido di zolfo, ossidi di azoto e polveri e la quantità annua totale di energia prodotta rispettivamente dalle biomasse, dagli altri combustibili solidi, dai combustibili liquidi, dal gas naturale e dagli altri gas, riferita al potere calorifico netto. Almeno due mesi prima della scadenza prevista dal comma 1 per la trasmissione dei dati alla Commissione europea, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) trasmette al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio la suddetta relazione, nonche’ i dati disaggregati relativi a ciascun impianto.

6. I dati di cui al comma 4 sono raccolti e inviati in formato elettronico. A tal fine debbono essere osservate, ove disponibili, le procedure indicate sul sito internet del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. La relazione di cui al comma 5, nonche’ i dati disaggregati raccolti dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) sono resi disponibili alle autorità competenti sul sito internet del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

ART. 275
(emissioni di cov)

1. L’Allegato III alla parte quinta del presente decreto stabilisce, relativamente alle emissioni di composti organici volatili, i valori limite di emissione, le modalità di monitoraggio e di controllo delle emissioni, i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai valori limite e le modalità di redazione del piano di gestione dei solventi.

2. Se nello stesso luogo sono esercitate, mediante uno o più impianti o macchinari e sistemi non fissi o operazioni manuali, una o più attività individuate nella parte II dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto le quali superano singolarmente le soglie di consumo di solvente ivi stabilite, a ciascuna di tali attività si applicano i valori limite per le emissioni convogliate e per le emissioni diffuse di cui al medesimo Allegato III, parte III, oppure i valori limite di emissione totale di cui a tale Allegato III, parti III e IV, nonche’ le prescrizioni ivi previste. Tale disposizione si applica anche alle attività che, nello stesso luogo, sono direttamente collegate e tecnicamente connesse alle attività individuate nel suddetto Allegato III, parte II, e che possono influire sulle emissioni di COV. Il superamento delle soglie di consumo di solvente e’ valutato con riferimento al consumo massimo teorico di solvente autorizzato. Le attività di cui alla parte II dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto comprendono la pulizia delle apparecchiature e non comprendono la pulizia dei prodotti, fatte salve le diverse disposizioni ivi previste.

3. Ai fini di quanto previsto dal comma 2, i valori limite per le emissioni convogliate si applicano a ciascun impianto che produce tali emissioni ed i valori limite per le emissioni diffuse si applicano alla somma delle emissioni non convogliate di tutti gli impianti, di tutti i macchinari e sistemi non fissi e di tutte le operazioni.

4. Il gestore che intende effettuare le attività di cui al comma 2 presenta all’autorità competente una domanda di autorizzazione conforme a quanto previsto nella parte I dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto. Si applica, a tal fine, l’articolo 269, ad eccezione dei commi 2 e 4. In aggiunta ai casi previsti dall’articolo 269, comma 8, la domanda di autorizzazione deve essere presentata anche dal gestore delle attività che, a seguito di una modifica del consumo massimo teorico di solvente, rientrano tra quelle di cui al comma 2.

5. L’autorizzazione ha ad oggetto gli impianti, i macchinari e sistemi non fissi e le operazioni manuali che effettuano le attività di cui al comma 2 e stabilisce, sulla base di tale comma, i valori limite che devono essere rispettati. Per la captazione e il convogliamento si applica l’articolo 270. Per le emissioni prodotte da macchinari e sistemi non fissi o da operazioni manuali si applicano i commi 10, 11 e 13 dell’articolo 269.

6. L’autorizzazione indica il consumo massimo teorico di solvente e l’emissione totale annua conseguente all’applicazione dei valori limite di cui al comma 2, individuata sulla base di detto consumo, nonche’ la periodicità dell’aggiornamento del piano di gestione di cui alla parte V dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto.

7. Il rispetto dei valori limite di emissione previsti dal comma 2 e’ assicurato mediante l’applicazione delle migliori tecniche disponibili e, in particolare, utilizzando materie prime a ridotto o nullo tenore di solventi organici, ottimizzando l’esercizio e la gestione delle attività e, ove necessario, installando idonei dispositivi di abbattimento, in modo da minimizzare le emissioni di composti organici volatili.

8. Se le attività di cui al comma 2 sono effettuate da uno o più impianti autorizzati prima del 13 marzo 2004 o da tali impianti congiuntamente a macchinari e sistemi non fissi o operazioni manuali, le emissioni devono essere adeguate alle pertinenti prescrizioni dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto e alle altre prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007, ovvero, in caso di adeguamento a quanto previsto dal medesimo Allegato III, parte IV, entro le date ivi stabilite. Fermo restando quanto stabilito dalla normativa vigente in materia di autorizzazione integrata ambientale, l’adeguamento e’ effettuato sulla base dei progetti presentati all’autorità competente ai sensi del decreto ministeriale 14 gennaio 2004, n. 44. Gli impianti in tal modo autorizzati si considerano anteriori al 2006. In caso di mancata presentazione del progetto o di diniego all’approvazione del progetto da parte dell’autorità competente, le attività si considerano in esercizio senza autorizzazione. I term ini di adeguamento previsti dal presente comma si applicano altresì agli impianti di cui al comma 20, in esercizio al 12 marzo 2004, i cui gestori aderiscano all’autorizzazione generale ivi prevista entro sei mesi dall’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto o abbiano precedentemente aderito alle autorizzazioni generali adottate ai sensi dell’articolo 9 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 16 gennaio 2004, n. 44.

9. Se le attività di cui al comma 2 sono effettuate esclusivamente da macchinari e sistemi non fissi o da operazioni manuali, in esercizio prima dell’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, le emissioni devono essere adeguate alle pertinenti prescrizioni dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto e alle altre prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007. A tal fine l’autorizzazione di cui al comma 4 deve essere richiesta entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto. In caso di mancata presentazione della richiesta entro tale termine le attività si considerano in esercizio senza autorizzazione.

10. Sono fatte salve le autorizzazioni rilasciate prima del 13 marzo 2004 che conseguono un maggiore contenimento delle emissioni di composti organici volatili rispetto a quello ottenibile con l’applicazione delle indicazioni di cui alle parti III e VI dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto. In tal caso rimangono validi i metodi di campionamento e di analisi precedentemente in uso. E’ fatta salva la facoltà del gestore di chiedere all’autorità competente di rivedere dette autorizzazioni sulla base delle disposizioni della parte quinta del presente decreto.

11. La domanda di autorizzazione di cui al comma 4 deve essere presentata anche dal gestore delle attività di cui al comma 2, effettuate ai sensi dei commi 8 e 9, ove le stesse siano sottoposte a modifiche sostanziali. L’autorizzazione prescrive che le emissioni degli impianti, dei sistemi e macchinari non fissi e delle operazioni manuali oggetto di modifica sostanziale:

a) siano immediatamente adeguate alle prescrizioni del presente articolo o

b) siano adeguate alle prescrizioni del presente articolo entro il 31 ottobre 2007 se le emissioni totali di tutte le attività svolte dal gestore nello stesso luogo non superano quelle che si producono in caso di applicazione della lettera a).

12. Se il gestore comprova all’autorità competente che, pur utilizzando la migliore tecnica disponibile, non e’ possibile rispettare il valore limite per le emissioni diffuse, tale autorità può autorizzare deroghe a detto valore limite, purche’ ciò non comporti rischi per la salute umana o per l’ambiente.

13. Nei casi previsti nella parte III dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto, l’autorità competente può esentare il gestore dall’applicazione delle prescrizioni ivi stabilite se le emissioni non possono essere convogliate ai sensi dell’articolo 270, commi 1 e 2. In tal caso si applica quanto previsto dalla parte IV dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto, salvo il gestore comprovi all’autorità competente che il rispetto di detto Allegato non e’, nel caso di specie, tecnicamente ed economicamente fattibile e che l’impianto utilizza la migliore tecnica disponibile.

14. L’autorità competente comunica al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, nella relazione di cui al comma 18, le deroghe autorizzate ai sensi dei commi 12 e 13.

15. Se due o più attività effettuate nello stesso luogo superano singolarmente le soglie di cui al comma 2, l’autorità competente può:

a) applicare i valori limite previsti da tale comma a ciascuna singola attività o

b) applicare un valore di emissione totale, riferito alla somma delle emissioni di tali attività, non superiore a quello che si avrebbe applicando quanto previsto dalla lettera a); la presente opzione non si estende alle emissioni delle sostanze indicate nel comma 17.

16. Il gestore che, nei casi previsti dal comma 8, utilizza un dispositivo di abbattimento che consente il rispetto di un valore limite di emissione pari a 50 mgC/Nm3, in caso di combustione, e pari a 150 mgC/Nm3, in tutti gli altri casi, deve rispettare i valori limite per le emissioni convogliate di cui alla parte III dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto entro il 1° aprile 2013, purche’ le emissioni totali non superino quelle che si sarebbero prodotte in caso di applicazione delle prescrizioni della parte III dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto.

17. La parte I dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto stabilisce appositi valori limite di emissione per le sostanze caratterizzate da particolari rischi per la salute e l’ambiente.

18. Le autorità competenti trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, ogni tre anni ed entro il 30 aprile, a partire dal 2005, una relazione relativa all’applicazione del presente articolo, in conformità a quanto previsto dalla decisione 2002/529/CE del 27 giugno 2002 della Commissione europea. Copia della relazione e’ inviata dalle autorità competenti alla regione o alla provincia autonoma. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio invia tali informazioni alla Commissione europea.

19. Alle emissioni di COV degli impianti anteriori al 1988, disciplinati dal presente articolo, si applicano, fino alle date previste dai commi 8 e 9 ovvero fino alla data di effettivo adeguamento degli impianti, se anteriore, i valori limite e le prescrizioni di cui all’Allegato I alla parte quinta del presente decreto.

20. I gestori degli impianti a ciclo chiuso di pulizia a secco di tessuti e di pellami, escluse le pellicce, e delle pulitintolavanderie a ciclo chiuso, per i quali l’autorità competente non abbia adottato autorizzazioni di carattere generale, comunicano a tali autorità di aderire all’autorizzazione di cui alla parte VII dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto. E’ fatto salvo il potere delle medesime autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, ai sensi dell’articolo 272, l’adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella prevista dalla parte VII dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto relativamente al territorio a cui tali nuove autorizzazioni si riferiscono. A tali attività non si applicano le prescrizioni della parte I, paragrafo 3, punti 3.2, 3.3. e 3.4 dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto.

