Legislatura 13ª – DDL N. 1872 – Proprietà popolare della moneta

N. 1872

DISEGNO DI LEGGE

d’iniziativa dei senatori MONTELEONE, MAGLIOCCHETTI, MARRI e BONATESTA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 16 DICEMBRE 1996(*)

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Proprietà popolare della moneta

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Onorevoli Senatori. – Scopo della presente proposta è colmare un vuoto legislativo non più tollerabile che, su questa base, verrebbe, oltre e più che non semplicemente definito e chiarito, espresso e sancito nella sua autentica essenza, al seguito di studi, riflessioni ed esperienze di carattere giuridico-scientifico compiuti da un autentico maestro qual è il professor Giacinto Auriti, che ne ha approfondito la realtà nel corso di tanti anni di insegnamento universitario. Nessuna legge stabilisce infatti di chi debba essere la proprietà della moneta all’atto dell’emissione. Come è noto i simboli monetari sono formalmente strutturati come false cambiali (ad esempio «lire mille pagabili a vista al portatore» f.to il Governatore della Banca d’Italia) o, come dicono le autorità monetarie, come «debito inesigibile», fattispecie talmente assurda da considerarsi addirittura impossibile.

La verità è che la moneta ha valore perchè è la misura del valore. Poichè ogni unità di misura ha la qualità corrispondente a ciò che deve misurare, come il metro ha la qualità della lunghezza perchè misura la lunghezza, la moneta ha la qualità del valore perchè misura il valore. Pertanto il simbolo monetario non è solamente la manifestazione formale della convenzione monetaria, ma anche il contenitore del valore indotto ed incorporato nel simbolo che è, appunto, il potere d’acquisto. Con la scoperta del valore indotto come valore giuridico (confronta Auriti, L’ordinamento internazionale del sistema monetario, Teramo, 1993, edizioni Edigrafitel, pagina 41 e seguenti) si è finalmente data la giustificazione scientifica del valore monetario. Come è stato dimostrato, si verifica qui una fattispecie analoga a quella dell’induzione fisica. Come nella dinamo si trasforma energia meccanica in energia elettrica, così nella moneta si trasforma il valore della convenzione, cioè di uno strumento giuridico, in un bene reale oggetto di diritto di proprietà.
In breve il valore della moneta è causato dalla previsione del comportamento altrui come condizione del proprio. Ognuno è disposto infatti ad accettare moneta contro merce perchè prevede di dare moneta contro merce. È caratteristica della mente umana anticipare al momento attuale i valori previsti. Ciò spiega perchè dalla previsione di «poter acquistare» nasca, nelle mani del primo proditore del simbolo monetario, il valore nuovo ed attuale, che è il «potere d’acquisto».
Il valore della moneta quindi è causato, non dall’attività dell’organo di emissione, che, predisponendo ed erogando i simboli, determina solo il presupposto formale del valore monetario, ma dall’accettazione da parte della collettività. L’emissione dei simboli in conformità del corso legale (cosiddetto corso forzoso) è un atto di «eteronomia», l’accettazione della moneta, che ne determina convenzionalmente il valore, è atto di «autonomia». Dalla confusione tra la prima fase e la seconda è derivata una grave ingiustizia nel regime giuridico dei valori monetari. Il momento meramente strumentale dell’emissione dei simboli ha invaso quello edonistico della proprietà della moneta, sicchè la Banca centrale, emettendo moneta e prestandola, espropria ed indebita la collettività del suo denaro senza contropartita. Il rapporto che si è venuto ad instaurare tra Banca centrale e collettività è diventato così analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitandoli non solo delle nasse, ma anche del pesce che sarà pescato.
L’ostacolo di fronte al quale tutti i monetaristi si sono trovati si basa sull’errore iniziale di non aver definito la moneta come fattispecie giuridica e lo stesso diritto come strumento, come espressione, cioè, di un valore proprio, diverso da quello del bene oggetto del diritto.
Su questo equivoco iniziale si è preteso di giustificare il valore monetario sulla base della riserva, confondendo e spacciando sotto la parvenza di valore creditizio il valore indotto; ossia configurando la moneta stessa, non come misura del valore (e quindi valore della misura, quale è), ma come titolo di credito rappresentativo della riserva.
È gran tempo ormai che si esca definitivamente dall’equivoco di spacciare sotto la parvenza di valore creditizio il valore monetario.
Per comprendere le differenze fondamentali tra moneta e credito basta muovere dalle seguenti considerazioni:

1) il credito si estingue col pagamento, la moneta continua a circolare dopo ogni transazione, perchè, come ogni unità di misura, è un bene ad utilità ripetuta;

2) nel credito, come in ogni fattispecie giuridica, prima si vuole il precetto normativo e poi lo si manifesta; nella moneta, prima si crea la manifestazione formale, cioè i simboli monetari e poi le si attribuisce il valore all’atto dell’emissione. Chi crea il valore della moneta non è infatti chi la emette, ma chi l’accetta. Come nell’induzione fisica nasce l’energia elettrica con la rotazione degli elettrodi, così nell’induzione giuridica nasce il valore monetario all’atto dell’emissione, cioè quando inizia la fase dinamica della circolazione della moneta;
3) il valore del credito è causato dalla promessa del debitore, come avviene nella cambiale in cui l’emittente è il debitore. Il valore della moneta è causato dall’accettazione del primo prenditore perchè egli sa, come membro della collettività nazionale, che gli sarà accettata da tutti i partecipi della convenzione monetaria, cioè dalla collettività che crea appunto per questo il valore indotto della moneta;
4) il valore del credito è sottoposto al rischio dell’inadempimento. Il valore monetario è attuale e certo perchè, per l’induzione giuridica, la moneta, pur essendo un bene immateriale, è un bene reale oggetto di diritto di proprietà.

Poichè il valore del titolo di credito è causato dalla promessa del debitore, sottoscrivendo il titolo monetario sotto la parvenza di una falsa cambiale, il Governatore della Banca centrale induce la collettività nel falso convincimento che sia lui stesso a creare il valore monetario. In tal modo la Banca centrale, non solo espropria ed indebita la collettività nazionale del suo denaro, ma pone le premesse – come vedremo – per usurpare, tramite la sovranità monetaria, la stessa sovranità politica.

Nella relazione al disegno di legge sul conto intrattenuto dal Tesoro presso la Banca d’Italia varata dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993 (atto Senato n. 1089 dell’XI legislatura), è contenuta una preziosa dichiarazione, rara per la sua brevità e per il suo contenuto di verità scandalosa.
«La ratio di queste disposizioni» – recita la relazione – «è evidente: garantire la piena indipendenza delle Banche centrali e della Banca centrale europea nella gestione della politica monetaria… In conseguenza non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del trattato di esercitare signoraggio in senso stretto: ovvero di appropriarsi di risorse attraverso l’emissione di quella forma di debito inesigibile che è la moneta inconvertibile a corso legale».
Dunque:

1) esistono delle risorse che non sono di chi se ne appropria, altrimenti sarebbe impossibile appropriarsene;

2) normalmente non dovrebbe essere consentito a nessuno di «appropriarsi» di risorse altrui e non solamente agli «esecutivi degli Stati firmatari del trattato», mentre invece ciò deve essere consentito solamente alle Banche centrali ed alla Banca centrale europea (che avrebbero così per legge la «licenza di rubare»);
3) l’oggetto del furto dovrebbe consistere in un «debito inesigibile», ossia nelle «false cambiali» delle banconote («lire mille pagabili a vista al portatore». f.to il Governatore della Banca d’Italia) che, come tali, non dovrebbero avere alcun valore. Il valore di un debito è infatti causato dalla sua esigibilità. Ed altro è dire che è inesigibile perchè il debitore non «può» pagare, altro è dire – come nel nostro caso – che è inesigibile perchè il debitore (cioè la Banca centrale) ha per legge la garanzia di non pagare.