21. Costituisce modifica sostanziale, ai sensi del presente articolo:

a) per le attività di ridotte dimensioni, una modifica del consumo massimo teorico di solventi che comporta un aumento delle emissioni di composti organici volatili superiore al venticinque per cento;

b) per tutte le altre attività, una modifica del consumo massimo teorico di solventi che comporta un aumento delle emissioni di composti organici volatili superiore al dieci per cento;

c) qualsiasi modifica che, a giudizio dell’autorità competente, potrebbe avere effetti negativi significativi sulla salute umana o sull’ambiente;

d) qualsiasi modifica del consumo massimo teorico di solventi che comporti la variazione dei valori limite applicabili;

22. Per attività di ridotte dimensioni, ai sensi del comma 21, si intendono le attività di cui alla parte III, punti 1, 3, 4, 5, 8, 10, 13, 16 o 17 dell’Allegato III alla parte quinta del presente decreto aventi un consumo massimo teorico di solventi inferiore o uguale alla più bassa tra le soglie di consumo ivi indicate in terza colonna e le altre attività di cui alla parte III del medesimo Allegato III aventi un consumo massimo teorico di solventi inferiore a 10 tonnellate l’anno.

ART. 276
(controllo delle emissioni di cov derivanti dal deposito della benzina e dalla sua distribuzione dai terminali agli impianti di distribuzione)

1. L’Allegato VII alla parte quinta del presente decreto stabilisce le prescrizioni che devono essere rispettate ai fini del controllo delle emissioni di COV relativamente:

a) agli impianti di deposito presso i terminali;

b) agli impianti di caricamento di benzina presso i terminali;

c) agli impianti adibiti al deposito temporaneo di vapori presso i terminali;

d) alle cisterne mobili e ai veicoli cisterna;

e) agli impianti di deposito presso gli impianti di distribuzione dei carburanti;

f) alle attrezzature per le operazioni di trasferimento della benzina presso gli impianti di distribuzione e presso terminali in cui e’ consentito il deposito temporaneo di vapori.

2. Per impianti di deposito ai sensi del presente articolo si intendono i serbatoi fissi adibiti allo stoccaggio di benzina. Per tali impianti di deposito situati presso i terminali le pertinenti prescrizioni dell’Allegato VII alla parte quinta del presente decreto costituiscono le misure che i gestori devono adottare ai sensi dell’articolo 269, comma 16. Con apposito provvedimento l’autorità competente può disporre deroghe a tali prescrizioni, relativamente agli obblighi di rivestimento, ove necessario ai fini della tutela di aree di particolare pregio sotto il profilo paesaggistico.

3. Per impianti di distribuzione, ai sensi del presente articolo, si intendono gli impianti in cui la benzina viene erogata ai serbatoi di tutti i veicoli a motore da impianti di deposito.

4. Nei terminali all’interno dei quali e’ movimentata una quantità di benzina inferiore a 10.000 tonnellate/anno e la cui costruzione e’ stata autorizzata prima del 3 dicembre 1997, ai sensi della normativa vigente al momento dell’autorizzazione, gli impianti di caricamento si adeguano alle disposizioni della parte II, paragrafo 2, dell’Allegato VII alla parte quinta del presente decreto entro il 17 maggio 2010. Fino alla data di adeguamento deve essere garantita l’agibilità delle operazioni di caricamento anche per i veicoli-cisterna con caricamento dall’alto. Per quantità movimentata si intende la quantità totale annua massima di benzina caricata in cisterne mobili dagli impianti di deposito del terminale nei tre anni precedenti il 17 maggio 2000.

5. Le prescrizioni di cui alla parte II, punto 3.2, dell’Allegato VII alla parte quinta del presente decreto si applicano ai veicoli cisterna collaudati dopo il 17 novembre 2000 e si estendono agli altri veicoli cisterna a partire dal 17 maggio 2010. Tali prescrizioni non si applicano ai veicoli cisterna a scomparti tarati, collaudati dopo il 1° gennaio 1990 e attrezzati con un dispositivo che garantisca la completa tenuta di vapori durante la fase di caricamento. A tali veicoli cisterna a scomparti tarati deve essere consentita l’agibilità delle operazioni di caricamento presso gli impianti di deposito dei terminali.

ART. 277
(recupero di cov prodotti durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli presso gli impianti di distribuzione carburanti)

1. I distributori degli impianti di distribuzione dei carburanti devono essere attrezzati con sistemi di recupero dei vapori di benzina che si producono durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli. Gli impianti di distribuzione e i sistemi di recupero dei vapori devono essere conformi alle pertinenti prescrizioni dell’Allegato VIII alla parte quinta del presente decreto, relative ai requisiti di efficienza, ai requisiti costruttivi, ai requisiti di installazione, ai controlli periodici ed agli obblighi di documentazione.

2. Ai fini del presente articolo si intende per:

a) impianti di distribuzione: ogni impianto in cui la benzina viene erogata ai serbatoi degli autoveicoli da impianti di deposito;

b) impianti di deposito: i serbatoi fissi adibiti allo stoccaggio di benzina presso gli impianti di distribuzione;

c) distributore: ogni apparecchio finalizzato all’erogazione di benzina; il distributore deve essere dotato di idonea pompa di erogazione in grado di aspirare dagli impianti di deposito o, in alternativa, essere collegato a un sistema di pompaggio centralizzato; se inserito in un impianto di distribuzione di carburanti in rapporto con il pubblico, il distributore deve essere inoltre dotato di un idoneo dispositivo per l’indicazione ed il calcolo delle quantità di benzina erogate;

d) sistema di recupero dei vapori: l’insieme dei dispositivi atti a prevenire l’emissione in atmosfera di COV durante i rifornimenti di benzina di autoveicoli. Tale insieme di dispositivi comprende pistole di erogazione predisposte per il recupero dei vapori, tubazioni flessibili coassiali o gemellate, ripartitori per la separazione della linea dei vapori dalla linea di erogazione del carburante, collegamenti interni ai distributori, linee interrate per il passaggio dei vapori verso i serbatoi, e tutte le apparecchiature e i dispositivi atti a garantire il funzionamento degli impianti in condizioni di sicurezza ed efficienza.

3. I dispositivi componenti i sistemi di recupero dei vapori devono essere omologati dal Ministero dell’interno, a cui il costruttore presenta apposita istanza corredata della documentazione necessaria ad identificare i dispositivi e dalla certificazione di cui al paragrafo 2, punto 2.3, dell’Allegato VIII alla parte quinta del presente decreto. Ai fini del rilascio dell’omologazione, il Ministero dell’interno verifica la rispondenza dei dispositivi ai requisiti di efficienza di cui al comma 1 ed ai requisiti di sicurezza antincendio di cui al decreto ministeriale 31 luglio 1934. In caso di mancata pronuncia l’omologazione si intende negata.

4. I dispositivi componenti i sistemi di recupero dei vapori che sono stati omologati delle competenti autorità di altri Paesi appartenenti all’Unione europea possono essere utilizzati per attrezzare i distributori degli impianti di distribuzione, previo riconoscimento da parte del Ministero dell’interno, a cui il costruttore presenta apposita istanza, corredata dalla documentazione necessaria ad identificare i dispositivi, dalle certificazioni di prova rilasciate dalle competenti autorità estere e da una traduzione giurata in lingua italiana di tali documenti e certificazioni. Ai fini del riconoscimento, il Ministero dell’interno verifica i documenti e le certificazioni trasmessi e la rispondenza dei dispositivi ai requisiti di sicurezza antincendio di cui al decreto ministeriale 31 luglio 1934. In caso di mancata pronuncia il riconoscimento si intende negato.

5. Durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli i gestori degli impianti di distribuzione devono mantenere in funzione i sistemi di recupero dei vapori di cui al comma 1.

ART. 278
(poteri di ordinanza)

1. In caso di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 279 e delle misure cautelari disposte dall’autorità giudiziaria, l’autorità competente procede, secondo la gravità dell’infrazione:

a) alla diffida, con l’assegnazione di un termine entro il quale le irregolarità devono essere eliminate;

b) alla diffida ed alla contestuale sospensione dell’attività autorizzata per un periodo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute o per l’ambiente;

c) alla revoca dell’autorizzazione ed alla chiusura dell’impianto ovvero alla cessazione dell’attività, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida o qualora la reiterata inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione determini situazioni di pericolo o di danno per la salute o per l’ambiente.

ART. 279
(sanzioni)

1. Chi inizia a installare o esercisce un impianto e chi esercita una attività in assenza della prescritta autorizzazione ovvero continua l’esercizio dell’impianto o dell’attività con l’autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa, revocata o dopo l’ordine di chiusura dell’impianto o di cessazione dell’attività e’ punito con la pena dell’arresto da due mesi a due anni o dell’ammenda da duecentocinquantotto euro a milletrentadue euro. Chi sottopone un impianto a modifica sostanziale senza l’autorizzazione prevista dall’articolo 269, comma 8, e’ punito con la pena dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda fino a milletrentadue euro; chi sottopone un impianto ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dal citato articolo 269, comma 8, e’ punito con la pena dell’ammenda fino a mille euro.

2. Chi, nell’esercizio di un impianto o di una attività, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorità competente ai sensi del presente titolo e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a milletrentadue euro.

3. Chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un’attività senza averne dato la preventiva comunicazione prescritta ai sensi dell’articolo 269, comma 5 o comma 15, o ai sensi dell’articolo 272, comma 1, e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a milletrentadue euro.

4. Chi non comunica all’autorità competente i dati relativi alle emissioni ai sensi dell’articolo 269, comma 5, e’ punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a milletrentadue euro.

5. Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell’arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa.

6. Chi, nei casi previsti dall’articolo 281, comma 1, non adotta tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni e’ punito con la pena dell’arresto fino ad un anno o dell’ammenda fino a milletrentadue euro.

7. Per la violazione delle prescrizioni dell’articolo 276, nel caso in cui la stessa non sia soggetta alle sanzioni previste dai commi da 1 a 6, e per la violazione delle prescrizioni dell’articolo 277 si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da quindicimilaquattrocentonovantatre euro a centocinquantaquattromilanovecentotrentasette euro. All’irrogazione di tale sanzione provvede, ai sensi degli articoli 17 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la diversa autorità indicata dalla legge regionale. La sospensione delle autorizzazioni in essere e’ sempre disposta in caso di recidiva.

ART. 280
(abrogazioni)

1. Sono abrogati, escluse le disposizioni di cui il presente decreto preveda l’ulteriore vigenza e fermo restando quanto stabilito dall’articolo 14 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351:

a) il decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203;

b) l’articolo 4 della legge 4 novembre 1997, n. 413;

c) l’articolo 12, comma 8, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387;

d) il decreto del Ministro dell’ambiente 10 marzo 1987, n. 105;

e) il decreto del Ministro dell’ambiente 8 maggio 1989;

f) il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989;

g) il decreto del Ministro dell’ambiente 12 luglio 1990;

h) il decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1991;

i) il decreto del Ministro dell’ambiente 21 dicembre 1995;

l) il decreto del Ministro dell’ambiente del 16 maggio 1996;

m) il decreto del Ministro dell’ambiente 20 gennaio 1999, n. 76;

n) il decreto del Ministro dell’ambiente 21 gennaio 2000, n. 107;

o) il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 16 gennaio 2004, n. 44.

ART. 281
(disposizioni transitorie e finali)

1. I gestori degli impianti autorizzati, anche in via provvisoria o in forma tacita, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, ad esclusione di quelli dotati di autorizzazione generale che sono sottoposti alla disciplina di cui all’articolo 272, comma 3, devono presentare una domanda di autorizzazione ai sensi dell’articolo 269 entro i termini di seguito indicati. Le regioni e le province autonome adottano, nel rispetto di tali termini, appositi calendari per la presentazione delle domande; in caso di mancata adozione dei calendari, la domanda di autorizzazione deve essere comunque presentata nei termini stabiliti dal presente comma. La mancata presentazione della domanda nei termini, inclusi quelli fissati dai calendari, comporta la decadenza della precedente autorizzazione. Se la domanda e’ presentata nei termini, l’esercizio degli impianti può essere proseguito fino alla pronuncia dell’autorità competente; in caso di mancata pronuncia entro i termini previsti dall’articolo 269, comma 3, l’esercizio può essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi dello stesso articolo. In caso di impianti autorizzati in via provvisoria o in forma tacita, il gestore deve adottare, fino alla pronuncia dell’autorità competente, tutte le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni. La domanda di autorizzazione di cui al presente comma deve essere presentata entro i seguenti termini:

a) tra la data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto ed il 31 dicembre 2010, per impianti anteriori al 1988;

b) tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014, per impianti anteriori al 2006 che siano stati autorizzati in data anteriore al 1° gennaio 2000;

c) tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2018, per impianti anteriori al 2006 che siano stati autorizzati in data successiva al 31 dicembre 1999.

2. I gestori degli impianti e delle attività in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto che ricadono nel campo di applicazione del presente titolo e che non ricadevano nel campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, si adeguano alle disposizioni del presente titolo entro tre anni da tale data e, nel caso in cui siano soggetti all’autorizzazione alle emissioni, presentano la relativa domanda, ai sensi dell’articolo 269 ovvero ai sensi dell’articolo 272, commi 2 e 3, almeno diciotto mesi prima del termine di adeguamento. In caso di mancata presentazione della domanda entro il termine previsto, l’impianto o l’attività si considerano in esercizio senza autorizzazione alle emissioni. Se la domanda e’ presentata nel termine previsto, l’esercizio può essere proseguito fino alla pronuncia dell’autorità competente; in caso di mancata pronuncia entro i termini previsti dall’articolo 269, comma 3, l’esercizio può essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi dello stesso articolo. Per gli impianti l’autorizzazione stabilisce i valori limite e le prescrizioni:

a) ai sensi dell’articolo 271, commi 6 e 9, se l’impianto e’ stato realizzato prima del 1988 in conformità alla normativa all’epoca vigente;

b) ai sensi dell’articolo 271, commi 8 e 9, se l’impianto deve essere realizzato ai sensi dell’articolo 269, commi 10 o 12, o e’ stato realizzato tra il 1988 e l’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto in conformità alla normativa all’epoca vigente.

3. Per gli impianti in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto che ricadono nel campo di applicazione del presente titolo e che ricadevano nel campo di applicazione della legge 13 luglio 1966, n. 615, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1970, n. 1391, o del titolo II del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, l’autorità competente adotta le autorizzazioni generali di cui all’articolo 272, comma 2, entro quindici mesi da tale data. In caso di mancata adozione dell’autorizzazione generale, nel termine prescritto, la stessa e’ rilasciata con apposito decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e i gestori degli impianti interessati comunicano la propria adesione all’autorità competente; e’ fatto salvo il potere di tale autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere generale, ai sensi dell’articolo 272, l’adesione alle quali comporta, per il soggetto interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

4. I gestori degli impianti e delle attività che ricadevano negli allegati 1 e 2 del decreto del Presidente della Repubblica del 25 luglio 1991 e che, per effetto della parte quinta del presente decreto, sono tenuti ad ottenere una specifica autorizzazione alle emissioni presentano la relativa richiesta entro quindici mesi dall’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto; in tal caso, se l’impianto e’ soggetto all’articolo 275, l’autorità competente rilascia l’autorizzazione sulla base dei progetti presentati ai sensi del comma 8 dello stesso articolo, con decorrenza dei termini previsti nell’articolo 269, comma 3, dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto. In caso di mancata presentazione della domanda entro il termine previsto, l’impianto o l’attività si considerano in esercizio senza autorizzazione alle emissioni. Se la domanda e’ presentata nel termine previsto, l’esercizio di tali impianti o attività può essere proseguito fino alla pronuncia dell’autorità compete nte; in caso di mancata pronuncia entro i termini previsti dall’articolo 269, comma 3, l’esercizio può essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi dello stesso articolo.

5. All’integrazione e alla modifica degli allegati alla parte quinta del presente decreto provvede il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con le modalità di cui all’articolo 3, comma 2, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle attività produttive, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. All’adozione di tali atti si procede altresì di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali, relativamente alle emissioni provenienti da attività agricole, e di concerto con i Ministri dell’interno, delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, relativamente alla modifica degli allegati VII e VIII alla parte quinta del presente decreto. L’Allegato I e l’Allegato VI alla parte quinta del presente decreto sono integrati e modificati per la prima volta entro un anno dall’entrata in vigore della parte quinta del decreto medesimo.

6. Alla modifica ed integrazione degli Allegati alla parte quinta del presente decreto, al fine di dare attuazione alle direttive comunitarie per le parti in cui le stesse comportino modifiche delle modalità esecutive e delle caratteristiche di ordine tecnico stabilite dalle norme vigenti, si provvede ai sensi dell’articolo 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.

7. Le domande di autorizzazione, i provvedimenti adottati dall’autorità competente e i risultati delle attività di controllo, ai sensi del presente titolo, nonche’ gli elenchi delle attività autorizzate in possesso dell’autorità competente sono messi a disposizione del pubblico ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.

8. Lo Stato, le regioni, le province autonome e le province organizzano i rispettivi inventari delle fonti di emissioni. I criteri per l’elaborazione di tali inventari sono stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro della salute.

9. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e’ istituita, senza oneri a carico della finanza pubblica, una commissione per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione, tra le autorità competenti, dei dati e delle informazioni rilevanti ai fini dell’applicazione della parte quinta del presente decreto e per la valutazione delle migliori tecniche disponibili di cui all’articolo 268, comma 1, lettera aa). La commissione e’ composta da un rappresentante nominato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con funzioni di presidente, un rappresentante nominato dal Ministro delle attività produttive, un rappresentante nominato dal Ministro della salute e cinque rappresentanti nominati dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Alle riunioni della Commissione possono partecipare uno o più rappresentanti di ciascuna regione o provincia autonoma. Il decreto istitutiv o disciplina anche le modalità di funzionamento della commissione, inclusa la periodicità delle riunioni, e le modalità di partecipazione di soggetti diversi dai componenti. Ai componenti della commissione e agli altri soggetti che partecipano alle riunioni della stessa non spetta la corresponsione di compensi, indennità, emolumenti a qualsiasi titolo riconosciuti o rimborsi spese.

10. Fatti salvi i poteri stabiliti dall’articolo 271 in sede di adozione dei piani e dei programmi ivi previsti e di rilascio dell’autorizzazione, in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, le regioni e le province autonome, con provvedimento generale, previa intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e con il Ministro della salute, per quanto di competenza, possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio degli impianti, più severi di quelli fissati dagli allegati al presente titolo, purche’ ciò risulti necessario al conseguimento del valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria.

TITOLO II

IMPIANTI TERMICI CIVILI

ART. 282
(campo di applicazione)

1. Il presente titolo disciplina, ai fini della prevenzione e della limitazione dell’inquinamento atmosferico, gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale inferiore alle pertinenti soglie stabilite dall’articolo 269, comma 14. Sono sottoposti alle disposizioni del titolo I gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale uguale o superiore a tali soglie e gli impianti termici civili che utilizzano carbone da vapore, coke metallurgico, coke da gas, antracite, prodotti antracitosi o miscele di antracite e prodotti antracitosi, aventi potenza termica nominale superiore a 3 MW.

ART. 283
(definizioni)

1. Ai fini del presente titolo si applicano le seguenti definizioni:

a) impianto termico: impianto destinato alla produzione di calore costituito da uno o più generatori di calore e da un unico sistema di distribuzione e utilizzazione di tale calore, nonche’ da appositi dispositivi di regolazione e di controllo;

b) generatore di calore: qualsiasi dispositivo di combustione alimentato con combustibili al fine di produrre acqua calda o vapore, costituito da un focolare, uno scambiatore di calore e un bruciatore;

c) focolare: parte di un generatore di calore nella quale avviene il processo di combustione;

d) impianto termico civile: impianto termico la cui produzione di calore e’ destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; l’impianto termico civile e’ centralizzato se serve tutte le unità dell’edificio o di più edifici ed e’ individuale negli altri casi;

e) potenza termica nominale dell’impianto: la somma delle potenze termiche nominali dei singoli focolari costituenti l’impianto;

f) potenza termica nominale del focolare: il prodotto del potere calorifico inferiore del combustibile utilizzato e della portata massima di combustibile bruciato all’interno del focolare, espresso in Watt termici o suoi multipli;

g) valore di soglia: potenza termica nominale dell’impianto pari a 0.035MW;

h) modifica dell’impianto: qualsiasi intervento che comporta una variazione dei dati contenuti nella denuncia di cui all’articolo 284 o nella documentazione presentata ai sensi degli articoli 9 e 10 della legge 13 luglio 1966, n. 615;

i) autorità competente: i comuni aventi una popolazione superiore ai quarantamila abitanti e, nella restante parte del territorio, le province;

l) installatore: il soggetto indicato dall’articolo 108 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;

m) responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto: il soggetto indicato dall’articolo 11, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412;

n) conduzione di un impianto termico: insieme delle operazioni necessarie al fine di assicurare la corretta combustione nei focolari e l’adeguamento del regime dell’impianto termico alla richiesta di calore.