Se fosse vera questa tesi, siccome il debito inesigibile è uno strumento inutile, le Banche centrali non ruberebbero nulla.

Ma se questa tesi fosse vera, per noi dovrebbe essere indifferente avere denaro in tasca o non averlo. Quando poi si conclude con definire il «debito inesigibile» come «moneta inconvertibile» di «corso legale», si esclude che possa essere «debito». La moneta infatti, come bene reale, può essere oggetto di debito (e di credito), non «debito» essa stessa.
Una volta dimostrato che la moneta ha valore indotto causato dalla convenzione sociale, approfittando della circostanza che l’emissione della cambiale è prerogativa del debitore, le Banche centrali apparendo come debitori di false cambiali, si sono arrogate il potere di «esercitare signoraggio» per «appropriarsi di risorse» monetarie, ossia del valore indotto creato dalle collettività nazionali con il risultato di espropriare ed indebitare le collettività nazionali del loro denaro, senza contropartita. È questa la «grande usura» intuita da Pound.
Per dare ordine a questo sistema monetario, assurdamente ingiusto ed antisociale, si impone la necessità di colmare, mediante interpretazione autentica, la grave lacuna legislativa denunciata, definendo proprietaria della moneta la collettività dei cittadini. Va con l’occasione messo in rilievo che la legge proposta non tocca minimamente l’autonomia della Banca centrale, perchè è fin troppo evidente che l’autonomia attiene alle competenze funzionali ed al patrimonio costituito dagli edifici e dalle strutture aziendali dell’Istituto; ma la proprietà della moneta è del tutto estranea: per quanto sopra dimostrato essa è dei cittadini e non della Banca.
Va infine evidenziato che questa legge è perfettamente compatibile col sistema monetario internazionale, perchè considera solo aspetti di diritto privato (cioè la proprietà della moneta e la posizione di creditore di debitore), come tali di stretto diritto interno e del tutto irrilevanti per il diritto internazionale. Il progetto è altresì perfettamente compatibile col trattato di Maastricht perchè rispetta l’autonomia anche della Banca centrale europea, proponendo il completamento ed il coordinamento sul principio che ogni popolo sia dichiarato proprietario della sua moneta e riconosciuto collettivamente e reciprocamente come tale.
Non può infine essere taciuto il particolare proprio del disegno di legge che, in applicazione del fondamentale principio democratico della sovranità popolare, riconosce al popolo anche la sovranità monetaria.

 

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. La moneta all’atto dell’emissione nasce di proprietà dei cittadini italiani e va accreditata dalla Banca centrale allo Stato.

Art. 2.

1. Ad ogni cittadino è attribuito un codice dei redditi sociali mediante il quale gli viene accreditata la quota di reddito causato dalla emissione monetaria e da altre eventuali fonti di reddito.

 

(*) Testo non rivisto dai presentatori

 

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Fonte:

https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/13/Ddlpres/0/00007619/index.html?part=doc_dc  [come da accesso del 24apr2023]

Di dr G

Andrea Gandini è un giurista e programmatore, autore di manuali e saggi. Master di secondo livello in protezione dei dati; perfezionamento in programmazione per giuristi e legal tech; laurea in giurisprudenza; diploma di perito informatico.​​ Responsabile di amministrazione del Personale presso una azienda ove partecipa a progetti di digitalizzazione ed automatismi amministrativi. A livello extra aziendale, svolge occasionali consulenze di office automation e protezione dati. Blog personale: www.dottorgandini.it

1 commento su “Legislatura 13ª – DDL N. 1872 – Proprietà popolare della moneta”
  1. Il lettore interessato ad approfondire questa controversa tematica ed allo studio della fattispecie della proprietà della moneta all’atto di emissione, può approfondire con le seguenti letture: I creatori di moneta (Gertrude Coogan); Il paese dell’utopia (Giacinto Auriti); La proprietà di popolo (Giacinto Auriti); La banca, la moneta, l’usura (Bruno Tarquini); La saga di mammona (Silvano Borruso); La moneta debito (Normanno Malaguti).

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