ART. 284
(denuncia di installazione o modifica)

1. In caso di installazione o di modifica di un impianto termico civile di potenza termica nominale superiore al valore di soglia, deve essere trasmessa all’autorità competente, nei novanta giorni successivi all’intervento, apposita denuncia, redatta dall’installatore mediante il modulo di cui alla parte I dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto e messa da costui a disposizione del soggetto tenuto alla trasmissione. Per le installazioni e le modifiche successive al termine previsto dall’articolo 286, comma 4, tale denuncia e’ accompagnata dalla documentazione relativa alla verifica effettuata ai sensi dello stesso articolo. La denuncia e’ trasmessa dal responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto. In caso di impianti termici individuali, se il responsabile dell’esercizio e della manutenzione non e’ il proprietario o il possessore o un loro delegato, la denuncia e’ trasmessa dal proprietario o, ove diverso, dal possessore ed e’ messa da costui a disposizione del responsabile dell’e sercizio e della manutenzione.

2. Per gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia, in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, deve essere trasmessa all’autorità competente, entro un anno da tale data, apposita denuncia redatta dal responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto mediante il modulo di cui alla parte I dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto, accompagnata dai documenti allegati al libretto di centrale ai sensi dell’articolo 286, comma 2. La denuncia e’ trasmessa dal responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto. In caso di impianti termici individuali, se il responsabile dell’esercizio e della manutenzione non e’ il proprietario o il possessore o un loro delegato, la denuncia e’ messa a disposizione del proprietario o, ove diverso, del possessore, il quale provvede alla trasmissione. Il presente comma non si applica agli impianti termici civili per cui e’ stata espletata la procedura prevista dagli a rticoli 9 e 10 della legge 13 luglio 1966, n. 615.

ART. 285
(caratteristiche tecniche)

1. Gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono rispettare le caratteristiche tecniche previste dalla parte II dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto pertinenti al tipo di combustibile utilizzato.

ART. 286
(valori limite di emissione)

1. Le emissioni in atmosfera degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono rispettare i valori limite previsti dalla parte III dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto.

2. I valori di emissione degli impianti di cui al comma 1 devono essere controllati almeno annualmente dal responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto nel corso delle normali operazioni di controllo e manutenzione. I valori misurati, con l’indicazione delle relative date, dei metodi di misura utilizzati e del soggetto che ha effettuato la misura, devono essere allegati al libretto di centrale previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412. Tale controllo annuale dei valori di emissione non e’ richiesto nei casi previsti dalla parte III, sezione 1 dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto. Al libretto di centrale devono essere allegati altresì i documenti che attestano l’espletamento delle manutenzioni necessarie a garantire il rispetto dei valori limite di emissione previste dalla denuncia di cui all’articolo 284.

3. Ai fini del campionamento, dell’analisi e della valutazione delle emissioni degli impianti termici di cui al comma 1 si applicano i metodi previsti nella parte III dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto.

4. Con decorrenza dal termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto, l’installatore, contestualmente all’installazione o alla modifica dell’impianto, verifica il rispetto dei valori limite di emissione previsti dal presente articolo.

ART. 287
(abilitazione alla conduzione)

1. Il personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW deve essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato dall’Ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale. I patentini possono essere rilasciati a persone aventi età non inferiore a diciotto anni compiuti. Presso ciascun Ispettorato provinciale del lavoro e’ compilato e aggiornato un registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici, la cui copia e’ tenuta anche presso l’autorità competente e presso il comando provinciale dei vigili del fuoco.

2. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 11, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412.

3. Ai fini del comma 1 sono previsti due gradi di abilitazione. Il patentino di primo grado abilita alla conduzione degli impianti termici per il cui mantenimento in funzione e’ richiesto il certificato di abilitazione alla condotta dei generatori di vapore a norma del regio decreto 12 maggio 1927, n. 824, e il patentino di secondo grado abilita alla conduzione degli altri impianti. Il patentino di primo grado abilita anche alla conduzione degli impianti per cui e’ richiesto il patentino di secondo grado.

4. Il possesso di un certificato di abilitazione di qualsiasi grado per la condotta dei generatori di vapore, ai sensi del regio decreto 12 maggio 1927, n. 824, consente il rilascio del patentino senza necessità dell’esame di cui al comma 1.

5. Il patentino può essere in qualsiasi momento revocato dall’Ispettorato provinciale del lavoro in caso di irregolare conduzione dell’impianto. A tal fine l’autorità competente comunica all’Ispettorato i casi di irregolare conduzione accertati. Il provvedimento di sospensione o di revoca del certificato di abilitazione alla condotta dei generatori di vapore ai sensi degli articoli 31 e 32 del regio decreto 12 maggio 1927, n. 824, non ha effetto sul patentino di cui al presente articolo.

6. Il decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale 12 agosto 1968 stabilisce la disciplina dei corsi e degli esami di cui al comma 1 e delle revisioni dei patentini. Alla modifica e all’integrazione di tale decreto si provvede con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

ART. 288
(controlli e sanzioni)

1. E’ punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquecentosedici euro a duemilacinquecentottantadue euro l’installatore che, in occasione dell’installazione o della modifica di un impianto termico civile, non redige la denuncia di cui all’articolo 284, comma 1, o redige una denuncia incompleta e il soggetto tenuto alla trasmissione di tale denuncia che, ricevuta la stessa, non la trasmette all’autorità competente nei termini prescritti. Con la stessa sanzione e’ punito il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto che non redige la denuncia di cui all’articolo 284, comma 2, o redige una denuncia incompleta e il soggetto tenuto alla trasmissione di tale denuncia che, ricevuta la stessa, non la trasmette all’autorità competente nei termini prescritti.

2. In caso di esercizio di un impianto termico civile non conforme alle caratteristiche tecniche di cui all’articolo 285, sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquecentosedici euro a duemilacinquecentottantadue euro:

a) l’installatore, ove questi sia tenuto a redigere la denuncia di cui all’articolo 284, comma 1;

b) il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto, ove questi sia tenuto a redigere la denuncia di cui all’articolo 284, comma 2.

3. Nel caso in cui l’impianto non rispetti i valori limite di emissione di cui all’articolo 286, comma 1, sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquecentosedici euro a duemilacinquecentottantadue euro:

a) il responsabile dell’esercizio e della manutenzione, in tutti i casi in cui l’impianto non e’ soggetto all’obbligo di verifica di cui all’articolo 286, comma 4;

b) l’installatore e il responsabile dell’esercizio e della manutenzione, se il rispetto dei valori limite non e’ stato verificato ai sensi dell’articolo 286, comma 4, o non e’ stato dichiarato nella denuncia di cui all’articolo 284, comma 1;

c) l’installatore, se il rispetto dei valori limite e’ stato verificato ai sensi dell’articolo 286, comma 4, e dichiarato nella denuncia di cui all’articolo 284, comma 1, e se dal libretto di centrale risultano regolarmente effettuati i controlli e le manutenzioni prescritti dalla parte quinta del presente decreto e dal decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, purche’ non sia superata la durata stabilita per il ciclo di vita dell’impianto;

d) il responsabile dell’esercizio e della manutenzione, se il rispetto dei valori limite e’ stato verificato ai sensi dell’articolo 286, comma 4, e dichiarato nella denuncia di cui all’articolo 284, comma 1, e se dal libretto di centrale non risultano regolarmente effettuati i controlli e le manutenzioni prescritti o e’ stata superata la durata stabilita per il ciclo di vita dell’impianto.

4. Con una sanzione amministrativa pecuniaria da cinquecentosedici euro a duemilacinquecentottantadue euro e’ punito il responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto che non effettua il controllo annuale delle emissioni ai sensi dell’articolo 286, comma 2, o non allega al libretto di centrale i dati ivi previsti.

5. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni previste dai commi precedenti e delle sanzioni previste per la produzione di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, l’autorità competente, ove accerti che l’impianto non rispetta le caratteristiche tecniche di cui all’articolo 285 o i valori limite di emissione di cui all’articolo 286, impone, con proprio provvedimento, al contravventore di procedere all’adeguamento entro un determinato termine oltre il quale l’impianto non può essere utilizzato. In caso di mancato rispetto del provvedimento adottato dall’autorità competente si applica l’articolo 650 del codice penale.

6. All’irrogazione delle sanzioni amministrative previste dal presente articolo, ai sensi degli articoli 17 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, provvede l’autorità competente di cui all’articolo 283, comma 1, lettera i), o la diversa autorità indicata dalla legge regionale.

7. Chi effettua la conduzione di un impianto termico civile di potenza termica nominale superiore a 0.322 MW senza essere munito, ove prescritto, del patentino di cui all’articolo 287 e’ punito con l’ammenda da quindici euro a quarantasei euro.

8. I controlli relativi al rispetto del presente titolo sono effettuati dall’autorità competente, con cadenza almeno biennale, anche avvalendosi di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle attività produttive e il Ministro della salute, sono individuati i requisiti di tali organismi. Fino all’adozione di tale decreto si applicano i requisiti previsti dall’articolo 11, comma 19, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412.

ART. 289
(abrogazioni)

1. Sono abrogati, escluse le disposizioni di cui il presente decreto prevede l’ulteriore vigenza, la legge 13 luglio 1966, n. 615, ed il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1970, n. 1391.

ART. 290
(disposizioni transitorie e finali)

1. Alla modifica e all’integrazione dell’Allegato IX alla parte quinta del presente decreto si provvede con le modalità previste dall’articolo 281, comma 5.

2. L’installazione di impianti termici civili centralizzati può essere imposta dai regolamenti edilizi comunali relativamente agli interventi di ristrutturazione edilizia ed agli interventi di nuova costruzione qualora tale misura sia individuata dai piani e dai programmi previsti dall’articolo 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351, come necessaria al conseguimento dei valori limite di qualità dell’aria.

3. La legge 13 luglio 1966, n. 615, il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1970, n. 1391, e il titolo II del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002 continuano ad applicarsi agli impianti termici civili di cui all’articolo 281, comma 3, fino alla data in cui e’ effettuato l’adeguamento disposto dalle autorizzazioni rilasciate ai sensi dell’articolo 281, comma 2.

TITOLO III

COMBUSTIBILI

ART. 291
(campo di applicazione)

1. Il presente titolo disciplina, ai fini della prevenzione e della limitazione dell’inquinamento atmosferico, le caratteristiche merceologiche dei combustibili che possono essere utilizzati negli impianti di cui ai titoli I e II della parte quinta del presente decreto, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia, e le caratteristiche merceologiche del gasolio marino. Il presente titolo stabilisce inoltre le condizioni di utilizzo dei combustibili, comprese le prescrizioni finalizzate ad ottimizzare il rendimento di combustione, e i metodi di misura delle caratteristiche merceologiche.

ART. 292
(definizioni)

1. Ai fini del presente titolo si applicano, ove non altrimenti disposto, le definizioni di cui al titolo I ed al titolo II della parte quinta del presente decreto.

2. In aggiunta alle definizioni del comma 1, si applicano le seguenti definizioni:

a) olio combustibile pesante: qualsiasi combustibile liquido derivato dal petrolio del codice NC 2710 1951 – 2710 1969 ovvero qualsiasi combustibile liquido derivato dal petrolio, escluso il gasolio di cui alle lettere b) e d), che, per i suoi limiti di distillazione, rientra nella categoria di oli pesanti destinati ad essere usati come combustibile e di cui meno del sessantacinque per cento in volume, comprese le perdite, distilla a 250 °C secondo il metodo ASTM D86, anche se la percentuale del distillato a 250° C non può essere determinata secondo il predetto metodo;

b) gasolio: qualsiasi combustibile liquido derivato dal petrolio del codice NC 2710 1945 – 2710 1949, ovvero qualsiasi combustibile liquido derivato dal petrolio che, per i suoi limiti di distillazione, rientra nella categoria dei distillati medi destinati ad essere usati come combustibile o carburante e di cui almeno l’ottantacinque per cento in volume, comprese le perdite, distilla a 350 °C secondo il metodo ASTM D86;

c) metodo ASTM: i metodi stabiliti dalla “American Society for Testing and Materials’ nell’edizione 1976 delle definizioni e delle specifiche tipo per il petrolio e i prodotti lubrificanti;

d) gasolio marino: qualsiasi combustibile per uso marittimo che corrisponde alla definizione di cui alla lettera b) ovvero che ha una viscosità o densità che rientra nei limiti della viscosità o densità definiti per i distillati marini nella tabella dell’ISO 8217-1996, ad esclusione di quello utilizzato per le imbarcazioni destinate alla navigazione interna, per il quale valgono le disposizioni di cui al decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 66, e ad esclusione di quello utilizzato dalle navi che provengono direttamente da un Paese non appartenente all’Unione europea;

e) navigazione interna: navigazione su laghi, fiumi, canali e altre acque interne.

f) depositi fiscali: impianti in cui vengono fabbricati, trasformati, detenuti, ricevuti o spediti i combustibili oggetto della parte quinta del presente decreto, sottoposti ad accisa; ricadono in tale definizione anche gli impianti di produzione dei combustibili.

g) combustibile sottoposto ad accisa: combustibile al quale si applica il regime fiscale delle accise.

ART. 293
(combustibili consentiti)

1. Negli impianti disciplinati dal titolo I e dal titolo II della parte quinta del presente decreto, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia, possono essere utilizzati esclusivamente i combustibili previsti per tali categorie di impianti dall’Allegato X alla parte quinta del presente decreto, alle condizioni ivi previste. Agli impianti di cui alla parte I, lettere e) ed f), dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto si applicano le prescrizioni dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto relative agli impianti disciplinati dal titolo II della parte quinta del presente decreto. Il gasolio marino deve essere conforme a quanto previsto dalla parte I, sezione 3, dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto.

2. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, previa autorizzazione della Commissione europea, possono essere stabiliti valori limite massimi per il contenuto di zolfo negli oli combustibili pesanti o nel gasolio, incluso quello marino, più elevati rispetto a quelli fissati nell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto qualora, a causa di un mutamento improvviso nell’approvvigionamento del petrolio greggio, di prodotti petroliferi o di altri idrocarburi, non sia possibile rispettare tali valori limite.

ART. 294
(prescrizioni per il rendimento di combustione)

1. Al fine di ottimizzare il rendimento di combustione, gli impianti disciplinati dal titolo I della parte quinta del presente decreto, con potenza termica nominale pari o superiore a 6 MW, devono essere dotati di rilevatori della temperatura nell’effluente gassoso nonche’ di un analizzatore per la misurazione e la registrazione in continuo dell’ossigeno libero e del monossido di carbonio. I suddetti parametri devono essere rilevati nell’effluente gassoso all’uscita dell’impianto. Tali impianti devono essere inoltre dotati, ove tecnicamente fattibile, di regolazione automatica del rapporto aria-combustibile. Ai fini dell’applicazione del presente comma si fa riferimento alla potenza termica nominale di ciascun singolo impianto anche nei casi in cui più impianti siano considerati, ai sensi dell’articolo 270, comma 4, o dell’articolo 273, comma 9, come un unico impianto.

2. Il comma 1 non si applica agli impianti di combustione in possesso di autorizzazione alle emissioni in atmosfera o di autorizzazione integrata ambientale nella quale si prescriva un valore limite di emissione in atmosfera per il monossido di carbonio.

3. Al fine di ottimizzare il rendimento di combustione, gli impianti disciplinati dal titolo II della parte quinta del presente decreto, di potenza termica complessiva pari o superiore a 1,5 MW, devono essere dotati di rilevatori della temperatura negli effluenti gassosi nonche’ di un analizzatore per la misurazione e la registrazione in continuo dell’ossigeno libero e del monossido di carbonio. I suddetti parametri devono essere rilevati nell’effluente gassoso all’uscita del focolare.

ART. 295
(raccolta e trasmissione di dati relativi al tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi)

1. Al fine di consentire l’elaborazione della relazione di cui al comma 4, il controllo delle caratteristiche dell’olio combustibile pesante, del gasolio e del gasolio marino prodotti o importati, e destinati alla commercializzazione sul mercato nazionale, e’ effettuato dai laboratori chimici delle dogane o, ove istituiti, dagli uffici delle dogane nel cui ambito operano i laboratori chimici delle dogane. Il campionamento e’ effettuato con una frequenza adeguata e secondo modalità che assicurino la rappresentatività dei campioni rispetto al combustibile controllato. Entro il 31 marzo di ogni anno gli esiti di tali controlli effettuati nel corso dell’anno precedente sono messi a disposizione dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

2. Entro il 31 marzo di ogni anno, i gestori dei depositi fiscali che importano i combustibili di cui comma 1 da Paesi terzi o che li ricevono da Paesi membri dell’Unione europea e i gestori degli impianti di produzione dei medesimi combustibili inviano all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, osservando le modalità e utilizzando i moduli indicati nella parte I, sezione 3, appendice 1, dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto, i dati concernenti i quantitativi e il contenuto di zolfo di tali combustibili prodotti o importati, e destinati alla commercializzazione sul mercato nazionale, nel corso dell’anno precedente. I dati si riferiscono ai combustibili immagazzinati nei serbatoi in cui sono sottoposti ad accertamento volto a verificarne la quantità e la qualità ai fini della classificazione fiscale. Entro il 31 marzo di ogni anno, i gestori dei grandi impianti di combustione che importano olio combusti bile pesante da Paesi terzi o che lo ricevono da Paesi membri dell’Unione europea inviano all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, osservando le modalità e utilizzando i moduli indicati nella parte I, sezione 3, appendice 1 dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto, i dati concernenti i quantitativi di olio combustibile pesante importati nell’anno precedente e il relativo contenuto di zolfo.

3. Entro il 31 marzo di ogni anno, i gestori degli impianti di cui alla parte I, sezione 3, punto 1.2, dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto inviano all’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, osservando le modalità e utilizzando i moduli indicati da tale sezione nell’appendice 2, i dati inerenti i quantitativi ed il tenore di zolfo dell’olio combustibile pesante utilizzato nel corso dell’anno precedente.

4. Entro il 31 maggio di ogni anno l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), sulla base dei risultati dei controlli di cui al comma 1 e dei dati di cui ai commi 2 e 3, trasmette al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio una relazione circa il tenore di zolfo dei combustibili di cui al comma 1 prodotti, importati e utilizzati nell’anno civile precedente e circa i casi di applicazione delle deroghe di cui alla parte I, sezione 3, punto 1.2, dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto.

5. Entro il 30 giugno di ciascun anno il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio invia alla Commissione europea un documento elaborato sulla base della relazione di cui al comma 4.

6. Non sono soggetti al presente articolo i combustibili destinati alla trasformazione prima della combustione finale e i combustibili usati a fini di trasformazione nell’industria della raffinazione.

ART. 296
(sanzioni)

1. Chi effettua la combustione di materiali o sostanze non conformi alle prescrizioni del presente titolo, ove gli stessi non costituiscano rifiuti ai sensi della vigente normativa, e’ punito:

a) in caso di combustione effettuata presso gli impianti di cui al titolo I della parte quinta del presente decreto, con l’arresto fino a due anni o con l’ammenda da duecentocinquantotto euro a milletrentadue euro;

b) in caso di combustione effettuata presso gli impianti di cui al titolo II della parte quinta del presente decreto, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia, con una sanzione amministrativa pecuniaria da duecento euro a mille euro; a tale sanzione, da irrogare ai sensi dell’articolo 288, comma 6, non si applica il pagamento in misura ridotta di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689; la sanzione non si applica se, dalla documentazione relativa all’acquisto di tali materiali o sostanze, risultano caratteristiche merceologiche conformi a quelle dei combustibili consentiti nell’impianto, ferma restando l’applicazione dell’articolo 515 del codice penale e degli altri reati previsti dalla vigente normativa per chi ha effettuato la messa in commercio.

2. La sanzione prevista dal comma 1, lettera b), si applica anche a chi effettua la combustione di gasolio marino non conforme alle prescrizioni del presente titolo. In tal caso l’autorità competente all’irrogazione e’ la regione o la diversa autorità indicata dalla legge regionale.

3. I controlli sul rispetto delle disposizioni del presente titolo sono effettuati, per gli impianti di cui al titolo I della parte quinta del presente decreto, dall’autorità di cui all’articolo 268, comma 1, lettera p), e per gli impianti di cui al titolo II della parte quinta del presente decreto, dall’autorità di cui all’articolo 283, comma 1, lettera i).

4. In caso di mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 294, il gestore degli impianti disciplinati dal titolo I della parte quinta del presente decreto e’ punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda fino a milletrentadue euro. Per gli impianti disciplinati dal titolo II della parte quinta del presente decreto si applica la sanzione prevista dall’articolo 288, comma 2; la medesima sanzione, in caso di mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’articolo 294, si applica al responsabile per l’esercizio e la manutenzione se ricorre il caso previsto dall’ultimo periodo dell’articolo 284, comma 2.

5. In caso di mancata trasmissione dei dati di cui all’articolo 295, commi 2 e 3, nei termini prescritti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, anche ai fini di quanto previsto dall’articolo 650 del codice penale, ordina ai soggetti inadempienti di provvedere.

ART. 297
(abrogazioni)

1. Sono abrogati, escluse le diposizioni di cui il presente decreto prevede l’ulteriore vigenza, l’articolo 2, comma 2, della legge 8 luglio 1986, n. 349, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 settembre 2001, n. 395, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002 e l’articolo 2 del decreto-legge 7 marzo 2002, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 maggio 2002, n. 82.

ART. 298
(disposizioni transitorie e finali)

1. Le disposizioni del presente titolo relative agli impianti disciplinati dal titolo I della parte quinta del presente decreto si applicano agli impianti termici civili di cui all’articolo 281, comma 3, a partire dalla data in cui e’ effettuato l’adeguamento disposto dalle autorizzazioni rilasciate ai sensi dell’articolo 281, comma 2.

2. Alla modifica e all’integrazione dell’Allegato X alla parte quinta del presente decreto si provvede con le modalità previste dall’articolo 281, commi 5 e 6. All’integrazione di tale Allegato si procede per la prima volta entro un anno dall’entrata in vigore della parte quinta del presente decreto.

PARTE SESTA

NORME IN MATERIA DI TUTELA RISARCITORIA CONTRO I DANNI ALL’AMBIENTE

TITOLO I

AMBITO DI APPLICAZIONE

ART. 299
(competenze ministeriali)

1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio esercita le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di tutela, prevenzione e riparazione dei danni all’ambiente, attraverso la Direzione generale per il danno ambientale istituita presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio dall’articolo 34 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, e gli altri uffici ministeriali competenti.

2. L’azione ministeriale si svolge normalmente in collaborazione con le regioni, con gli enti locali e con qualsiasi soggetto di diritto pubblico ritenuto idoneo.

3. L’azione ministeriale si svolge nel rispetto della normativa comunitaria vigente in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, delle competenze delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali con applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e di leale collaborazione.

4. Per le finalità connesse all’individuazione, all’accertamento ed alla quantificazione del danno ambientale, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio si avvale, in regime convenzionale, di soggetti pubblici e privati di elevata e comprovata qualificazione tecnico-scientifica operanti sul territorio, nei limiti delle disponibilità esistenti.

5. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con proprio decreto, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, stabilisce i criteri per le attività istruttorie volte all’accertamento del danno ambientale e per la riscossione della somma dovuta per equivalente patrimoniale ai sensi del titolo III della parte sesta del presente decreto. I relativi oneri sono posti a carico del responsabile del danno.

6. Ai fini dell’attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo, il Ministro dell’economia e delle finanze e’ autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.

ART. 300
(danno ambientale)

1. E’ danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.

2. Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato:

a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche’ della flora e della fauna selvatiche, nonche’ alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione;

b) alle acque interne, mediante azioni che incidano in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo oppure sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, ad eccezione degli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7, ditale direttiva;

c) alle acque costiere ed a quelle ricomprese nel mare territoriale mediante le azioni suddette, anche se svolte in acque internazionali;

d) al terreno, mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente.

ART. 301
(attuazione del principio di precauzione)

1. In applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione.

2. L’applicazione del principio di cui al comma 1 concerne il rischio che comunque possa essere individuato a seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva.

3. L’operatore interessato, quando emerga il rischio suddetto, deve informarne senza indugio, indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione, il comune, la provincia, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonche’ il Prefetto della provincia che, nelle ventiquattro ore successive, informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.

4. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, in applicazione del principio di precauzione, ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione, ai sensi dell’articolo 304, che risultino:

a) proporzionali rispetto al livello di protezione che s’intende raggiungere;

b) non discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate;

c) basate sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri;

d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici.

5. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio promuove l’informazione del pubblico quanto agli effetti negativi di un prodotto o di un processo e, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente, può finanziare programmi di ricerca, disporre il ricorso a sistemi di certificazione ambientale ed assumere ogni altra iniziativa volta a ridurre i rischi di danno ambientale.

ART. 302
(definizioni)

1 Lo stato di conservazione di una specie e’ considerato favorevole quando:

a) i dati relativi alla sua popolazione mostrano che essa si sta mantenendo, a lungo termine, come componente vitale dei suoi habitat naturali;

b) l’area naturale della specie non si sta riducendo ne’ si ridurrà verosimilmente in un futuro prevedibile;

c) esiste, e verosimilmente continuerà ad esistere, un habitat sufficientemente ampio per mantenerne la popolazione a lungo termine.

2. Lo stato di conservazione di un habitat naturale e’ considerato favorevole quando:

a) la sua area naturale e le zone in essa racchiuse sono stabili o in aumento;

b) le strutture e le funzioni specifiche necessarie per il suo mantenimento a lungo termine esistono e continueranno verosimilmente a esistere in un futuro prevedibile; e

c) lo stato di conservazione delle sue specie tipiche e’ favorevole, ai sensi del comma 1.

3. Per “acque” si intendono tutte le acque cui si applica la parte terza del presente decreto.

4. Per “operatore” s’intende qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività.

5. Per “attività professionale” s’intende qualsiasi azione, mediante la quale si perseguano o meno fini di lucro, svolta nel corso di un’attività economica, industriale, commerciale, artigianale, agricola e di prestazione di servizi, pubblica o privata.

6. Per “emissione” s’intende il rilascio nell’ambiente, a seguito dell’attività umana, di sostanze, preparati, organismi o microrganismi.

7. Per “minaccia imminente” di danno si intende il rischio sufficientemente probabile che stia per verificarsi uno specifico danno ambientale.

8. Per “misure di prevenzione” si intendono le misure prese per reagire a un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno.

9. Per “ripristino”, anche “naturale”, s’intende: nel caso delle acque, delle specie e degli habitat protetti, il ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie; nel caso di danno al terreno, l’eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per la integrità ambientale. In ogni caso il ripristino deve consistere nella riqualificazione del sito e del suo ecosistema, mediante qualsiasi azione o combinazione di azioni, comprese le misure di attenuazione o provvisorie, dirette a riparare, risanare o, qualora sia ritenuto ammissibile dall’autorità competente, sostituire risorse naturali o servizi naturali danneggiati.

10. Per “risorse naturali” si intendono specie e habitat naturali protetti, acqua e terreno.

11. Per “servizi” e “servizi delle risorse naturali” si intendono le funzioni svolte da una risorsa naturale a favore di altre risorse naturali e/o del pubblico.

12. Per “condizioni originarie” si intendono le condizioni, al momento del danno, delle risorse naturali e dei servizi che sarebbero esistite se non si fosse verificato il danno ambientale, stimate sulla base delle migliori informazioni disponibili.

13. Per “costi” s’intendono gli oneri economici giustificati dalla necessità di assicurare un’attuazione corretta ed efficace delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto, compresi i costi per valutare il danno ambientale o una sua minaccia imminente, per progettare gli interventi alternativi, per sostenere le spese amministrative, legali e di realizzazione delle opere, i costi di raccolta dei dati ed altri costi generali, nonche’ i costi del controllo e della sorveglianza.

ART. 303
(esclusioni)

1. La parte sesta del presente decreto:

a) non riguarda il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno cagionati da:

1) atti di conflitto armato, sabotaggi, atti di ostilità, guerra civile, insurrezione;

2) fenomeni naturali di carattere eccezionale, inevitabili e incontrollabili;

b) non si applica al danno ambientale o a minaccia imminente di tale danno provocati da un incidente per il quale la responsabilità o l’indennizzo rientrino nell’ambito d’applicazione di una delle convenzioni internazionali elencate nell’allegato 1 alla parte sesta del presente decreto cui la Repubblica italiana abbia aderito;

c) non pregiudica il diritto del trasgressore di limitare la propria responsabilità conformemente alla legislazione nazionale che dà esecuzione alla convenzione sulla limitazione della responsabilità per crediti marittimi (LLMC) del 1976, o alla convenzione di Strasburgo sulla limitazione della responsabilità nella navigazione interna (CLNI) del 1988;

d) non si applica ai rischi nucleari relativi all’ambiente ne’ alla minaccia imminente di tale danno causati da attività disciplinate dal Trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica o causati da un incidente o un’attività per i quali la responsabilità o l’indennizzo rientrano nel campo di applicazione di uno degli strumenti internazionali elencati nell’allegato 2 alla parte sesta del presente decreto;

e) non si applica alle attività svolte in condizioni di necessità ed aventi come scopo esclusivo la difesa nazionale, la sicurezza internazionale o la protezione dalle calamità naturali;

f) non si applica al danno causato da un’emissione, un evento o un incidente verificatisi prima della data di entrata in vigore della parte sesta del presente decreto;

g) non si applica al danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent’anni dall’emissione, dall’evento o dall’incidente che l’hanno causato;

h) non si applica al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso, se non sia stato possibile accertare in alcun modo un nesso causale tra il danno e l’attività di singoli operatori;

i) non si applica alle situazioni di inquinamento per le quali siano effettivamente avviate le procedure relative alla bonifica, o sia stata avviata o sia intervenuta bonifica dei siti nel rispetto delle norme vigenti in materia, salvo che ad esito di tale bonifica non permanga un danno ambientale.

TITOLO II

PREVENZIONE E RIPRISTINO AMBIENTALE

ART. 304
(azione di prevenzione)

1. Quando un danno ambientale non si e’ ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.

2. L’operatore deve far precedere gli interventi di cui al comma 1 da apposita comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonche’ al Prefetto della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire. La comunicazione, non appena pervenuta al comune, abilita immediatamente l’operatore alla realizzazione degli interventi di cui al comma 1. Se l’operatore non provvede agli interventi di cui al comma 1 e alla comunicazione di cui al presente comma, l’autorità preposta al controllo o comunque il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio irroga una sanzione amministrativa non inferiore a mill e euro ne’ superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.

3. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, in qualsiasi momento, ha facoltà di:

a) chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente;

b) ordinare all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, precisando le metodologie da seguire;

c) adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie.

4. Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 3, lettera b), o se esso non può essere individuato, o se non e’ tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la prevenzione del danno, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall’effettuato pagamento.

ART. 305
(ripristino ambientale)

1. Quando si e’ verificato un danno ambientale, l’operatore deve comunicare senza indugio tutti gli aspetti pertinenti della situazione alle autorità di cui all’articolo 304, con gli effetti ivi previsti, e, se del caso, alle altre autorità dello Stato competenti, comunque interessate. L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare immediatamente:

a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi, anche sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare;

b) le necessarie misure di ripristino di cui all’articolo 306.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, in qualsiasi momento, ha facoltà di:

a) chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi danno verificatosi e sulle misure da lui adottate immediatamente ai sensi del comma 1;

b) adottare, o ordinare all’operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi;

c) ordinare all’operatore di prendere le misure di ripristino necessarie;

d) adottare egli stesso le suddette misure.

3. Se l’operatore non adempie agli obblighi previsti al comma 1 o al comma 2, lettera b) o c), o se esso non può essere individuato o se non e’ tenuto a sostenere i costi a norma della parte sesta del presente decreto, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio ha facoltà di adottare egli stesso tali misure, approvando la nota delle spese, con diritto di rivalsa esercitabile verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse, se venga individuato entro il termine di cinque anni dall’effettuato pagamento.

ART. 306
(determinazione delle misure per il ripristino ambientale)

1. Gli operatori individuano le possibili misure per il ripristino ambientale che risultino conformi all’allegato 3 alla parte sesta del presente decreto e le presentano per l’approvazione al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio senza indugio e comunque non oltre trenta giorni dall’evento dannoso, a meno che questi non abbia già adottato misure urgenti, a norma articolo 305, commi 2 e 3.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio decide quali misure di ripristino attuare, in modo da garantire, ove possibile, il conseguimento del completo ripristino ambientale, e valuta l’opportunità di addivenire ad un accordo con l’operatore interessato nel rispetto della procedura di cui all’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

3. Se si e’ verificata una pluralità di casi di danno ambientale e l’autorità competente non e’ in grado di assicurare l’adozione simultanea delle misure di ripristino necessarie, essa può decidere quale danno ambientale debba essere riparato a titolo prioritario. Ai fini di tale decisione, l’autorità competente tiene conto, fra l’altro, della natura, entità e gravità dei diversi casi di danno ambientale in questione, nonche’ della possibilità di un ripristino naturale.

4. Nelle attività di ripristino ambientale sono prioritariamente presi in considerazione i rischi per la salute umana.

5. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio invita i soggetti di cui agli articoli 12 e 7, comma 4, della direttiva 2004/35/CE, nonche’ i soggetti sugli immobili dei quali si devono effettuare le misure di ripristino a presentare le loro osservazioni nel termine di dieci giorni e le prende in considerazione in sede di ordinanza. Nei casi di motivata, estrema urgenza l’invito può essere incluso nell’ordinanza, che in tal caso potrà subire le opportune riforme o essere revocata tenendo conto dello stato dei lavori in corso.

ART. 307
(notificazione delle misure preventive e di ripristino)

1. Le decisioni che impongono misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino, adottate ai sensi della parte sesta del presente decreto, sono adeguatamente motivate e comunicate senza indugio all’operatore interessato con indicazione dei mezzi di ricorso di cui dispone e dei termini relativi.

ART. 308
(costi dell’attività di prevenzione e di ripristino)

1. L’operatore sostiene i costi delle iniziative statali di prevenzione e di ripristino ambientale adottate secondo le disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto.

2. Fatti salvi i commi 4, 5 e 6, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio recupera, anche attraverso garanzie reali o fideiussioni bancarie a prima richiesta e con esclusione del beneficio della preventiva escussione, dall’operatore che ha causato il danno o l’imminente minaccia, le spese sostenute dallo Stato in relazione alle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate a norma della parte sesta del presente decreto.

3. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio determina di non recuperare la totalità dei costi qualora la spesa necessaria sia maggiore dell’importo recuperabile o qualora l’operatore non possa essere individuato.

4. Non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di precauzione, prevenzione e ripristino adottate conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno:

a) e’ stato causato da un terzo e si e’ verificato nonostante l’esistenza di misure di sicurezza astrattamente idonee;

b) e’ conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversi da quelli impartiti a seguito di un’emissione o di un incidente imputabili all’operatore; in tal caso il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio adotta le misure necessarie per consentire all’operatore il recupero dei costi sostenuti.

5. L’operatore non e’ tenuto a sostenere i costi delle azioni di cui al comma 5 intraprese conformemente alle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto qualora dimostri che non gli e’ attribuibile un comportamento doloso o colposo e che l’intervento preventivo a tutela dell’ambiente e’ stato causato da:

a) un’emissione o un evento espressamente consentiti da un’autorizzazione conferita ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità europea di cui all’allegato 5 della parte sesta del presente decreto, applicabili alla data dell’emissione o dell’evento e in piena conformità alle condizioni ivi previste;

b) un’emissione o un’attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un’attività che l’operatore dimostri non essere stati considerati probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell’emissione o dell’esecuzione dell’attività.

6. Le misure adottate dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in attuazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto lasciano impregiudicata la responsabilità e l’obbligo risarcitorio del trasgressore interessato.

ART. 309
(richiesta di intervento statale)

1. Le regioni, le province autonome e gli enti locali, anche associati, nonche’ le persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo all’adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino previste dalla parte sesta del presente decreto possono presentare al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, depositandole presso le Prefetture – Uffici territoriali del Governo, denunce e osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’intervento statale a tutela dell’ambiente a norma della parte sesta del presente decreto.

2. Le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente, di cui all’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, sono riconosciute titolari dell’interesse di cui al comma 1.

3. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio valuta le richieste di intervento e le osservazioni ad esse allegate afferenti casi di danno o di minaccia di danno ambientale e informa senza dilazione i soggetti richiedenti dei provvedimenti assunti al riguardo.

4. In caso di minaccia imminente di danno, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, nell’urgenza estrema, provvede sul danno denunciato anche prima d’aver risposto ai richiedenti ai sensi del comma 3.

ART. 310
(ricorsi)

1. I soggetti di cui all’articolo 309, comma 1, sono legittimati ad agire, secondo i principi generali, per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto nonche’ avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale.

2. Nell’ipotesi di cui al comma 1, il ricorso al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, può essere preceduto da una opposizione depositata presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio o inviata presso la sua sede a mezzo di posta raccomandata con avviso di ricevimento entro trenta giorni dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto. In caso di inerzia del Ministro, analoga opposizione può essere proposta entro il suddetto termine decorrente dalla scadenza del trentesimo giorno successivo all’effettuato deposito dell’opposizione presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.

3. Se sia stata presentata l’opposizione e non ancora il ricorso al giudice amministrativo, quest’ultimo e’ proponibile entro il termine di sessanta giorni decorrenti dal ricevimento della decisione di rigetto dell’opposizione oppure dal trentunesimo giorno successivo alla presentazione dell’opposizione se il Ministro non si sia pronunciato.

4. Resta ferma la facoltà dell’interessato di ricorrere in via straordinaria al Presidente della Repubblica nel termine di centoventi giorni dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza dell’atto o provvedimento che si ritenga illegittimo e lesivo.

TITOLO III

RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE

ART. 311
(azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale)

1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto.

2. Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, e’ obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.

3. Alla quantificazione del danno il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio provvede in applicazione dei criteri enunciati negli Allegati 3 e 4 della parte sesta del presente decreto. All’accertamento delle responsabilità risarcitorie ed alla riscossione delle somme dovute per equivalente patrimoniale il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio provvede con le procedure di cui al titolo III della parte sesta del presente decreto.

ART. 312
(istruttoria per l’emanazione dell’ordinanza ministeriale)

1. L’istruttoria per l’emanazione dell’ordinanza ministeriale di cui all’articolo 313 si svolge ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241.

2. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, per l’accertamento dei fatti, per l’individuazione dei trasgressori, per l’attuazione delle misure a tutela dell’ambiente e per il risarcimento dei danni, può delegare il Prefetto competente per territorio ed avvalersi, anche mediante apposite convenzioni, della collaborazione delle Avvocature distrettuali dello Stato, del Corpo forestale dello Stato, dell’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e di qualsiasi altro soggetto pubblico dotato di competenza adeguata.

3. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, per l’accertamento delle cause del danno e per la sua quantificazione, da effettuare in applicazione delle disposizioni contenute negli Allegati 3 e 4 alla parte sesta del presente decreto, può disporre, nel rispetto del principio del contraddittorio con l’operatore interessato, apposita consulenza tecnica svolta dagli uffici ministeriali, da quelli di cui al comma 2 oppure, tenuto conto delle risorse finanziarie previste a legislazione vigente, da liberi professionisti.

4. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, al fine di procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche anche in apparecchiature informatiche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento del fatto dannoso e per l’individuazione dei trasgressori, può disporre l’accesso di propri incaricati nel sito interessato dal fatto dannoso. Gli incaricati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Per l’accesso a locali che siano adibiti ad abitazione o all’esercizio di attività professionali e’ necessario che l’Amministrazione si munisca dell’autorizzazione dell’autorità giudiziara competente. In ogni caso, dell’accesso nei luoghi di cui al presente comma dovrà essere informato il titolare dell’attività o un suo delegato, che ha il diritto di essere presente, anche con l’assistenza di un difensore di fiducia, e di chiedere che le sue dichiarazioni siano verbalizzate.

5. In caso di gravi indizi che facciano ritenere che libri, registri, documenti, scritture ed altre prove del fatto dannoso si trovino in locali diversi da quelli indicati nel comma 4, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può chiedere l’autorizzazione per la perquisizione di tali locali all’autorità giudiziaria competente.

6. E’ in ogni caso necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente per procedere, durante l’accesso, a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame dei documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali sia stato eccepito il segreto professionale.

7. Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte all’interessato o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute, nonche’ le sue dichiarazioni. Il verbale deve essere sottoscritto dall’interessato o da chi lo rappresenta oppure deve indicare il motivo della mancata sottoscrizione. L’interessato ha diritto di averne copia.

8. I documenti e le scritture possono essere sequestrati soltanto se non sia possibile riprodurne o farne constare agevolmente il contenuto rilevante nel verbale, nonche’ in caso di mancata sottoscrizione o di contestazione del contenuto del verbale; tuttavia gli agenti possono sempre acquisire dati con strumenti propri da sistemi meccanografici, telematici, elettronici e simili.

ART. 313
(ordinanza)

1. Qualora all’esito dell’istruttoria di cui all’articolo 312 sia stato accertato un fatto che abbia causato danno ambientale ed il responsabile non abbia attivato le procedure di ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto oppure ai sensi degli articoli 304 e seguenti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con ordinanza immediatamente esecutiva, ingiunge a coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati responsabili del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica entro un termine fissato.

2. Qualora il responsabile del fatto che ha provocato danno ambientale non provveda in tutto o in parte al ripristino nel termine ingiunto, o il ripristino risulti in tutto o in parte impossibile, oppure eccessivamente oneroso ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con successiva ordinanza, ingiunge il pagamento, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, di una somma pari al valore economico del danno accertato o residuato, a titolo di risarcimento per equivalente pecuniario.

3. Con riguardo al risarcimento del danno in forma specifica, l’ordinanza e’ emessa nei confronti del responsabile del fatto dannoso nonche’, in solido, del soggetto nel cui effettivo interesse il comportamento fonte del danno e’ stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio sottraendosi, secondo l’accertamento istruttorio intervenuto, all’onere economico necessario per apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i comportamenti previsti come obbligatori dalle norme applicabili.

4. L’ordinanza e’ adottata nel termine perentorio di centottanta giorni decorrenti dalla comunicazione ai soggetti di cui al comma 3 dell’avvio dell’istruttoria, e comunque entro il termine di decadenza di due anni dalla notizia del fatto, salvo quando sia in corso il ripristino ambientale a cura e spese del trasgressore. In tal caso i medesimi termini decorrono dalla sospensione ingiustificata dei lavori di ripristino oppure dalla loro conclusione in caso di incompleta riparazione del danno. Alle attestazioni concernenti la sospensione dei lavori e la loro incompletezza provvede il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con apposito atto di accertamento.

5. Nei termini previsti dai commi 1 e 3 dell’articolo 2947 del codice civile, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio può adottare ulteriori provvedimenti nei confronti di trasgressori successivamente individuati.

6. Nel caso di danno provocato da soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, anziche’ ingiungere il pagamento del risarcimento per equivalente patrimoniale, invia rapporto all’Ufficio di Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti competente per territorio.

7. Nel caso di intervenuto risarcimento del danno, sono esclusi, a seguito di azione concorrente da parte di autorità diversa dal Ministro dell’ambiente e della tutela territorio, nuovi interventi comportanti aggravio di costi per l’operatore interessato. Resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi.

ART. 314
(contenuto dell’ordinanza)

1. L’ordinanza contiene l’indicazione specifica del fatto, commissivo o omissivo, contestato, nonche’ degli elementi di fatto ritenuti rilevanti per l’individuazione e la quantificazione del danno e delle fonti di prova per l’identificazione dei trasgressori.

2. L’ordinanza fissa un termine, anche concordato con il trasgressore in applicazione dell’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per il ripristino dello stato dei luoghi a sue spese, comunque non inferiore a due mesi e non superiore a due anni, salvo ulteriore proroga da definire in considerazione dell’entità dei lavori necessari.

3. La quantificazione del danno deve comprendere il pregiudizio arrecato alla situazione ambientale con particolare riferimento al costo necessario per il suo ripristino. Ove non sia motivatamente possibile l’esatta quantificazione del danno non risarcibile in forma specifica, o di parte di esso, il danno per equivalente patrimoniale si presume, fino a prova contraria, di ammontare non inferiore al triplo della somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa, oppure alla sanzione penale, in concreto applicata. Se sia stata erogata una pena detentiva, al fine della quantificazione del danno di cui al presente articolo, il ragguaglio fra la stessa e la somma da addebitare a titolo di risarcimento del danno ha luogo calcolando quattrocento euro per ciascun giorno di pena detentiva.

4. In caso di sentenza di condanna in sede penale o di emanazione del provvedimento di cui all’articolo 444 del codice di procedura penale, la cancelleria del giudice che ha emanato la sentenza o il provvedimento trasmette copia degli stessi al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio entro cinque giorni dalla loro pubblicazione.

5. Le regioni, le province autonome e gli altri enti territoriali, al fine del risarcimento del danno ambientale, comunicano al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio le sanzioni amministrative, entro dieci giorni dall’avvenuta irrogazione.

6. Le ordinanze ministeriali di cui agli articoli 304, comma 3, e 313 indicano i mezzi di ricorso ed i relativi termini.

ART. 315
(effetti dell’ordinanza sull’azione giudiziaria)

1. Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che abbia adottato l’ordinanza di cui all’articolo 313 non può ne’ proporre ne’ procedere ulteriormente nel giudizio per il risarcimento del danno ambientale, salva la possibilità dell’intervento in qualità di persona offesa dal reato nel giudizio penale.

ART. 316
(ricorso avverso l’ordinanza)

1. Il trasgressore, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di cui all’articolo 313, può ricorrere al Tribunale amministrativo regionale, in sede di giurisdizione esclusiva, competente in relazione al luogo nel quale si e’ prodotto il danno ambientale.

2. Il trasgressore può far precedere l’azione giurisdizionale dal ricorso in opposizione di cui all’articolo 310, commi 2 e 3.

3. Il trasgressore può proporre altresì ricorso al Presidente della Repubblica nel termine di centoventi giorni dalla ricevuta notificazione o comunicazione dell’ordinanza o dalla sua piena conoscenza.

ART. 317
(riscossione dei crediti e fondo di rotazione)

1. Per la riscossione delle somme costituenti credito dello Stato ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto, nell’ammontare determinato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio o dal giudice, si applicano le norme di cui al decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112.

2. Nell’ordinanza o nella sentenza può essere disposto, su richiesta dell’interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, che gli importi dovuti vengano pagati in rate mensili non superiori al numero di venti; ciascuna rata non può essere inferiore comunque ad euro cinquemila.

3. In ogni momento il debito può essere estinto mediante un unico pagamento.

4. Il mancato adempimento anche di una sola rata alla sua scadenza comporta l’obbligo di pagamento del residuo ammontare in unica soluzione.

5. Le somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno ambientale disciplinato dalla parte sesta del presente decreto, ivi comprese quelle derivanti dall’escussione di fidejussioni a favore dello Stato, assunte a garanzia del risarcimento medesimo, sono versate all’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate entro sessanta giorni, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, ad un fondo di rotazione istituito nell’ambito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, al fine di finanziare, anche in via di anticipazione e, in quest’ultimo caso, nella misura massima del dieci per cento della spesa:

a) interventi urgenti di perimetrazione, caratterizzazione e messa in sicurezza dei siti inquinati, con priorità per le aree per le quali ha avuto luogo il risarcimento del danno ambientale;

b) interventi di disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale delle aree per le quali abbia avuto luogo il risarcimento del danno ambientale;

c) interventi di bonifica e ripristino ambientale previsti nel programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati;

d) attività dei centri di ricerca nel campo delle riduzioni delle emissioni di gas ad effetto serra e dei cambiamenti climatici globali.

6. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono disciplinate le modalità di funzionamento e di accesso al predetto fondo di rotazione, ivi comprese le procedure per il recupero delle somme concesse a titolo di anticipazione.

ART. 318
(norme transitorie e finali)

1. Nelle more dell’adozione del decreto di cui all’articolo 317, comma 6, continua ad applicarsi il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 14 ottobre 2003.

2. Sono abrogati:

a) l’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, ad eccezione del comma 5;

b) l’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

c) l’articolo 1, commi 439, 440, 441, 442 e 443 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

3. In attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2004/35/CE, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e delle attività produttive, sono adottate misure per la definizione di idonee forme di garanzia e per lo sviluppo dell’offerta dei relativi strumenti, in modo da consentirne l’utilizzo da parte degli operatori interessati ai fini dell’assolvimento delle responsabilità ad essi incombenti ai sensi della parte sesta del presente decreto.

4. Quando un danno ambientale riguarda o può riguardare una pluralità di Stati membri dell’Unione europea, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio coopera, anche attraverso un appropriato scambio di informazioni, per assicurare che sia posta in essere un’azione di prevenzione e, se necessario, di riparazione di tale danno ambientale. In tale ipotesi, quando il danno ambientale ha avuto origine nel territorio italiano, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio fornisce informazioni sufficienti agli Stati membri potenzialmente esposti ai suoi effetti. Se il Ministro individua entro i confini del territorio nazionale un danno la cui causa si e’ invece verificata al di fuori di tali confini, esso ne informa la Commissione europea e qualsiasi altro Stato membro interessato; il Ministro può raccomandare l’adozione di misure di prevenzione o di riparazione e può cercare, ai sensi della parte sesta del presente decreto, di recuperare i costi sostenuti in relazione all’adozione delle misure di prevenzione o riparazione.

Allegati da pag. 167 a pag. 220 della Gazzetta Ufficiale

06152dl allegato 1

Allegati da pag. 221 a pag. 268 della Gazzetta Ufficiale

06152dl1 allegato 2

Allegati da pag. 269 a pag. 320 della Gazzetta Ufficiale

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Allegati da pag. 321 a pag. 373 della Gazzetta Ufficiale

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Di dr G

Andrea Gandini è un giurista e programmatore, autore di manuali e saggi. Master di secondo livello in protezione dei dati; perfezionamento in programmazione per giuristi e legal tech; laurea in giurisprudenza; diploma di perito informatico.​​ Responsabile di amministrazione del Personale presso una azienda ove partecipa a progetti di digitalizzazione ed automatismi amministrativi. A livello extra aziendale, svolge occasionali consulenze di office automation e protezione dati. Blog personale: www.dottorgandini.it